IL CLAN DI ROMOLO: “ZINGARO CE DEVI NASCERE”. SPACCIO, AFFARI E IL RECUPERO CREDITI DELL’EX UGL

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Operazione Scarface: estorsioni e piazze di spaccio, l’ala del clan rom dei Di Silvio si dimostra feroce. Sgominato il clan di Giuseppe “Romolo” Di Silvio

C’è tutto il mondo della mala rom in questa inchiesta. C’è l’orgoglio zingaro e il loro razzismo verso quelli non rom come quando Carmine detto Porcellino, il numero due del Clan, dice del genero Daniel Alessandrini, pusher del sodalizio reo di far entrare in casa i non appartenenti alla famiglia per la droga: “…Perché lui è sempre un gaggio…Zingaro ce devi nascere…non ci puoi diventare“.

Giuseppe Romolo Di Silvio, sul trono altissimo descritto anche dai pentiti modello Scarface
Giuseppe Romolo Di Silvio, sul trono altissimo, descritto anche dai pentiti, modello Scarface

E c’è il boss Romolo che impartisce ordini da Rebibbia e che vede nel genero il suo vero erede, Fabio Di Stefano, e allora lo catechizza a modo suo perché un capo fa lavorare gli altri e mantiene le famigghie.

Romolo: Ma si più uomo, porco dio, ti dovevi mangiare…dovevi tenere tutta la città in mano…Ti sei fatto più carcere ma che stai combinando!…mannaggia la madonna addolorata!”
Fabio: Lo sai perché rido…perché te dici così… “ma tu sei pazzo”
Romolo: ma tutti questi ragazzi devono sottostare tutti sotto a te!… tu devi startene seduto cosi…
Fabio: stanno tutti in galera stanno
Romolo: E i ragazzi ti devono portare i “Cimari” (ndr: soldi)…come facevo io a casa, porco dio! Fabio: stanno tutti dentro!
Romolo: ohh…io ho avuto…per un anno e mezzo…ho portato avanti quattro famiglie…quattro famiglie ho portato avanti!…una famiglia di carcerati che avevo a fianco e più tutta la mia famiglia che avevo in casa e in più ho lasciato 60mila euro…non è vero?…e stavo con il coso al piede (ndr: braccialetto elettronico).

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Dei contorni dell’indagine coordinata dalla DDA di Roma e condotta dalla Squadra di Mobile di Latina si può immaginare tutto. Ormai, nessuno a Latina città nega la presenza di agguerriti clan che cercano di imporsi nel campo delle estorsioni, del recupero crediti e della droga. Ciò che, però, è più importante confermare è che il clan rom cosiddetto “Di Silvio” non è un monolite ma si divide in più famiglie. L’operazione “Scarface”, che prende il nome da una dichiarazione del collaboratore di giustizia Renato Pugliese in riferimento alla figura del boss Romolo (“aveva in casa una sedia altissima come Scarface“), si concentra sul clan del Gionchetto parallelo e persino in conflittualità con l’altro ramo della famiglia: quella facente capo ad Armando “Lallà” Di Silvio, già condannata nelle posizione dei figli del capo, ai reati di stampo mafioso.

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Ma come è un’associazione mafiosa quella di Lallà (per lui la condanna in primo grado a 24 anni), così lo è la famiglia di Romolo, al secolo Giuseppe Di Silvio, non designato al trono ma sostituto del compianto fratello Ferdinando Di Silvio detto Il Bello fatto saltare in aria nel luglio del 2003 con l’autobomba sul litorale di Latina.

Romolo, in carcere per il processo Caronte (che descrisse la cosiddetta guerra criminale del 2010) e per l’omicidio di Fabio “Bistecca” Buonamano, è il capo di un clan – secondo inquirenti, investigatori e i cinque collaboratori di giustizia (Pugliese, Riccardo, Pietrobono, Zuppardo e l’ultimo Pradissitto) – gestito in ambito famigliare, ossia in puro stile rom, ma che si potenzia con le parentele acquisite. A far parte del clan di Romolo ci sono i due fratelli Carmine detto Porcellino e Costantino detto Costanzo, i due figli Antonio e Ferdinando Di Silvio (Patatino e Prosciutto i loro soprannomi), Fabio Di Stefano sposato con la figlia detta Pellanera, oltreché ai sottoposti Daniel Alessandrini (anche lui imparentato con una figlia del fratello di Romolo, Carmine detto Procellino), Mirko Altobelli detto “Il Sinto” (sposato con una figlia di Carmine), Costantino Di Silvio detto Cazzariello, Angelo Crociara, Casemiro Ciotti, Mirko Lolli, Riccardo Mingozzi (legato fino al 2019 a una figlia di Romolo), Daniele De Ninno e Michele Petillo, quest’ultimo spacciatore conteso prima nelle disponibilità del Clan Travali, poi costretto da Romolo a spacciare per lui. Una sorta di “cavallo di razza” dello spaccio, capace di grandi profitti nella zona pub della movida latinense.

A lato di queste figure ci sono i fratelli di Romolo Di Silvio, Carmine detto Porcellino o o Sale che ebbe un ruolo apicale nella guerra criminale del 2010 e Costantino detto Costanzo incensurato fino a quando fu arrestato nel dicembre del 2020 insieme ai figli di Romolo per una serie di estorsioni messe a segno a Latina. L’operazione si chiamava Movida, un vero e proprio antipasto di quella che più compiutamente ha rappresentato, con l’operazione odierna “Scarface”, un colpo durissimo al clan del Gionchetto.

Tanti gli episodi contestati. Tutto è partito dall’indagine Movida che vide un uomo trovato intriso di sangue al Piccarello dopo un pestaggio subito nei pressi di un locale, per un periodo molto alla moda, i cui titolari furono estorti da Costanzo Di Silvio descritto come organizzatore del clan insieme a Carmine e Fabio Di Stefano “Il Siciliano” i quali, da sempre, hanno avuto una caratura criminale più pesante rispetto al suddetto Costanzo.

Costantino Di Silvio detto Costanzo
Costantino Di Silvio detto Costanzo: arrestato su richiesta della DDA insieme a Prosciutto, Patatino e Pescio Di Silvio, e a Luca Pes. L’operazione è stata denominata “Movida Latina”. Costantino detto Costanzo è fratello di Giuseppe detto Romolo, Carmine detto “Sale” o “Porcellino” e del defunto e più grande tra i quattro Ferdinando detto “Il Bello”. Tutti sono figli del capostipite di una delle due maggiori famiglie che portano il nome Di Silvio a Latina: Antonio Di Silvio detto “Papù”. Considerate l’uccisione di Ferdinando “Il Bello” con l’autobomba nel 2003, e le carcerazioni di “Romolo” e Carmine detto “Porcellino”, Costantino “Costanzo” Di Silvio era il reggente dei Di Silvio ala Romolo

Individuate dagli investigatori le piazze di spaccio controllate dal clan di Romolo: Viale Kennedy (zona Cimitero) coordinata da Carmine detto Porcellino; Villaggio Trieste; zona Pub, Pontinia (il referente Angelo Crociara); Casalbruciato tra Sezze e Pontinia (referente: Casemiro Ciotto detto Miro).

Per quanto riguarda le modalità vessatorie e l’assoggettamento del territorio nei confronti delle vittime, “caratteri comuni delle estorsioni riconducibili agli appartenenti al sodalizio facente capo a Giuseppe Di Silvio detto Romolo – si legge nell’ordinanza firmata dal Gip di Roma – hanno mostrato, sotto il profilo delle modalità della condotta, l’utilizzo di un metodo tipicamente riconducibile alle mafie tradizionalmente intese, e caratterizzato dalla prospettatione di ogni ritorsione alle vittime in chiave “plurale”; dalla spendita del cognome quale segno di appartenenza al sodalizio, per rendere ancora più efficace intimidatoria delle azioni minacciose e violente nonché dal riferimento ai precedenti giudiziari degli appartenenti al gruppo per coartare la volontà delle vittime; inoltre le somme coattivamente riscosse sono destinate al sostentamento dei detenuti, finalità correlata a manifestare l’inserimento dell’estorsore in un gruppo criminale all’interno del quale alcuni sodali si trovano ristretti in carcere (evidentemente per gravi reati), circostanze che radicano pacificamente l’ipotesi di cui all’aggravante dell’art.416 bis c.p.”

Di episodi estorsivi, oltre a quelli già evidenziati dall’operazione Movida, se ne contano diversi: al noto ristorante ubicato al Porto di Anzio; all’uomo che doveva vendere per forza e al prezzo stabilito da Ferdinando detto Prosciutto l’autovettura; al ristorante alla periferia di Latina dove i titolari furono costretti a pagare per un debito maturato da un dipendente; a un assuntore di droga; a un altro ristorante, sempre a Latina, stavolta al Lido, dove si consumava, così come ad Anzio (dove l’affiliato dei Travali, secondo il pentito Riccardo, spese la cifra di 150mila euro per un battesimo), pretendendo di non pagare nulla; persino al titolare di un esercizio di scarpe a Sermoneta Scalo; al titolare di un bar a Nettuno; ai danni di una frutteria dove Anna Di Silvio detta Gina pretendeva di prendere la merce senza pagare. E, infine, c’è un’estorsione, quella più particolare, che ha coinvolto come mandante l’uomo ritenuto prestanome di Sergio Gangemi: si tratta del giovane Simone Di Marcantonio, già incontrato in altre vicende poiché nominato dall’ex sottosegretario della Lega Claudio Durigon come dirigente dell’Ugl e peraltro in rapporti con l’imprenditore, ora sotto processo, Luciano Iannotta; non ultimo, menzionato da un assuntore di droga, nelle fasi di indagine “Alba Pontina”, come un personaggio che offriva 50 euro per votare alle elezioni comunale di Latina nel 2016 l’attuale senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini. Episodio, però, ritrattato dall’assuntore di droga nel corso di un’udienza del processo scaturito dall’indagine Alba Pontina.

L’estorsione che ha riguardato Di Marcantonio (accusato anche lui con l’aggravante mafiosa) è importante perché, secondo la DDA, avrebbe potuto scatenare una vera e propria guerra tra i Di Silvio ala Romolo detto “Scapocchione” – o, da oggi, “Scarface – e i Ciarelli.

A essere protagonista dell’episodio anche un attuale collaboratore di giustizia: Emilio Pietrobono che tanto ha contribuito con le sue dichiarazioni all’operazione odierna.

Tutto nasce dal fatto che Pietrobono aveva il ruolo di prestanome della Gdo Service srl, una società riconducibile a Simone Di Marcantonio. Siamo nel 2019, Emilio Pietrobono, anche corriere della droga per conto di Di Stefano, vero reggente del clan di Romolo da quando lui è in carcere (peraltro uomo che viene raffigurato come scaltro e tosto, uno il cui padre, anche lui arrestato oggi, è stato a contatto con cosche siciliane), utilizza dei soldi dal conto della Gdo service srl per consegnarli a Di Stefano: 12mila e 500, non briciole e forse anche di più.

Istigato da Di Stefano, non in buoni rapporti con Di Marcantonio (secondo Pietrobono “lo aveva fatto arrestare tre o quattro anni prima”), Pietrobono preleva la somma per acquistare sostanza stupefacente e poi rivenderla.

Pietrobono racconta di essere amministratore fittizio della Gdo service srl dal novembre 2018 per espressa richiesta di Di Marcantonio. Peraltro Pietrobono, come rivelato dall’inchiesta di Fanpage su Durigon, siede all’interno anche della società Gestione&Soluzioni di Sabaudia.

Ad ogni modo, scoperto il prelievo, Di Marcantonio, per recuperare i soldi, si rivolge a una delle figure più emergenti del Clan Ciarelli: Marco Ciarelli, figlio di Luigi Ciarelli già condannato in secondo grado per narcotraffico dal Cile e indagato anche nell’operazione Reset per reati aggravati dal metodo mafioso (sarebbe stato il fornitore di hashish dei fratelli Travali).

Marco Ciarelli, insieme a un altro noto personaggio alle Forze dell’Ordine, Manuel Agresti, non può che agire in un solo modo, secondo le leggi della mala. I due, Ciarelli e Agresti, sequestrano Pietrobono, minacciandolo con una pistola.

“Marco mi diceva – racconta Pietrobono in uno dei verbali – che i soldi di quell’assegno non erano di Di Marcantonio ma dei Ciarelli”. Accompagnano in banca Pietrobono, gli intimano di bloccare l’assegno circolare con gli oltre 12mila euro del conto della GDO.

Sergio Gangemi e Simone Di Marcantonio
Sergio Gangemi e Simone Di Marcantonio

Pietrobono non si dà per vinto e riesce a contattare Fabio Di Stefano che insieme al fratello Alessandro (anche lui arrestato quest’oggi nella medesima operazione) raggiunge i sequestratori e il sequestrato nei pressi della banca.

Di Stefano e Ciarelli parlano, sono tranquilli. Poco prima, infatti, Di Stefano con il padre Salvatore si era recato da Luigi Ciarelli, il padre di Marco, all’epoca detenuto ai domiciliari. La discussione captata dagli investigatori è accesa.

Luigi CIARELLLI: “…TU AVANZI, IO AVANZO…”
Fabio DI STEFANO:”…OGNUNO PRENDE I SUOI, CHE MI FREGA A ME
Luigi CIARELLI :”…NON SO ADESSO COME È LA SITUAZIONE…PARLO CONI I MIEI FIGLI, LORO MI SPIEGANO BENE, DOPO TI SPIEGO…PERÒ TI DICO GIÀ IN PARTENZA, SE PERDI SONO PROBLEMI TUOI FABIO…”
Fabio DI STEFANO “…SÌ, PERÒ FA CHE MI VA A BLOCCARE L’ASSEGNO, NO”
Luigi CIARELLI: “…TE L’HA IIA BLOCCATO MIO FIGLIO…
Fabio DI STEFANO: “…SEQUESTRATO E STANNO A FA BLOCCA L’ASSEGNO NO?…”
Luigi CIARELLI: “..SONO PROBLEMI SUOI FABIO, NON SONO PROBLEMI MIEI, CAPITO? STAI IN MEZZO ALLA STRADA COME STA IN MEZZO ALLA STRADA PURE LUI…”
Fabio DI STEFANO: “…E QUINDI I SOLDI NON LI PERDO, ZÌ…TI PARLO PROPRIO CHIARO, I SOLDI NON LI PERDO…”

Al che vista la temperatura alta – dopo tutto, seppure fiaccato da arresti, Luigi Ciarelli è un boss – il padre di Di Stefano, Salvatore Di Stefano, interviene per pacificare: “ASPETTA UN ATTIMO, SCUSA UN ATTIMO…”. E riferito al figlio, visto che Luigi Ciarelli non avrebbe mosso un dito: “SE LO VAI A BLOCCARE TE L’ASSEGNO?”.

Alla fine dei giochi, Fabio Di Stefano parla con Marco Ciarelli e trovano una soluzione che prevede soldi per entrambi: “Marcoli’, guarda se tu vai a casa, io so’ andato a parla’ co papà tuo, perché non sapevo come rintracciatte e papà tuo si è arrabbiato come giustamente, dice “a Fa’ ma vieni qua…m’ha strillato…però poi ha parlato co papà mio perché, vabbe’ loro c’hanno cinquant’anni e se capiscono”. Di Stefano ha già incassato l’assegno che Marco Ciarelli voleva far bloccare a Pietrobono e, dopo il colloquio col padre, lo stesso Ciarelli junior desiste.

Nelle pieghe delle intercettazioni peraltro si evince di come Pietrobono si sarebbe prestato ad altri affari di società con Di Stefano il quale, ad ogni modo, non poteva che trovare una soluzione considerato che suo cognato, Antonio Di Silvio detto Patatino, è genero di Luigi Ciarelli avendo spostato la figlia Giulia.

A bocce ferme, quando il dissidio Ciarelli/Di Stefano-Di Silvio è scongiurato, in altre intercettazioni il clan di Romolo si bea del risultato e raffigura la scena come se il boss Luigi e il figlio Marco avessero sottostato al potere del clan che da Via Pionieri della Bonifica hanno conquistato parte di Latina, giovandosi anche degli arresti dei Travali (che dominavano la piazza di spaccia iper-remunerativa della zona pub) e anche degli ultimi che hanno coinvolto nel 2018 i cugini odiati che abitano sull’altro lato di Campo Boario: il gruppo di Armando Di Silvio.

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