Operazione Scarface: colpita l’ala del Clan Di Silvio di Latina il cui boss è Giuseppe “Romolo” Di Silvio, 33 le misure cautelari nell’operazione di Squadra Mobile di Latina e Direzione Distrettuale Antimafia di Roma
Nella città di Latina, questa mattina, a seguito di indagini dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, agenti della Polizia di Stato hanno eseguito un’operazione anticrimine tesa all’esecuzione di 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa .
L’indagine ipotizza l’esistenza di un nuovo sodalizio di matrice mafiosa ed origine autoctona riconducibile al gruppo di etnia Rom di Giuseppe Di Silvio detto Romolo, organizzazione strutturata su base familiare e territoriale, già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina, che si è nel tempo sempre più radicato sul territorio di Latina, sia con riguardo al settore criminale dello spaccio di stupefacenti, sia con riguardo alle attività estorsive.
Tali episodi estorsivi sembrano evidenziare come la famiglia Di Silvio facente capo a Giuseppe detto Romolo riesca ancora oggi ad incutere timore, a piegare la volontà delle vittime, in alcuni casi vessate da anni, il tutto senza subire denunce in ragione del clima di omertà ingenerato proprio dal terrore che gli appartenenti al clan incutono sulla popolazione locale.
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Disposte 27 custodie cautelari in carcere: Giuseppe “Romolo” Di Silvio, nato nel 1966 (già in carcere dove sconta tra gli altri reati l’omicidio di Fabio “Bistecca” Buonamano); il fratello Carmine Di Silvio detto Porcellino nato nel 1973 (condannato già nel processo “Caronte); Costantino “Costanzo” Di Silvio nato nel 1963, altro fratello di “Romolo”, e coinvolto nell’operazione Movida; Costantino Di Silvio detto Cazzariello nato nel 1998; Antonio Di Silvio detto Patatino (figlio di Romolo) nato nel 1992; Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto nato nel 1997 (anche lui figlio di Romolo); Ferdinando Di Silvio detto Pescio (figlio di “Patatone” Di Silvio) nato nel 2001; Fabio Di Stefano detto “Il siciliano” nato nel 1989, sposato con una delle figlie di Romolo (Angelina Di Silvio detta Pellanera); Daniel Alessandrini detto “Tyson” nato nel 1998, legato a una figlia di Carmine “Porcellino”; Mirko Altobelli detto “Il sinto” nato nel 1999 (sposato con una figlia di Carmine detto Porcellino o Zio Sale); Angelo Crociara nato nel 1972; Casemiro Ciotti nato nel 1965; Mirko Lolli nato nel 1979; Riccardo Mingozzi nato nel 1989; Daniel De Ninno nato nel 1997; Michele Petillo nato nel 1993; Alessandro Di Stefano nato nel 1991 sposato a una Di Silvio; Giulia De Rosa detta Peppina nata nel 1979 moglie di Patatone Di Silvio; Manuel Agresti, nato nel 1985; Marco Ciarelli, figlio di Luigi Ciarelli, nato nel 1985; Simone Di Marcantonio, nato nel 1989, ex dirigente dell’Ugl nominato dal deputato della Lega Claudio Durigon; Salvatore Di Stefano, padre dei due predetti Di Stefano, nato nel 1968; Franco Di Stefano nato nel 1987; Simone Ortenzi nato nel 1980; Domenico Renzi detto Il Cobra nato nel 1975; Alessandro Zof nato nel 1984, già in carcere per l’operazione “Reset” contro il Clan Travali; Massimiliano Del Vecchio, coinvolto nelle operazioni Astice e Certificato Pazzo.
Ai domiciliari: Anna Di Silvio detta Gina nata nel 1961; Romualdo Montagnola nato nel 1986; Yasine Slimani detto “Stefano” nato nel 1985; Sara Bianchi nata nel 1992; Roberto Di Silvio detto Berzotto nato nel 1972 e fratello della madre dei fratelli Travali e Marco Maddaloni detto Il Pittore nato nel 1970 e coinvolto a marzo scorso nell’operazione anti-droga dei Carabinieri di Aprilia denominata “Babele”.
Questa mattina, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e le Squadre Mobili di Latina e Roma hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal GIP di Roma Rosalba Liso, su richiesta dei sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma Corrado Fasanelli e Luigia Spinelli, nei confronti di 27 persone, sottoponendo al contempo alla misura degli arresti domiciliaci altri 6 soggetti, tutti a vario titolo indiziati nell’ambito della medesima indagine di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafioso.
L’indagine ha ad oggetto il “clan” Di Silvio riconducibile a Giuseppe detto Romolo, organizzazione strutturata su base familiare e territoriale, gruppo di etnia Rom già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina: il capostipite Giuseppe Si Silvio detto Romolo è attualmente ristretto in carcere in espiazione di una lunga pena detentiva poiché condannato con sentenza definitiva, insieme al nipote, Costantino Di Silvio detto Patatone, per l’omicidio di Fabio Buonamano, avvenuto nell’anno 2010.
Nell’ambito dell’inchiesta odierna, è stato, quindi, possibile ipotizzare l’esistenza di un gruppo organizzato di soggetti principalmente dediti all’estorsione ed al traffico illecito di stupefacenti che si è nel tempo sempre più radicato sul territorio di Latina.
Le indagini sviluppatesi mediante intercettazioni telefoniche, ambientali e riprese video, sono state arricchite dal contributo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo, Emilio Pietrobono e Maurizio Zuppardo, e da ultimo Andrea Pradissitto oltre che da quelle rese dalle vittime delle numerose estorsioni, alcune delle quali già oggetto di contestazione con l’operazione Movida, conclusa nel mese di dicembre 2020, allorquando venivano tratti in arresto Costantino detto “Costanzo” Di Silvio, Antonio Di Silvio detto “Patatino”, Ferdinando Di Silvio detto “Prosciutto” e Ferdinando Di Silvio detto “Pescio”.
Le indagini traggono appunto spunto da alcune spedizioni punitive organizzate nel centro storico di Latina e da richieste estorsive rivolte ad esercenti commerciali della cosiddetta MOVIDA, che evidenziavano il tentativo da parte della famiglia Di Silvio di assumere il controllo del territorio in questa parte della città: venivano quindi avviate le attività di intercettazione telefonica ed ambientale sul conto di Giuseppe Di silvio (cl. 1966) detto ” Romolo” il quale impartiva le direttive dal carcere romano di Rebibbia attraverso i suoi fidati familiari.
Emergevano, innanzitutto, una serie di estorsioni realizzate verso imprenditori o anche semplici cittadini, i quali soltanto per la notorietà del nome o la vicinanza degli estorsori alla famiglia Di Silvio si sarebbero assoggettati alle loro richieste, avendo gli autori fatto valere la forza di intimidazione promanante dalla propria presunta appartenenza alla famiglia Di Silvio, della quale è ben nota a tutte le vittime la caratura criminale e la possibilità di mettere in atto ritorsioni violente, disponendo anche di armi.
Tali episodi estorsivi evidenziano come i Di Silvio facenti capo a Giuseppe detto Romolo riescano ancora oggi ad incutere timore, a piegare la volontà delle vittime, in alcuni casi vessate da anni, il tutto senza subire denunce in ragione del clima di omertà ingenerato proprio dal terrore che gli appartenenti al clan incutono sulla popolazione locale. Nello specifico, sono state riscontrate una serie di attività estorsive messe in atto nei confronti di gestori di ristoranti o commercianti, i quali da tempo sono costretti a sopportare che i predetti indagati consumino pasti gratuitamente oppure fissando il prezzo di acquisto di merce di vario genere, alimentari e capi d’abbigliamento, pagando somme irrisorie autonomamente determinate.
Nella medesima direzione, emergevano poi vicende estorsive collegate alla vendita di sostanza stupefacente ad assuntori fidelizzati, in molti casi cessioni di cocaina studiate proprio per porre il consumatore in uno stato di soggezione, da cui pretendere il pagamento di interessi usurari.
In tale contesto, le indagini permettevano di documentare la commissione da parte del clan Di Silvio di alcuni reati contro il patrimonio che rivelano la vera forza e caratura di questa organizzazione criminale, capace in breve tempo di organizzare e consumare, nel mese di ottobre 2019, un furto all’interno di una sala slot, sito nel centro città, da cui veniva ricavato notevole profitto economico ammontante ad oltre diecimila euro, di cui quattromila in denaro contante .
Nello stesso anno, inoltre, si è verificato il rapimento di Emilio Pietrobono, spacciatore della famiglia Di Silvio, poi divenuto collaboratore di giustizia, che ha lasciato emergere le dinamiche criminali della famiglia Di Silvio, la quale da anni sembra controllare territori della città di Latina ed interi settori delle attività criminali.
È stato documentato un episodio di particolare rilevanza che ha visto affrontarsi le famiglia Ciarelli e Di Silvio con il rischio di uno scontro armato tra i due gruppi familiari: la famiglia Ciarelli facente capo a Luigi CiarelliI e la famiglia Di Silvio facente capo a Romolo, appoggiata nella circostanza dalla famiglia Di Stefano.
La ragione del contendere era determinata dal fatto che Pietrobono, presunto prestanome di Simone Di Marcantonio, in una società di servizi (CDO Service srl), aveva utilizzato i soldi della società senza preavvisare il Di Marcantonio e li aveva prelevati per consegnarli a Fabio Di Stefano, intraneo alla famiglia Di Silvio, al quale aveva consegnato anche un assegno di 12.500 euro.
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A tal punto, Di Marcantonio si è rivolto a Marco Ciarelli ed al padre Luigi (condannato in Appello per narcotraffico di recente), per ottenere la restituzione dei soldi e ciò ha fatto insorgere il gruppo dei Di Silvio che ha interpretato l’intervento dei Ciarelli come un’inopportuna invasione. Le indagini permettevano di ipotizzare, nel proseguo, l’esistenza di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo di marijuana, cocaina e hashish, e l’esistenza di uno stretto e stabile rapporto nello spaccio di droga tra la famiglia di Giuseppe Di Silvio detto Romolo e quella del fratello Carmine Porcellino. La stessa associazione è stata in grado di mettere in atto spedizioni ritorsive armate nei confronti di soggetti morosi nel pagamento dello stupefacente. Una delle principali piazze di spaccio gestite dal gruppo è risultato il centro storico di Latina con particolare riferimento alla “zona dei pub” lasciata per così dire libera dopo l’arresto dei fratelli Angelo e Salvatore Travali, in quanto erano loro ad averne il controllo.
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In tale direzione, poi, sono diversi gli episodi nei quali gli appartenenti al clan Di Silvio avrebbero rimarcato il loro potere sul territorio facendo riferimento al controllo di intere zone della città, in particolare la zona dei pub, la zona di Piazza Quadrato, sia con riguardo al settore criminale dello spaccio di stupefacenti, sia con riguardo alle attività estorsive, tanto che alcune persone sentite a sommarie informazioni hanno affermato di non frequentare più determinate zone per evitare di incontrarli e subire vessazioni.
Le indagini hanno inoltre permesso di ipotizzare come i Di Silvio abbiano occupato anche una fetta delle piazze di spaccio nei comuni limitrofi a quelli di Latina, come Priverno, Sezze e Pontinia grazie alle attività svolte dai loro pusher, Angelo Crociara e Casemiro Ciotti detto Miro, Mirko Lolli, Riccardo Mingozzi quest’ultimo genero di Giuseppe Romolo Di Silvio (ha sposato la figlia Pamela), Daniel De Ninno e Michele Petillo, i quali avrebbero coadiuvato i capi e gli organizzatori nell’attività di spaccio, in particolare provvedendo alla distribuzione al minuto dello stupefacente. Allo stato, le indagini permettono di ipotizzare che dopo l’omicidio consumato ai danni di Ferdinando Di Silvio, detto il Bello, dunque, il ruolo di capo di tale sodalizio sarebbe stato assunto dal fratello Giuseppe Di Silvio, detto Romolo, che sembra il punto di riferimento della citata consorteria criminale. Mingozzi fu minacciato di morte da Romolo Di Silvio in seguito alla fine della relazione con la figlia a cui diede due schiaffi e poiché aveva preso a spacciare per conto dell’altra fratello di Romolo, Carmine detto Porcellino. Mingozzi fu portato nella stalla di Via San Francesco (Piccarello) e intimorito.
Viene in rilievo, in proposito, il passaggio di un’intercettazione nella quale Giuseppe Di Silvio detto Romolo dice al genero Fabio “che deve tenere tutta la città in mano”, rimarcando quindi il fatto che l’obiettivo dell’associazione è conquistare sempre maggiore potere, non solo nel campo dello spaccio degli stupefacenti ma anche del controllo del territorio, inducendo gli altri componenti della famiglia alla distribuzione dei profitti.
Nel corso delle attività di indagine sono infine emerse ulteriori attività riconducibili a Zof uno dei presunti fornitori di sostanza stupefacente del tipo cocaina del clan Di Silvio, slegati dal contesto associativo, ma rilevanti in quanto consentono di delineare la figura di Alessandro Zof e di comprendere anche le ragioni per le quali Giuseppe detto Romolo aveva frenato il figlio Patatino che avrebbe voluto affrontare direttamente Zof per rideterminare il prezzo della sostanza stupefacente.
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Sono infatti emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di Alessandro Zof e Massimiliano Del Vecchio in merito ad una tentata estorsione ai danni di due acquirenti di droga, originari di Latina, in relazione ad un pregresso debito di droga pari a circa 6000 euro che questi ultimi avevano contratto con Massimiliano Del Vecchio, spacciatore di Fondi.
Tale episodio pare evidenziare, da un lato, il coinvolgimento di Alessandro Zof nell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, dall’altro, la caratura criminale che continua ad avere sul territorio di Latina, avendo partecipato, nonostante la sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, alla violenta aggressione nei confronti di uno dei due acquirenti, in conseguenza della quale veniva condotto in Ospedale dove gli venivano diagnosticate lesioni giudicate guaribili in 10 giorni.
Risultano indagati nell’operazione odierna denominata Scarface anche altri soggetti: Stefano Demelas (suocero di Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto), Kyryl Babichev, Gaetano Angelino, Daniele Caccioppo, Massimiliano Tartaglia, Luca De rosa, Franscesco Tagliaferri, Federica Scanu, Salvatore Di Silvio detto Gippo, Fabio Cannatelli, Mirko Ventrone, Gianluca Matteuzzi, Adriano Sarrubbi (marito di una figlia di Carmine detto Porcellino), Gianluca Fiore e Giorgio Rizzi condannato ieri 25 ottobre per detenzione di armi e resistenza a pubblico ufficiale.