ARPALO, I FOGLI STRAPPATI NELLO STUDIO DI CENSI: “ANDÒ IN SVIZZERO CON MAIETTA, CAVICCHI E COLLETTI”

Pasquale Maietta
Pasquale Maietta

Arpalo: nella nuova udienza del processo per Maietta&Co ricostruiti gli ultimi giorni prima del suicidio dell’avvocato Paolo Censi

Dopo la cancellazione per prescrizione di alcuni reati a carico di alcuni imputati, tra cui Maietta e Colletti, e il dissequestro di alcuni beni decretati dal collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Caterina Chiaravallotti, nello scorso luglio, sta proseguendo il processo scaturito dall’indagine di Procura, Squadra Mobile e Guardia di Finanza di Latina denominata “Arpalo”.

Come noto, ad essere giudicati nel processo, oltreché all’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta, la sua ex co-presidente del Latina Calcio all’epoca dei fatti, Paola Cavicchi, l’avvocato Fabrizio Colletti, l’imprenditore Fabio Allegretti, il commercialista Pietro Palombi e gli ex collaboratori dell’ex parlamentare, Giovanni FanciulliPaola Neroni e Roberto Noce. Il processo contesta agli imputati, a vario titolo, l’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio aggravato dalla transnazionalità, il trasferimento fraudolento di valori, la bancarotta fraudolenta, e vari reati tributari e societari.

Tanto per avere una idea della complessità della vicenda, l’esecuzione di arresti e sequestri avvenne nell’aprile del 2018. Tra i fatti contestati diversi passaggi di soldi tra società, alcune delle quali fallite, il fu Latina Calcio dell’era Maiettopoli (quello in cui, a farla da padrone in curva, c’era il clan Travali) e alcune triangolazioni di denaro in Svizzera che hanno agito da sottointeso nell’udienza odierna incentrata praticamente tutta sugli ultimi giorni di vita dell’avvocato di Latina, Paolo Censi, suicidatosi il 23 dicembre del 2015.

Paolo Censi
Paolo Censi

Nello studio e nell’auto del professionista, come noto, furono trovati gli appunti su un viaggio in Svizzera, a Lugano, che avrebbe avuto luogo l’11 dicembre 2015 pochi giorni prima della tragedia.

L’avvocato Censi aveva scritto tra gli appunti anche l’indirizzo elvetico e il numero di telefono dell’avvocato Augusto Maria Bizzini, amministratore della società svizzera Smc Trust e imputato nel secondo capitolo dell’odierno processo, vale a dire Arpalo 2, incardinato, seppur non ancora praticamente iniziato, presso il Tribunale di Latina.

La Smc Trust, secondo la Procura di Latina – rappresentata oggi in aula dal Pm Valerio De Luca, di fronte al collegio del Tribunale composto dai giudici Chiaravalloti-Coculo-Trapuzzano – è la società “hub” delle altre società italiane e svizzere le quali si scambiavano e ripulivano i soldi. Passaggi contestati dall’accusa come riciclaggio.

Ad essere ascoltati oggi, 16 gennaio, come testimoni, due poliziotti della Scientifica di Latina che si occuparono degli appunti strappati rinvenuti nelle studio Censi, dopo che l’avvocato si era sparato un colpo alla testa ed erano iniziate le indagini sul suo caso. Come noto, nel 2019, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina dispose l’archiviazione sull’inchiesta della Procura che indagava per istigazione al suicidio; inquietanti alcune dichiarazioni rilasciate a verbale dal collaboratore di giustizia Agostino Riccardo che parlò di alcune minacce ricevute da Censi prima di morire.

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Ad ogni modo, interrogati dal Pm e dal collegio difensivo composto dagli avvocati Diddi, Zeppieri, Dinacci, Fiorella, Oropallo, Palombi, Marino e Vasaturo, uno dei poliziotti della Scientifica ha ripercorso le fasi immediatamente successive al suicidio dell’avvocato quando si recarono nello studio di Piazza Buozzi per i dovuti accertamenti, tra cui il recupero dell’ogiva.

Propio nelle fasi delle verifiche, la Scientifica trovò alcuni bigliettini strappati nel cestino della spazzatura dello studio dell’avvocato che condivideva con il collega Napoleoni. Nei bigliettini, ha ricordato il poliziotto, c’erano cifre e nomi, dopodiché fu la Squadra Mobile di Latina a condurre la perquisizione. I fogliettini strappati furono prima fotografi nel cestino e poi acquisiti dalla Polizia di Stato.

Così come a maggio scorso, nel corso di una precedente udienza, anche oggi c’è stata battaglia per questi fogli strappati (posti-it, in realtà) in cui ci sarebbero elementi probanti a carico di alcuni degli imputati, in particolare di Pasquale Maietta, Paola Cavicchi e Fabrizio Colletti. Ecco perché gli avvocati difensori hanno richiesto al Tribunale l’inutilizzabilità e nullità delle carte ritrovate nello studio quando i poliziotti entrarono e videro il corpo ancora caldo dell’avvocato con la pistola caduta tra le sue gambe.

Secondo gli avvocati, queste prove devono uscire dal processo ai sensi dell’articolo 103 del codice di procedura penale che afferiscono alle garanzie di libertà dell’avvocato difensore. Infatti, in quei fogli, ci sarebbero stati dati riferibili a Colletti, il cui avvocato era proprio Censi. Inoltre, gli avvocati difensori reclamano su una supposta irregolarità nello svolgimento delle perquisizioni: in loco avrebbe dovuto essere presente un rappresentante dell’Ordine degli Avvocati. Si lederebbe il diritto della difesa dell’allora avvocato Censi se si dovessero utilizzare quei fogli strappati, spiega l’avvocato Alessandro Diddi: “Di peggio c’è solo intercettare avvocato e cliente che parlano”.

Il Tribunale, vista anche l’opposizione del Pubblico Ministero, si è riservato e deciderà sulla utilizzabilità o meno nel processo di quelle carte strappate nella prossima udienza fissata il 6 febbraio.

A parlare dei foglietti strappati è stata anche la seconda testimone che per la Polizia, in qualità di consulente, redasse una relazione sulla comparazione tra le scritte trovate nei suddetti foglietti e la grafia dell’avvocato Colletti, della segretaria di Censi e dell’avvocato, collega di studio, Napoleoni. La consulente ha spiegato che la firma di Colletti, in uno di quei documenti (erano otto in tutto), era assolutamente la sua.

Delicata la terza testimonianza, poiché ad essere escussa è stata una donna che, prima del suicidio, aveva una relazione extraconiugale con Censi stesso. “Avevo una relazione con Paolo – ha spiegato la donna – Negli ultimi mesi era sempre più sfuggente, tanto che io lo aspettavo sotto lo studio perché non mi rispondeva più al telefono e se lo faceva diceva che era incasinato col lavoro. L’ultima volta che lo vidi fu tre giorni prima della sua morte”.

Censi, che la donna, nell’ultimo periodo, vedeva “cupo, turbato schivo e preoccupato“, le avrebbe inviato un messaggio in cui faceva capire la destinazione del noto viaggio elvetico, avvenuto l’11 dicembre 2015. “Mi mandò un messaggio per dirmi che l’avvocato Baratta stava cercando mio padre, di cui Censi, amico di famiglia, era anche legale. Lui (nda: Censi) mi disse che era in Svizzera per lavoro, al che, non credendogli, gli scrissi piccata di contattarlo da solo mio padre”.

La donna, infatti, nelle fasi delicate della loro relazione, temeva che fosse una bugia: “Pensavo che si trovasse in vacanza con la moglie. E lui, allora, per farmi capire che non era vero, mi disse che si trovava in Svizzera con Cavicchi, Maietta e Colletti. Sottolineò questo aspetto per per dirmi che non era con la moglie”.

Eppure, la donna, pungolata dalle domande del Pm, non ricorda se Censi le disse mai del motivo di quei viaggi in Svizzera. Anni prima, invece, a verbale, ascoltata dagli agenti della Squadra Mobile, la donna aveva riferito che Censi le aveva detto che “stavano per arrestare sia Maietta che Cavicchi e Colletti e che lui, Censi, sarebbe dovuto tornare in Svizzera“.

Una testimonianza, quella della donna, che è stata simile all’ultima riferita in aula dall’ex segretaria dell’avvocato, nel suo studio sin dal 1998 fino alla fine, arrivata 17 anni dopo. La ex collaboratrice, con cui c’era un rapporto di confidenza, ha ribadito che l’avvocato, negli ultimi giorni, era preoccupato. Anche a lei “disse che andava in Svizzera con Colletti e Cavicchi. Stettero un paio di giorni, una notte fuori”.

Tuttavia, dopo il ritorno dalla Svizzera, vedendolo preoccupato, la donna chiese a Censi “se qualcuno fosse in pericolo non ricevendo risposta“. C’è di più. Dopo il suicidio e il sequestro dello studio eseguito dagli inquirenti che indagavano sul suicidio, la segretaria riferì alla Squadra Mobile, che la interrogava a sommarie informazioni, che Colletti faceva domande sul sequestro dello studio ed era interessato alla tempistica. Poi venne allo studio e chiese di avere dei documenti, che doveva prenderli.

E sui problemi economici che aveva l’avvocato prima della morte? La donna ha detto di averlo saputo solo dopo quel tragico 23 dicembre di quasi nove anni fa. Un episodio, il suicidio di Censi, che, come si evince dalle testimonianze, provoca dolore a distanza di tanti anni e conferma, se ce ne fosse bisogno, della insondabilità e impenetrabilità di un gesto che più passa il tempo, più diventa inconoscibile.

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