PROCESSO SCHEGGIA, CHIESTI 7 ANNI E MEZZO PER CETRONE E PAGLIAROLI. 13 ANNI PER I DI SILVIO

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Gina Cetrone
Gina Cetrone

Processo Scheggia: il Pubblico Ministero Luigia Spinelli ha chiesto le condanne per l’ex consigliera regionale del centrodestra Gina Cetrone e il clan Di Silvio

Al termine di requisitoria iniziata intorno alle 15 di oggi, 18 ottobre, il Pm Luigia Spinelli, che ha firmato l’inchiesta denominata Scheggia, insieme al collega della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Corrado Fasanelli (anche lui presenta in Aula), e alla Squadra Mobile di Latina, ha chiesto le condanne per tutti gli imputati: Gina Cetrone, l’ex marito Umberto Pagliaroli, il capo famiglia del clan Di Silvio, Armando detto “Lallà”, e il figlio di quest’ultimo, Gianluca Di Silvio.

Per Cetrone e Pagliaroli chiesti 7 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno, più 7mila euro di multa; per i due Di Silvio, 13 anni di reclusione oltreché a una multa da 15mila euro.

Nella scorsa e ultima udienza di dibattimento tenutasi a settembre, a tenere banco dinanzi al Collegio del Tribunale di Latina presieduto dal Giudice Caterina Chiaravalloti, è stato il confronto-scontro tra Gina Cetrone e Agostino Riccardo. Un vis a vis che è stato una vera e propria prima volta nella storia giudiziaria della città di Latina.

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Come noto, agli imputati, a vario titolo, nel procedimento, vengono contestati i reati di estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, più gli illeciti connessi alle elezioni amministrative di Terracina 2016. Processato a parte, essendo correo, Agostino Riccardo, il collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni hanno avuto un peso rilevante nelle disposizioni accusatorie degli inquirenti.

A settembre scorso, Riccardo, video collegato dal carcere, non aveva avuto tentennamenti e aveva deciso di confrontarsi con Cetrone. Solo su un punto i due si sono trovati d’accordo: a presentare Riccardo a Gina Cetrone fu, nel 2013, poco prima della campagna elettorale per le Regionali dove l’imprenditrice era candidata con Fratelli d’Italia, l’allora Sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi. L’ex affiliato al Clan Di Silvio aveva confermato in aula tutto ciò di cui sono accusati gli imputati: dall’estorsione ai danni dell’imprenditore di Pescara, Massimo Bartoccini, che sarebbe stata commissionata al clan Di Silvio, via Riccardo, da Cetrone e Pagliaroli; ai rapporti tra il sodalizio rom e gli interessi politici dell’ex esponente politica – prima col Pdl, poi con Fratelli d’Italia, infine con “Cambiamo con Toti” – che avrebbe dato mandato a Riccardo di occuparsi della sua campagna elettorale a Terracina, quando Cetrone, nel 2016, era candidata prima come Sindaco e poi come consigliere comunale, a sostegno dell’allora candidato primo cittadino, Gianluca Corradini, nella lista “Sì Cambia”.

Punti dirimenti dell’intera vicenda giudiziaria che, oggi, prima il Pm Spinelli (che si è occupata dell’estorsione) e, poi, il collega Fasanelli (concentrato, invece, sulla campagna elettorale del 2016), hanno ripercorso in aula: vicende emerse dall’inchiesta e dal processo e che, secondo la DDA, si palesano come episodi passibili di condanna con l’aggravante mafiosa.

Prima di partire, i due Pm dell’Antimafia hanno presentato alla Corte una memoria scritta. Il Pm Spinelli lo ha scandito a chiare lettere: nel caso del recupero crediti commissionato da Cetrone e Pagliaroli a Riccardo e ai Di Silvio (compreso Samuele Di Silvio, imputato che nel corso del processo è deceduto nel carcere siciliano dove era ristretto), si è trattato di estorsione col metodo mafioso.

Passarono a casa della madre della Cetrone, Samuele e Gianluca Di Silvio e Agostino Riccardo nell’aprile del 2016 proprio perché lì, secondo l’accusa, avrebbero trovato l’imprenditore pescarese indietro con i pagamenti, il quale sarebbe stato assoggettato completamente dal nome dei cosiddetti “zingari di Latina”, temendo vieppiù un collegamento con gli “zingari” della sua città, Pescara: ossia i Ciarelli.

Agostino Riccardo, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa col clan Di Silvio capeggiato da “Lallà”, e per decine di estorsioni di cui era organizzatore per conto di Lallà, era per l’Antimafia anche l’organizzatore delle attività elettorali. Attività elettorale fatte per conto dei politici, in questo caso di Gina Cetrone, in cambio di soldi: 80mila euro in contanti e due assegni da 7mila euro.

Un rapporto nato nel 2013, quello tra Cetrone e Riccardo, e sviluppatosi senza soluzione di continuità. Fu Pagliaroli – spiega il Pm Spinelli – a telefonare per il credito che lui e l’ex moglie avevano nei confronti dell’imprenditore di Pescara e Riccardo, pur risultando in in sorveglianza speciale, si recò a Capocroce (Sonnino) a casa della madre dell’ex consigliera regionale dove avrebbe trovato Cetrone, l’imprenditore di Pescara e Pagliaroli. Tuttavia, secondo l’accusa, Riccardo ebbe il placet di Armando Di Silvio detto “Lallà”: per tale ragione all’incontro di Capocroce, orchestrato per far sì che l’imprenditore pescarese pagasse, erano presenti con Riccardo anche i due figli del boss, Samuele e Gianluca Di Silvio.

Sia Riccardo che i due Di Silvio, successivamente, sono stati riconosciuti in sede d’indagine e in aula dall’imprenditore pescarese quando fu chiamato a testimoniare e disse nettamente di aver pagato per la paura.

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“Qua dobbiamo recuperare i soldi – dice Riccardo riportando le parole di Cetrone quando fu ascoltato una volta divenuto collaboratore di giustizia – Cetrone mi disse: ‘sto pezzo di merda mi ha rovinato, domani andate a Pescara a prendere i soldi“. E ciò che riporta Riccardo – sottolinea il Pm – ha avuto riscontri con i tabulati: in quell’aprile del 2016 vi furono, infatti, telefonate da Cetrone al numero di Samuele Di Silvio e altre due chiamate all’indirizzo di Riccardo. La mattina dell’11 aprile 2016 risultarono contatti diretti proprio per chiedere in in modo perentorio i soldi, mentre l’imprenditore cercava di prendere tempo.

È così, a quanto risulta dalla ricostruzione dell’accusa, che i Di Silvio e Riccardo, facendo valere la fama criminale del sodalizio rom, intimidirono l’imprenditore, lo scortarono a Pescara e lo costrinsero a effettuare il bonifico. Ed è sempre Armando Di Silvio, ossia il capo, ad autorizzare il recupero credito. In sostanza, Riccardo aveva la capacità di rapportarsi con chi doveva recuperare i crediti mentre loro, i Di Silvio, mettevano il nome come fosse un “brand” del terrore stabilendo così, per il caso di Cetrone e Pagliaroli, il compenso “per un più ampio accordo” che andava dall’estorsione all’imprenditore alla campagna elettorale. A dircelo – spiega il pm Spinelli – sono le chat di “messenger” che Riccardo ha messo a disposizione agli inquirenti cedendo le password di Facebook.

Le conversazioni tra Cetrone e Riccardo, per il Pm Spinelli, sono confidenziali e, in queste, Cetrone crea aspettative per una loro collaborazione sia per le elezioni 2016 che per quelle future; oltreché, nelle svariate chat, la stessa Cetrone, dimostrando di avere confidenza con Riccardo, disse che avrebbe voluto rivalersi sul “fratellino d’Italia”, ossia quel Pasquale Maietta, allora leader incontrastato a Latina e non solo per il partito di Giorgia Meloni, verso cui nutriva un suo disappunto per ciò che era successo nel 2013: vale a dire quando Cetrone seppe da Riccardo stesso che le stavano facendo le scarpe a Roma e che i voti della Curva del Latina Calcio, all’epoca guidato da Maietta, sarebbero stati deviati non più a lei stessa, ma all’allora candidato in Regione Lazio, Nicola Calandrini, oggi senatore della Repubblica.

Di quell’incontro a casa della madre della Cetrone, avvenuto ad aprile, il Pubblico Ministero ha voluto ricostruire tutte le fasi: la Cetrone era agitata e l’imprenditore debitore non poteva pagare. Sarebbe stata l’ex consigliera regionale e imprenditrice (l’imprenditore pescarese le doveva dei soldi per la fornitura di vetro) a dire al debitore di aspettare perché stavano per arrivare gli zingari di Latina. Al che Bartoccini (ossia l’imprenditore di Pescara), impaurito, contattò il suo socio: “Chiamami ogni 5 minuti e se non rispondo chiama le forze dell’ordine“.

Un uomo, Bartoccini, che si trova a casa della madre della sua fornitrice con cui è in debito, la sua auto bloccata da quella di Riccardo e dei due Di Silvio nel vialetto della villa e la paura di avere a che fare con i cosiddetti “zingari di Latina”, molto simili a quei “Ciarelli di Pescare” che conosce bene e di cui sa la fama criminale. Un ambiente così, secondo l’accusa, non solo ha prodotto una estorsione, vieppiù con l’aggravante di subirla da appartenenti ad una associazione mafiosa.

E per il Pm Spinelli e il Pm Fasanelli, le dichiarazioni di Cetrone rese in Aula durante il processo, tramite spontanee dichiarazione o, a settembre, nel corso del confronto con Riccardo, sono inverosimili e smentite dalle fonti di prova: “Sono inconsistenti“, sostiene il Pm Spinelli e a tratti “surreali e comiche“.

“Nell’episodio dell’incontro con Di Giorgi e Maietta, questi due le suggeriscono di rivolgersi a Riccardo – puntualizza il Pubblico Ministero – per la campagna elettorale e, quando glielo indicano, Cetrone non chiede perché il Riccardo avesse questo potere a Latina. Dalle chat emerge un rapporto da pari a pari con un uomo definito da lei stessa come uno da strada”.

E ancora: “Cetrone dice che si sarebbe arrabbiata perché Bartoccini era a casa della madre a braccetto con Riccardo e parlavano degli zingari”. Ma questa, secondo il Pm Spinelli, è “una scena surreale e inverosimile”, poiché solo il giorno dopo Bartoccini sarebbe stato scortato a Pescara da Riccardo e i due Di Silvio così da bonificare 15mila euro a Cetrone e dare per il disturbo agli “zingari” la cifra di 600 euro. “C’è un aspetto comico – incalza il Pm Spinelle – perché Cetrone dice di avere cacciato gli zingari ma solo poche ore prima aveva chiamato Samuele Di Silvio“.

Secondo l’accusa, dunque, la macchina di Bartoccini era bloccata dall’auto di Riccardo nel vialetto della casa della madre di Cetrone. Secondo l’ex esponente politica vi sarebbe la prova del contrario: una foto della madre pubblicata su Facebook che, però, – spiega il pm Spinelli – ritrae l’autovettura in un determinato minuto, ma Bartoccini è stato per molto più tempo a Capocroce.

Per il recupero del debiti – il pm Spinelli ne è sicura – “gli zingari erano la sua garanzia“. E sono i risultati dei tabulati telefonici a raccontare la storia dei rapporti di Cetrone con i Di Silvio. Sussiste il metodo mafioso – secondo la pubblica accusa – e la Cetrone sa bene chi sono gli zingari di Latina: “Persone – incalza il Pm Spinelli – che hanno fatto un macello sin dal 2010“. A testimoniarlo varie sentenze, a partire da quella denominata “Caronte”, quando i Ciarelli e i Di Silvio si misero insieme per scatenare la cosiddetta “guerra criminale pontina”.

Per quanto riguarda la vicenda elettorale, è stato invece il Pm Fasanelli a sostenere l’accusa in aula: “la prova dei reati è la testimonianza di Gianluca D’Amico“, ha detto il giudice antimafia: “Loro erano gli zingari di Latina – ha spiegato D’Amico agli inquirenti – e noi dovevano stare in silenzio sennò succedeva la terza guerra mondiale”.

In quel maggio 2016, D’Amico, insieme al defunto Matteo Lombardi, stava facendo la campagna elettorale per il padre Gianni D’Amico, candidato sindaco alle elezioni comunale di Terracina 2016. È quando si trovò a rivaleggiare con Riccardo e i Di Silvio per la visibilità che, poco dopo, in località “La Fiora”, si trova tutti i manifesti del padre strappati.

Al che D’Amico non protesta e, scandisce il Pm Fasanelli,: “Prende la macchina e va via. La Fiora quel giorno era nelle mani del clan Di Silvio“. Gli zingari di Latina costituivano il passepartout per ottenere ciò che si voleva. L’abbraccio mortale tra i Di Silvio e Riccardo con Cetrone e Pagliaroli sarebbe dimostrato dalle conversazioni e dagli SMS nei giorni al 28 e 29 maggio 2016.
Pagliaroli parla con Riccardo: “A La Fiora tutto D’Amico, questo sta a rompe er cazzo“. E il 29 maggio, Pagliaroli dice a Riccardo: “Me so’ rotto er cazzo di D’Amico, sta attaccando tutto lui su Gina. Fai il lavoro che sai fare, ricordati che ci sono le Regionali“. Riccardo e i Di Silvio dovevano garantire la massima visibilità.

“Siamo stati chiamati non per attaccare i manifesti ma per non farli togliere”, spiegò agli inquirenti Riccardo, proprio perché i Di Silvio erano garanzia di intoccabilità. Ma, ragiona il Pm Fasanelli, “per Terracina perché chiamare soggetti che venivano da Latina? Perché bisogna disturbare i componenti del clan Di Silvio. Perché li ingaggiano? Lo fanno perché hanno bisogno che a Terracina si veda solo Gina Cetrone“.

E ancora. “Mi occorrerebbe una grande mano”, disse Cetrone e Riccardo riferendosi alle elezioni per Terracina 2016. E Riccardo le rispose: “Ti ho tempestata la piazza di manifesti”. E anche la dichiarata distanza tra Cetrone e Pagliaroli sarebbe smentita dalle prove: “Loro si muovono all’unisono“, sostiene il Pm Fasanelli. Per di più, non vale, secondo l’accusa, neanche l’indifferenza dichiarata da Cetrone nei confronti di quell’elezione del 2016 (alla fine l’ex esponente del centrodestra pontina non fu eletta in consiglio comunale) poiché, dopo il deludente risultato, “stava pensando di fare ricorso per contestare circa 300 voti“.

Infine, c’è solo una volta che Riccardo si presenta a casa della madre di Cetrone senza essere invitato: non nell’aprile 2016 quando c’era l’imprenditore pescarese, in seguito estorto, ma a settembre del 2016 nel momento in cui, ad essere indietro con i compensi per i servizi resi, sarebbe stata la stessa Cetrone. Lì, secondo il Pm Fasanelli, Cetrone capisce che il mancato pagamento ai Di Silvio poteva essere un problema e disse “Così chiudiamo questa storia”, in riferimento a ciò che spettava ancora a Riccardo e al suo clan.

Conclusa la requisitoria, sono iniziati gli altri interventi: l’avvocato Manasseri per l’Associazione Caponnetto, costituita parte civile, e, infine, l’avvocato di Armando “Lallà” Di Silvio, Luca Giudetti, che ha chiesto per il suo assistito l’assoluzione perché, secondo il legale, non era a conoscenza di ciò che faceva Agostino Riccardo e perché neanche la vittima di estorsione aveva percezione della mafiosità del clan rom. Il prossimo appuntamento è fissato per il 25 ottobre quando a proporre le arringhe in Aula saranno gli altri avvocati del collegio difensivo: Lorenzo Magnarelli, Oreste Palmieri e Domenico Oropallo.

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