IL “SISTEMA” A FONDI: DROGA, ESTORSIONI E LEGAMI CON I CLAN. GLI ATTENTATI DEL 2021 PROVOCATI DA UNA FAIDA

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Operazione anti-droga a Fondi: i Carabinieri e la Direzione Distrettuale Antimafia hanno arrestato 12 persone, una agli obblighi di firma

È stata una battaglia per le piazze di spaccio di Fondi, anche con l’uso di armi da guerra (persino una mitragliatrice Uzi acquistata da un uomo vicino al clan ndranghetista Gallace trapiantato a Nettuno), quella tra il gruppo di pusher capeggiati da Jhonny Lauretti e Massimiliano Del Vecchio, personaggio noto alle cronache giudiziarie, legami con personaggi di peso criminale nel nord della provincia, e i rivali agli ordini dei due promotori e finanziatori Alessio Ferri (legato ad Aldo Trani, cognato dei fratelli Tripodo) e Andrea Pannone (un tempo collocato nel clan Zizzo). Personaggi che più o meno sono “protagonisti” del narcotraffico fondano da quindici anni a questa parte, tanto che l’operazione “Jars” di quest’oggi prende le mosse da un vecchio procedimento penale denominato “Fiore”.

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A rifornire il gruppo di Ferri-Pannone era l’albanese Adlys Shyti che, secondo la ricostruzione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina e dei colleghi della Compagnia di Terracina, coordinati dal sostituto procuratore della Procura/DDA di Roma, Luigia Spinelli, cedeva al gruppo partite di droga (cocaina e hashish) superiore al chilo ogni volta che l’affare veniva concluso. Il prezzo era di 35/40mila euro al chilo per la cocaina. Shyti, secondo quanto raccontato da uno dei collaboratori di giustizia, era stato indicato dal clan Di Lauro a Ferri il quale, prima dell’albanese, si sarebbe rifornito direttamente a Napoli dalla nota cosca di Secondigliano e Scampia. L’albanese avrebbe avuto nella sua disponibilità gommoni e scafisti con cui trasportavano la droga.

Un sodalizio agguerrito quello di Ferri-Pannone che costrinse un giovane, tra l’aprile e il novembre 2018, a contrattare il suo ritorno a Fondi, in cambio di un pagamento in denaro. Il giovane, infatti, che “lavorava” come pusher, cedeva droga acquistandolo non esclusivamente dal sodalizio Ferri-Pannone. Ecco perché, dopo un sequestro da 18 chili in capo al frarello del giovane, lo stesso sodalizio comprese di non essere l’unico a rifornire di droga il pusher, tanto da minacciarlo di morte e costringerlo a espatriare in Thailandia. Per fare rientro a Fondi, il giovane pusher pagò la cifra di 15mila euro a Ferri, Pannone e agli altri due indagati, Marco Simeone e Francesco Petrillo.

E sempre lo stesso sodalizio, quello di Ferri-Pannone, viene accusato di aver costretto uno dei pusher, finito agli arresti domiciliari, Alberto Di Vito, ad acquistare la droga da loro, “scarrellandogli” una pistola davanti (ad essere accusato è Marco Simeone), malmenandolo e minacciandolo di staccargli una gamba. È in questo contesto che Di Vito, accusato di averli derisi nel contesto criminale locale, con la falsa promessa di portate al gruppo di Ferri chi era stato veramente a denigrarli, si recò all’appuntamento con il nemico del gruppo, Johnny Lauretti. È qui che avviene lo scontro armato: Lauretti e Di Vito fanno fuoco contro Marco Simeone, Guido Quadrino e Armando Ciccone (tutti del gruppo di Ferri). Era il 22 ottobre 2020, tre colpi a raffica da un’auto: un fatto rimasto sconosciuto alle cronache, almeno sino agli arresti di oggi. Il gruppo Ferri non reagì agli spari, ma, dopo l’aggressione a un altro sodale avvenuta a dicembre 2020, si prodigarono in una sorta di allenamento all’uso delle armi.

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È un destino simile quello capitato a un altro pusher, reo di non comprare droga dallo stesso sodalizio: picchiato brutalmente e costretto a pagare 50mila euro a Ferri e Pannone, dopo che gli stessi, a marzo 2019, incendiarono la sua auto: una Porsche Macan. Pannone, peraltro, non si fermava al narcotraffico, ma si sarebbe fatto assumere fittiziamente nel lido balneare La Califfa, per poter usufruire anche della cassa integrazione da parte dell’Inps.

Il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Latina, Antonio De Lise

A dare manforte alle indagini, sviluppatesi principalmente tra l’estate del 2019 e l’autunno del 2020, ci sono anche due collaboratori di giustizia che hanno riferito circostanze importanti sul mondo del narcotraffico, non solo fondano. Ad esempio, Salvatore Iannicelli (che si pente nel 2019), uno dei due collaboratori di giustizia, ben addentrato nel mondo della droga a Fondi, ha parlato dei traffici di droga di Johnny Lauretti e Massimiliano Del Vecchio (non indagato), spiegando di come, una volta rimasto indietro con i pagamenti della droga, aveva chiesto protezione al figlio del boss legato alla ‘ndrangheta, Carmelo Tripodo. In cambio, per spacciare ed essere lasciato in pace, avrebbe dovuto sborsare 5mila euro al mese. O di come ha assistito a un pestaggio da parte di Gustavo Bardellino (uno degli appartenenti alla nota famiglia di Formia, peraltro scampato per miracolo a un tentato omicidio il 15 febbraio 2022) nei confronti di un tale di Gaeta (un certo Guido) solo “perché Massimiliano Del Vecchio si era lamentato”. E su Andrea Pannone, uno dei due capi del sodalizio con Ferri, Iannicelli è molto chiaro: “È una persona violenta, ricordo che anni fa venne gambizzato e uscito dall’ospedale investì con l’auto Carlo Zizzo (nda: personaggio di peso nel crimine fondano), ritenendolo il mandante”.

A parlare di “sistema” a Fondi, è anche l’altro collaboratore di giustizia, Alessandro Simonelli (che ha avviato la collaborazione con lo Stato nell’autunno del 2021), il quale spiega che “Del Vecchio è la mente e corrompe carabinieri, polizia e finanza, mentre Lauretti fa attentati a Fondi perché è scoppiata una guerra per il controllo dei traffici di stupefacenti tra gruppo avversi, è quindi la mano militare“. Un sistema minato dalla guerra in atto tra il gruppo Del Vecchio-Lauretti e il sodalizio Ferri Pannone: “In passato – ha spiegato il collaboratore di giustizia – tutti stavano sotto ai fratelli Zizzo e non vi erano conflitti. Quando i fratelli Zizzo sono stati eliminati vi sono gli scontri per il predominio delle piazze di spaccio. Tutte le esplosioni che ci sono state recentemente a Fondi sono da ricondursi alla guerra per il controllo del territorio in quanto sono state commissionate da Del Vecchio e Lauretti ai danni dei gruppi rivali facenti capo a Simeone e Ferri“.

E per quanto riguarda le bombe e gli incendi che terrorizzarono la cittadinanza a Fondi nella primavera del 2021, Simonelli spiega agli inquirenti: “La vicenda di bombe e macchine incendiate è nata da tre gruppi che spacciano a Fondi: il primo fa capo a Alessio Ferri, il secondo a Marco Simeone, il terzo a Johnny Lauretti insieme ai fratelli Del Vecchio. Tutto è nato da una sparatoria a San Magno (nda: quella dell’ottobre 2020)”. Una sorta di faida per cui Lauretti avrebbe pestato di botte, dopo averlo investito, un altro degli indagati, Rocco Coppolella. Tutti gli attentati che vanno da marzo a luglio 2021 sono indirizzati ad auto e abitazioni riconducibili ai gruppi Ferri-Pannone e, di meno, ai rivali Lauretti-Del Vecchio: in un caso ad andarci di mezzo è Nonno Jack, al secolo Tommaso Rotunno; e a seguire attentati diretti o indiretti a Guido Quadrino, Roberto Cellone alias “Cellone”, Francesco Paolo Petrillo, Armando Ciccone, Alberto Di Vito. “Le esplosioni – spiega Simonelli – sono avvenute sempre in luoghi dove c’era attività di spaccio per conto di Ferri e Simeone e quindi avevano un valore simbolico. So che vi sono state stati ulteriori attentati rispetto a quelli emersi e denunciati”.

E per di più il collaboratore di giustizia aggiunge un altro particolare: “So anche dell’esistenza di un quarto gruppo che non è stato mai toccato e che fa riferimento a una persona molto importante di Napoli è detto “il Barone” che ha due figli che spacciano con lui h24 e controlli di polizia e carabinieri non vengono fatti. So che “il Barone” è un pentito insediato a Fondi e ha cominciato un’alleanza con Massimiliano Del Vecchio e poi si è distaccato. Il “Barone” e i suoi figli si sono fatti largo a Fondi, picchiando e minacciando quelli che spacciavano”.

Degne di nota per gli investigatori, anche le dichiarazioni auto-accusatorie di uno degli indagati, finito ai domiciliari, Giacomo Sfragano, arrestato per detenzione di cocaina nel 2020. In uno degli episodi di cui è accusato Sfragano, il passaggio di denaro e droga tra Sfrangano e un altro indagato, Carlo Pietrobuono, avviene anche davanti a un bambino: “Conta i soldi…sta vedendo come si fa nella vita”. Sfragano ha raccontato agli inquirenti che Ferri e Pannone avevano costituito un fondo cassa da 150mila euro, detenuto materialmente da un affiliato del gruppo, Marco Tuccinardi, che acquistava la droga e dava 7500 euro al mese ciascuno a Pannone e Ferri. Un modus operandi andato avanti fino a quando Pannone aveva scelto di interrompere l’accordo con Ferri: finì che si ripresero 75mila euro a testa dal fondo cassa di 150mila euro e ognuno per la sua strada.

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L’OPERAZIONE JARS

Su disposizione del Direzione Antimafia di Roma, nella mattinata odierna, 3 aprile, nelle province di Latina e Catania, il Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Latina, insieme al Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Terracina, coadiuvati nella fase esecutiva dal Raggruppamento Aeromobili Carabinieri di Pratica di Mare, del Nucleo Cinofili di Ponte Galeria, del Reparto tecnico dei ROS e dei Carabinieri competenti per territorio, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, Monica Ciancio, nei confronti di 13 persone gravemente indiziati, a vario titolo, di appartenere ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti aggravata dall’uso delle armi, di estorsione, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di beni. L’indagine è stata coordinata dal sostituto procuratore della Procura/DDA di Roma, Luigia Spinelli.

Ecco chi sono i nomi dei coinvolti. In carcere finiscono Alessio Ferri (47 anni), Andrea Pannone (detto Tyson, 51 anni), Marco Tuccinardi (detto Talco, 39 anni), Armando Ciccone (detto Ceppo, 37 anni), Marco Simeone (41 anni), Rocco Coppolella (detto zio Rocco, 52 anni), Francesco Paolo Petrillo (detto Pallino, 41 anni), Guido Quadrino (41 anni), Adlis Shyti (l’albanese, 39 anni), Jhonny Lauretti (44 anni).
Ai domiciliari Roberto Salera (detto II muratore, 48 anni) e Alberto Di Vito (27 anni). Obbligo di firma per Alessandro Sepe (detto Coggi, 42 anni) e Giacomo Sfragano (detto Jack, 36 anni). Sicuramente tra i nomi più e con diversi precedenti alle spalle, spicca il nome di Jhonny Lauretti. Noti anche Alessio Ferri, già coinvolto in indagini associative, tra cui quella di far parte del sodalizio dei Tripodi, Andrea Pannone, Francesco Petrillo e Armando Ciccone. Questi ultimi due arrestati a gennaio 2021 con quasi due chili di droga.

Ad essere indagati anche Fabio Sfragano, Carlo Pietrobuono, José Fandino Espido (detto Altafini) e Emanuele Di Napoli.

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Ad ogni modo quasi tutti sono stati coinvolti in operazioni anti-droga nel passato. Sfragano fu arrestato nel 2012 con 26 chili di hashish a Capua in Campania, Salera è finito in una indagine per droga già lo scorso dicembre, Di Vito ha rimediato invece una condanna per aver fatto parte degli uomini fermati a dicembre 2021 con diversi chili di droga e armi. Coppolella, anche lui noto alle cronache giudiziarie, fu coinvolto nell’operazione Melody, nel 2015, così come Tuccinardi anche luo coinvolto in passato in operazioni anti-droga. L’albanese Shyti è stato invece indagato in una operazione dei Carabinieri denominata “Giano”, datata 2022.

Più in particolare – spiega una nota dell’Arma – l’attività di indagine svolta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina, agli ordini del tenente colonnello Antonio De Lise, e della Compagnia di Terracina, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, sviluppatasi tra l’estate del 2019 e l’autunno del 2020 (nel mese di ottobre), trae origine dall’arresto per traffico di sostane stupefacenti, di un sodale all’associazione investigata che, immediatamente dopo il medesimo arresto, ha deciso di collaborare con la giustizia (vedi nel video seguente la conferenza stampa tenutasi oggi, 3 aprile, presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Latina). Gli inquirenti hanno, inoltre, usufruito di un secondo collaboratore di giustizia, anche lui legato allo spaccio e, come il primo, di giovane età. L’attività investigativa si è articolata in servizi di osservazione, attività di indagine classica affiancata da attività tecnica di intercettazione e da mirati riscontri. 

Gli episodi di traffico di sostanze stupefacenti ricostruiti nel corso delle indagini, per i quali il Giudice per le indagini preliminari ha ravvisato la sussistenza di gravi indizi, si collocano nel contesto di un’associazione locale costituita allo scopo di acquistare, detenere e commercializzare, nella città di Fondi, ingenti quantitativi di stupefacenti tra cui hashish, marjuana e cocaina.

Le investigazioni hanno consentito di ricostruire l’esistenza di una consorteria dedita al traffico di sostanze stupefacenti ed operante in provincia di Latina, cui hanno preso parte, tra gli altri, soggetti già recidivi nello specifico settore dei reati in materia di stupefacenti, chi con il ruolo di capo, promotore e finanziatore e chi con il ruolo di semplice partecipe dell’associazione, i quali hanno assicurato lo stabile approvvigionamento della piazze di spaccio di Fondi, grazie ad una consolidata esperienza maturata nel settore e ad una solida rete di soggetti dediti alla commercializzazione dello stupefacente, rifornito da uno degli indagati di origini albanesi.

Oltre al contesto associativo, l’attività investigativa ha permesso di raccogliere diversi elementi indiziari per ricostruire uno scontro armato avvenuto nell’ottobre 2020, tra due diversi gruppi criminali per ottenere il primato nel controllo del traffico di droga nella città di Fondi.

Nel corso delle indagini i Carabinieri hanno già proceduto ad arresti in flagranza di reato e al sequestro di sostanze stupefacenti. La complessa attività investigativa ha consentito di individuare dei beni mobili di lusso (autovetture) e un’attività commerciale – una tabaccheria acquistata al prezzo di 80mila euro, nella disponibilità di Andrea Pannone che si serviva come prestanome della sua compagna – utilizzati per riciclare il denaro proveniente dal traffico delittuoso. Tra le auto sequestrate a Pannone una Maserati Grandsport e un camper acquistati nel 2017.

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