Nell’operazione Scarface c’è un unico elemento che non viene dalla strada della malavita: si tratta del 32enne di Latina Simone Di Marcantonio
Non è nuovo alle cronache, soprattutto su Latina Tu. Di Di Marcantonio, già nell’agosto 2019, in tempi non sospetti, descrivevamo l’ascesa sensazionale nel sindacato Ugl. All’epoca si era agli sgoccioli del Governo Conte I, quando Salvini decise di andare al Papeete e, gozzovigliando tra un mojito e una danza sfrenata sotto il torrido sole d’agosto, annunciava la fine dell’esecutivo giallo-verde e la richiesta dei pieni poteri. Andò male per Salvini e uno dei suoi uomini di fiducia – tuttora – perse il posto come sottosegretario al Ministero del Lavoro guidato da Luigi Di Maio: ci riferiamo a Claudio Durigon.
Durigon fu abile e capace in quel Governo pentaleghista. Era lui che fu individuato da Salvini per parlare con gli organi di stampa e sui media nazionale di una delle misure bandiera della Lega: Quota 100, di cui il deputato di Latina si intestò la potestà e che miseramente sta finendo oggi sotto i colpi della manovra di Bilancio draghiana.
Si era ancora lontani dalle polemiche degli ultimi mesi e dallo strafalcione più stupido che grave rispetto alla denominazione dei Giardinetti: secondo Durigon, come noto, il centrodestra latinense, una volta vinto alle Comunali, avrebbe dovuto cambiare il nome da Parco Falcone e Borsellino a Parco Mussolini. Un’alzata di ingegno che ha costretto l’attuale coordinatore regionale della Lega a lasciare la carica di sottosegretario al Ministero dell’Economia del Governo Draghi.
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L’episodio ha guadagnato le pagine di ogni testata nazionale. Il Fatto Quotidiano ha persino imbastito una petizione per far dimettere il deputato di Borgo Carso. Giusto, giustissimo: da due giudici antimafia al fratello di Mussolini, non si può sentire.
Ma chi conosceva bene le vicende di Durigon sapeva che quella era un’idiozia dettata da un personaggio che pensava di raccattare una manciata di voti da qualcuno di quei nostalgici che, nel 2017, al momento dell’inaugurazione del nome del Parco comunale ai giudici antimafia, andò lì a protestare contro Coletta e l’allora Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, visti troppo a sinistra. Chi protestava – e questo è sfuggito a Durigon – lo faceva non contro l’intitolazione a Falcone e Borsellino, piuttosto contro Coletta: il sindaco civico che, soprattuto nei suoi primi anni di amministrazione, si era rivelato “compagno” agli occhi di chi da centrodestra gli aveva destinato una valanga di voti nel ballottaggio contro Calandrini alle elezioni comunali 2016.
E chi conosceva bene le vicende di Durigon sapeva, inoltre, che c’era qualcosa di più impellente che il deputato leghista dovrebbe spiegare ancora oggi. Invece, l’attuale deputato della Repubblica italiana, dimessosi sì dal Governo ma ancora al fianco di Salvini e anche di Zaccheo durante la campagna elettorale appena conclusa, è sempre rimasto in silenzio su una nomina molto strana e mai spiegata di cui Latina Tu diede notizia, per l’appunto, nell’agosto 2019.
Durigon, già eletto deputato e in procinto di entrare nel governo giallo-verde di Conte, nominò a maggio 2019, poco prima di lasciare la sua carica nel sindacato come Vice-segretario generale, proprio Simone Di Marcantonio. Il giovane pontino, infatti, fu scelto come Dirigente regionale con una delega piuttosto inusuale in un sindacato: alle Partite Iva (le quali, notoriamente, non mettono piede in un sindacato neanche sotto tortura).
Di Marcantonio gli espresse riconoscenza a mezzo social: “Ringrazio l’On. Claudio Durigon – scriveva l’allora 29enne appena nominato – in qualità di Delegato Nazionale per le Politiche del Lavoro della Lega e Vice Segretario Nazionale UGL, per la mia nomina in qualità di Dirigente Sindacale Della Regione Lazio per i lavoratori autonomi e di partita iva. Senz’altro questa fiducia verrà ripagata con altrettanta lealtà ed impegno nei suoi confronti e del Segretario Regionale Armando Valiani nonché verso tutti i lavoratori che rappresenterò su tt il territorio regionale!”.
Dopo la pubblicazione dell’articolo di Latina Tu, quel post di Di Marcantonio – nel frattempo accolto a braccia aperte anche nella Lega locale, in cui era presente il suo amico Andrea Fanti, candidato alle elezioni comunali del 2016 e accusato dal collaboratore di giustizia Agostino Riccardo di voto di scambio – venne rimosso e nessuno più ha potuto vedere sulla bacheca del 32enne di Latina i ringraziamenti a Durigon. C’è di più.
All’indomani dell’articolo di Latina Tu, l’unico a prendere le difese di Di Marcantonio fu Andrea Fanti, imprenditore e leghista (alle ultime elezioni comunali si è presentato al suo posto il fratello), che si disse certo che tutto quello che scrivevamo su Durigon fosse falso e che Simone Di Marcantonio si sarebbe presto difeso. Una dichiarazione, rilasciata su Facebook ad agosto 2019, che fu sfortunata (tanto per rimanere sul velluto) per molti versi.
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A novembre 2019, Di Marcantonio fu coinvolto in un maxi sequestro di DDA romana e Guardia di Finanza di Latina che interessò buona parte del patrimonio di Sergio Gangemi, pregiudicato, più volte citato nei verbali dei pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo e ritenuto dalla DIA come uomo appartenente a una famiglia vicina alla ‘ndrangheta dei De Stefano di Reggio Calabria e alla ndrina Araniti. Insomma, un pezzo da novanta nel crimine pontino, operante tra Aprilia, Latina e Roma. Tra le società finite sotto sequestro ce ne era una, la Ride srl, intestata proprio a Di Marcantonio ritenuto prestanome di Gangemi, condannato quest’ultimo in secondo grado per estorsione mafiosa e collaborante almeno per un procedimento ancora coperto da segreto con l’autorità giudiziaria (non è diventato un collaboratore di giustizia).
Quel sequestro di beni, a giugno scorso, è diventato una confisca per decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che ha respinto i ricorsi dei vari prestanome di Gangemi.
Non è finita perché Di Marcantonio, secondo i collaboratori di giustizia Riccardo e Pugliese, non era proprio uno che passava per caso dalle parti di Gangemi. Agostino Riccardo, ad agosto del 2018, dichiarò alla DDA: “Un suo prestanome è Simone Di Marcantonio con il quale ha delle società che gestiscono centri per gli anziani a Latina e dintorni“.
Il pentito diede conto, per di più, in merito a un episodio nel quale Di Marcantonio fu vittima di una estorsione da parte di Agostino Riccardo medesimo e un appartenente alla banda Travali/Cha Cha (quella del processo Don’t Touch e dell’inchiesta antimafia Reset). Una volta che Di Marcantonio fu costretto a consegnare loro 250 euro sull’unghia, i due furono chiamati da Gangemi nella concessionaria Speed 2.0, con sede a Roma sulla Cristoforo Colombo, e ripresi dallo stesso perché Simone non si poteva toccare in quanto suo uomo di fiducia.
Concetto ribadito anche in un verbale reso a dicembre 2018: “Simone Di Marcantonio uomo di fiducia di Sergio Gangemi. Hanno società insieme sia nel settore delle automobili sia nel settore dell’assistenza agli anziani, hanno tre o quattro centri per le persone anziane. I centri si trovano a Sabaudia e Sezze e altri due non so dove si trovino. I centri venivano amministrati da Matteo Di Marcantonio, fratello di Simone“
Anche Renato Pugliese, l’altro “pentito”, insiste nel dire che Di Marcantonio aveva elevato il suo tenore di vita e per questo, con Agostino Riccardo, all’epoca entrambi incalliti estortori, “abbiamo cercato di metterlo in mezzo per spillargli qualche soldo. La sera stessa che lo abbiamo incontrato mi chiamò Gangemi, ci siamo visti e mi ha detto di non metterlo in mezzo che questa persona lavorava per lui e per qualsiasi cosa potevamo rivolgerci a lui“.
Prima di entrate in Ugl, peraltro, Di Marcantonio scriveva sul suo curriculum di avere avuto un ruolo in Confartigianato, all’epoca presieduta dall’imprenditore di Sonnino Luciano Iannotta, l’uomo che, secondo l’inchiesta di DDA e Squadra Mobile di Latina denominata “Dirty Glass” (il processo è in corso a Latina), riusciva a giocare su più tavoli: dai rapporti con i clan rom alla camorra fino a personaggi con parentele con uomini di ‘ndrangheta, passando persino per i servizi segreti.
E nell’inchiesta “Dirty Glass” spunta anche il nome del fratello di Simone Di Marcantonio, Matteo (non indagato), che sarebbe stato utilizzato da Iannotta e dall’allora braccio destro Natan Altomare, come prestanome, per il reperimento di fondi europei cercando di raggirare Invitalia Spa.
Della nomina in Ugl, provammo a chiedere al segretario regionale Ugl Armando Valiani, da pochi giorni dimessosi dalla carica di Segretario comunale della Lega di Latina. Valiani non volle rispondere e l’Ugl si rifugiò in una nota inviata a giornali e siti locali (tra cui anche Latina Tu) dicendo che Di Marcantonio non era più Dirigente regionale. Siamo nel novembre 2019.
Eppure quando viene pubblicato su Latina Tu il primo articolo riguardante Di Marcantonio e quella nomina di Durigon si era nell’agosto del 2019 e, a quanto risultò da accertamenti diretti compiuti, il 32enne pontino – che è stato arrestato nell’operazione di pochi giorni fa chiamata “Scarface” per aver commissionato un recupero crediti al rampollo emergente del Clan di Pantanaccio, Marco Ciarelli (leggi al link seguente i dettagli della storia), sfociato poi nel sequestro di persona di Emilio Pietrobono – era ancora dentro il sindacato.
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L’interesse di Latina Tu alla figura di Di Marcantonio si era originato dall’inchiesta “Alba Pontina”, quella che ha visto arrestati, processati e condannati per associazione mafiosa i componenti dell’altro ramo dei Di Silvio: i sinti di Campo Boario cappeggiati da Armando detto Lallà.
Di Marcantonio entrò in gioco di striscio nelle carte dell’inchiesta “Alba Pontina” poiché avrebbe promesso – a quanto raccontò la vittima di un’estorsione messa in piedi da Gianfranco Mastracci – 50 euro per votare il candidato sindaco Nicola Calandrini alle elezioni Comunali di Latina 2016 (leggi a questo link l’intera vicenda). Una circostanza a cui l’attuale senatore di Fratelli d’Italia non ha mai accennato né replicato e comunque ritrattata dalla vittima stessa che, interrogato in un’udienza del processo “Alba Pontina” dal Pm Luigia Spinelli svoltasi a fine novembre 2019, ha negato. La vittima si rimangiò l’episodio pur avendolo esplicitato in un verbale reso alla Squadra Mobile di Latina nelle fasi di indagine. Al che il pm Spinelli, in udienza, disse che si sarebbe assunto la sua responsabilità per quella ritrattazione. Ma c’è un particolare in più.
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Il giovane, vittima di estorsione, negò sì, ma a maggio 2019, ossia circa sei mesi prima di essere ascoltato come testimone nel processo, era stato querelato dal Di Marcantonio stesso. Un episodio, quello della doppia querela (fu querelato anche chi scrive), ricostruito su Latina Tu (leggilo qui per intero) all’indomani della pubblicazione della ficcante inchiesta “Follow The Money” di Fanpage compiuta dagli ottimi giornalisti Sacha Biazzo e Carla Falzone i quali, peraltro, hanno ricostruito per primi che, nella Gestione&Soluzioni, altra società di Di Marcantonio che dava il nome alla squadra di pallavolo di Sabaudia, era presente Emilio Pietrobono, affiliato al Clan di Romolo Di Silvio e corriere della droga di Fabio “Il Siciliano” Di Stefano. Pietrobono, come noto, è successivamente diventato collaboratore di giustizia una volta arrestato per detenzione di sostanze stupefacenti il 29 ottobre 2019.
L’arresto di Di Marcantonio conferma il collegamento tra ambienti borghesi della città e uomini appartenenti ai clan rom. Due mondi che si collegano e si incontrano nei locali à la page di Latina, la cosiddetta seconda città del Lazio. Qui si annusano i due mondi e poi si cementano in rapporti indicibili. È lo stesso Marco Ciarelli, figura emergente del Clan omonimo, a dire a Pietrobono, prestanome di Di Marcantonio nella società Gdo Service srl, reo di aver sottratto 12500 euro dal conto per darli a Fabio Di Stefano, che quella grana era roba sua.
Più banalmente è da quei contatti di strada, spesso davanti a un cocktail, che si arriva a una zona grigia dove si confondono ragazzi della piccola-media borghesia, criminali che girano armati fino ad arrivare a politici e imprenditori all’assalto del potere. È la Latina dell’ipocrita giostra a cui siamo abituati da anni.