MAFIE NEL LAZIO: IL RAPPORTO CHE CITA LE MINACCE DEL CLAN CIARELLI CONTRO LATINA TU

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MAFIE NEL LAZIO

Presentato nel cortile di una villa dei Casamonica sequestrata a Roma, il V Rapporto “Mafie nel Lazio” dedica, come di consueto, una parte alla provincia di Latina. Menzionato anche Latina Tu per le minacce ricevute dalle donne del Clan Ciarelli quando furono pubblicate notizie e approfondimenti sulle confische alle case di Via Andromeda e Via Plutone

È un rapporto, in onore del centenario della nascita del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che si basa sulla storia criminale regionale fino all’anno 2019 il V di “Mafie nel Lazio”. A farla da padrona è Roma avviluppata dai molteplici tentacoli di vecchie e tradizionali consorterie e minacciata vieppiù da quella nuove che hanno come colonna sonora il Trap e dove ci sono preoccupanti addensamenti di narco-clan di periferia pronti a fare il salto di qualità: tra le “nuove” famiglie, i Cordaro di Tor Bella Monaca e i Primavera di San Basilio.

A cura di Norma Ferrara, Edoardo Levantini e Ilaria Meli, il Rapporto è stato presentato quest’oggi nella villa di Via Roccabernarda 8 dentro il quartiere della Romanina a Roma, alla presenza di diverse autorità: il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Presidente dell’Osservatorio Legalità e Sicurezza della Regione Lazio Gianpiero Cioffredi, il Direttore della Dia di Roma Francesco Gosciu, il Fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il Prefetto di Roma Matteo Piantedosi.

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È proprio nella parte dedicata ai nuovi narco-imprenditori che spuntano due nomi ben conosciuti alle latitudini pontine. Si tratta di Gennaro Amato e Carlo Zizzo, il primo originario di Afragola, e da tempo trapiantato a Cisterna, già vittima di un attentato patito da Carmine Ciarelli e poi coinvolto in più processi e indagini; il secondo, elemento apicale del narcotraffico a Fondi, insieme al fratello Alfredo, legato a uno dei quattro Re di Roma, Michele Senese detto ‘O pazz.

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Recentemente, le cronache hanno ritrovato Amato a banchettare nel carcere di Latina insieme ad Angelo Travali e Massimiliano Del Vecchio (coinvolto anche nel processo “Certificato pazzo” con al centro gli scandali dei certificati medici), quest’ultimo contiguo agli Zizzo.

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Secondo il rapporto “Mafie nel Lazio”, una “caratteristica comune a tutti i maggiori “narco imprenditori” della capitale – da Tor Bella Monaca a San Basilio – è proprio il tentativo sistematico di evitare la detenzione in carcere. Provano in tutti i modi a fare carte false per ottenere misure meno restrittive come la permanenza in comunità di recupero dove talvolta – come raccontano alcune indagini – continuano a gestire il traffico di stupefacenti. È il caso di due tra più importanti narcotrafficanti del Lazio Carmine Zizzo (ndr: Carlo) e Gennaro Amato“.

La relazione composita del V rapporto dedica, come usualmente fa ormai da anni, alla provincia di Latina un capitolo intero concentrandosi, oltreché sui noti clan che la infestano, anche sul pool Antimafia che ormai è precipuamente dedicato al territorio pontino e di cui parlò diffusamente l’attuale Procuratore Capo di Roma Michele Prestipino, nell’audizione presso la Commissione Antimafia del Parlamento nel gennaio scorso. Un pool che si trova a Roma ma che collabora con la Procura di Latina e con i magistrati Antimafia di Napoli proprio perché, ormai, come noto da anni, la pianura pontina e il sud pontino sono terreno di reinvestimenti illeciti tramite colletti bianchi, famiglie legate a clan tradizionali di camorra e ‘ndrangheta e veri e propri clan autoctoni. In più, e questo lo spiegò bene Prestitipino, non sono mancati episodi incresciosi che hanno corrotto qualche indagine a causa di infedeltà negli organi investigativi.

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Nel merito delle dinamiche criminali, tanti gli episodi riportati che vedono protagonisti, per Latina, i clan Di Silvio e Ciarelli e, per Aprilia, Sergio Gangemi, Patrizio Forniti, la famiglia Montenero e alcune vecchie consorterie di ‘ndrangheta che hanno costituito il battesimo criminale del nord pontino e del litorale sud romano (Gallace, Araniti e Alvaro di Sinopoli).

APRILIA – La vicenda dei fratelli Gangemi è quella su cui il Rapporto si concentra diffusamente quando arriva a spiegare la situazione del nord pontino, su cui piani regolatori concepiti “in un certo modo” e speculazione selvaggia (copyright dell’ex Questore di Latina Giuseppe De Matteis, citato nel Rapporto) fanno da sfondo invasivo.
L’indagine su Sergio Gangemi, poi condannato per la stessa in primo grado (estorsione mafiosa), è quella nota dei Carabinieri del gruppo di Frascati che ebbe origine il 31 luglio del 2016 dopo una sparatoria: 28 colpi calibro 223 contro la villa dell’imprenditore Valter Bencivegna. Una lunga scia di attentati che costrinse il socio di Bencivegna, Saverio Ciampi, a rifugiare con la famiglia in Spagna.

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Ma il rapporto non si ferma solo ai processi complessi come quello, c’è anche l’episodio di Cristian Battello detto “Schizzo” che confermò all’opinione pubblica la difficoltà di un quartiere – il Toscanini di Aprilia – a uscire da alcune logiche di omertà. L’uomo di Travali, condannato nel processo Don’t Touch, che avvertì il suo capo riguardo a un’attività di intercettazione, minacciò i Carabinieri rei di averlo fermato.

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Fu parte di quel quartiere che, invece di schierarsi con lo Stato, si mise a tifare per il pregiudicato (peraltro immortalato in un murales che ha campeggiato per settimane nel quartiere). Comportamenti confermati anche da quello che successe il 28 gennaio del 2020 quando alcuni operai, per conto del Comune di Aprilia, vennero bersagliati da uova, arance e bottiglie mentre stavano installando delle telecamere per la videosorveglianza.

PONTINIA – Nel rapporto non poteva non finire l’indagine più importante nell’ambito dei rifiuti in provincia di Latina (almeno negli ultimi due anni), quella denominata Smoking Fields. Un’inchiesta che ha portato al sequestro degli impianti di compostaggio della famiglia Ugolini ma che, a distanza di un anno e mezzo, non ha ancora visto neanche la conclusione né tantomeno un’udienza.

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SUD PONTINO – Sono due gli ambiti citati principalmente. Il Piano integrato di Sperlonga e la relazione elaborata dai Carabinieri locali e la Formia di Katia Bidognetti e Angelo Bardellino, rammentando che la famiglia di quest’ultimo si trapiantò nel Golfo in seguito all’espulsione decisa ormai più di 30 anni fa da Francesco “Sandokan” Schiavone. Nessuna citazione per la Commissione regionale in cui, a febbraio 2019, chiamati a relazionare sulla situazione del territorio, si presentarono solo 3 sindaci su otto (il nono, quello di Anzio, Candido De Angelis, disertò anche lui). L’unica a parlare di camorra e delle famiglie che vivono sul territorio fu il sindaco di Formia Paola Villa la quale, per quelle parole, si è attirata l’odio di molti e anche qualche guaio giudiziario.

CLAN SINTI – Dei Di Silvio sappiamo tutto. Non poteva non essere ricordata l’inchiesta Alba Pontina, i processi, i legami con la politica (menzionato il procedimento giudiziario per estorsione mafiosa a carico dell’ex consigliera regionale Gina Cetrone), gli episodi di estorsione, lo spaccio. Per spiegare la supponenza del clan Di Silvio, viene citato l’interrogatorio dell’avvocato Gianluca La Starza, patron del calcio a 5 pontino, recentemente coinvolto in uno scandalo a luci rosse.

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Il rapporto cita La Starza per dar corpo a ciò che disse il Procuratore Prestipino il quale ricordò che neanche a Reggio Calabria o a Palermo, dove aveva lavorato, i clan se la prendevano con gli avvocati: “La scelta strategica di aggredire persino alcuni avvocati ha una funzione intimidatoria. La libertà di esercizio della difesa è uno dei sintomi e degli indici di democraticità di un sistema. Quando un’organizzazione criminale aggredisce anche su quel versante le regole del gioco democratico, francamente c’è da preoccuparsi“.

Emblematico, così lo definisce, l’episodio di estorsione che vide coinvolto La Starza nel 2015 soggiogato da Costantino “Cha Cha” Di Silvio il quale, nonostante il cognome, non faceva però parte del Clan Di Silvio di Campo Boario al centro dei processi Alba Pontina.

Domanda a La Starza: “Ha mai ricevuto richieste estorsive da Costantino Di Silvio e Angelo Travali?
Risposta: Da Angelo Travali non ho mai ricevuto alcuna richiesta estorsiva, mentre ho consegnato del denaro a Costantino Di Silvio che mi chiese sotto forma di prestito.

Domanda: A quale epoca risale la vicenda?
Risposta: All’anno 2015 ricordo che dopo qualche mese lo arrestarono nell’ambito delle indagini Don’t Touch. Costantino Di Silvio Cha Cha venne da me e mi chiese 30.000 euro in prestito. Io immediatamente gli dissi che non potevo darglieli e lui mi disse testualmente Gianlu…non mi fa arrabbia’! Te sto’ a dì te li rido’ famo 20.00. Non me fa perde la brocca! A quel punto, impaurito, consegnai nel giro di mesi la somma complessiva di 20.000 euro in quattro tranches di 5.0000″.

Domanda: Costantino Di Silvio Cha Cha le ha mai restituito i soldi?
Risposta: Non me li ha mai restituiti ne ho mai avuto il co- raggio di chiederglielo per timore”.

Citato anche il fondamentale apporto dei due prima collaboratori di giustizia della storia di Latina, Renato Pugliese e Agostino Riccardo, decisivi sicuramente nell’inchiesta Alba Pontina ma anche nel processo che vede alla sbarra Gina Cetrone e l’ex marito, e quello che ha messo sul banco degli imputati Pasquale Maietta (Arpalo). Senza menzionare, anche se più marginalmente, l’ultima grande inchiesta tra colletti bianchi e criminalità denominata “Dirty Glass”.

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Ma di particolare interesse, da ultimo, è il fatto che il rapporto non trascuri la presenza del Clan Ciarelli, non più sotto i riflettori, ma ancora temuto e rispettato negli ambienti e più robusto dei Di Silvio infiacchiti da inchieste e processi.

Dei Ciarelli il rapporto ricorda l’influenza che riescono ad avere persino negli ambienti carcerari – l’episodio narrato nell’inchiesta Masterchef che vede protagonisti il figlio di Ferdinando detto Furt, Roberto Ciarelli, e la testa calda della mala latinense, recentemente arrestato di nuovo, Gianfranco Mastracci (vedi approfondimento) – e passa in rassegna brevemente anche le confische delle ville ubicate nel capoluogo pontino, in rigoroso stile debordante modello Casamonica.

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Pur essendo sgradevole auto-citarsi, il V Rapporto “Mafie nel Lazio” racconta un episodio esemplificativo inerente ai Ciarelli. All’indomani delle confische in Via Plutone e Via Andromeda, le donne del clan minacciarono Latina Tu e chiunque osasse commentare la notizia: “Nel mese di ottobre del 2019 – si legge nella relazione promossa dalla Regione Lazio – si sono invece concluse le operazioni di sgombero delle case confiscate al clan Ciarelli nelle vie Andromeda e Plutone. A distanza di molti anni dopo la confisca le abitazioni sono state sgomberate mentre sul profilo facebook del quotidiano online LatinaTu le donne della famiglia Ciarelli proferivano minacce contro il giornale online e di chiunque commentasse positivamente la notizia“.

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