OMICIDIO VACCARINI, LA FIGLIA DELL’IMPUTATA: “CI DISSE LUI DI NON DIRE A NESSUNO CHE ERA MALATO DI CANCRO”

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Omicidio a Terracina, ascolti altri testimoni per il processo che vede alla sbarra la 61enne polacca accusata di aver lasciato morire il marito

Alla base del processo che vede sul banco degli imputati la 61enne polacca Gabriela Blazewicz, difesa dall’avvocato Pietricola, l’omicidio doloso e colposo di Bruno Vaccarini. Contestato dalla Procura di Latina, rappresentata in aula dal Procuratore Capo, Giuseppe De Falco, anche il reato di maltrattamenti in famiglia. Un’udienza fiume quella di oggi, 12 febbraio, che ha impegnato la Corte d’assise presieduta dal giudice Gian Luca Soana – a latere la collega Concetta Serino (che sostituisce il giudice Fabio Velardi trasferito a Roma) e la giuria popolare. A sfilare alcuni importanti testimoni delle parti civili e della difesa. Particolarmente delicata e lunga la testimonianza di una delle figlie dell’imputata, avuta dal primo marito. Dopo di lei è stata anche ascoltata ed esaminata la sorella, vale a dire la figlia che l’imputata e Vaccarini hanno avuto insieme. Una testimonianza che ha ribadito le convinzioni della sorella maggiore.

Nel mezzo, anche l’esame di un altro testimone: l’avvocato Valerio Masci che è stato il legale dell’imputata., anche quando Vaccarini era ancora in vita.

La storia, come noto, è quella della donna di origine polacca, Gabriela Blazewicz, accusata di aver lasciato morire un uomo di Terracina con cui era sposata in seconde nozze, per l’appunto il 75enne Bruno Vaccarini. I fatti risalgono agli anni 2018 e 2019 quando, a marzo di quest’ultimo anno, l’uomo morì. L’uomo, malato di cancro ai polmoni e con un’aplasia alla prostata, era costretto ad andare avanti e indietro con l’Ifo, l’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Purtroppo, Vaccarini ricorse alle cure specialistiche in ritardo: secondo l’accusa, la donna l’avrebbe lasciato morire e gli avrebbe anche sottratto diverse migliaia di euro dai suoi conti.

Nelle scorse udienze, era già emerso di come l’uomo fosse stato curato a vitamina C e altre medicinali assolutamente inidonei a combattere il cancro ai polmoni di cui soffriva. Già ascoltati nel corso del processo i figli dell’uomo, tutti e tre costituitisi parti civili nel processo assistiti dagli avvocati Belardi, Lacerenza e Zempetta.

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Il problema, spesso evidenziato da famigliari e sanitari nel corso del processo, è che Vaccarini era in cura dal dottor Francesco Raggi e si recava da lui, a Terni, per assumere sostanze come melatonina, curcuma e semi di lino, oppure medicinali come il kolibrì (a metà tra un oppiode e la tachipirina), che non erano assolutamente in grado di poter scalfire il cancro.

Dopo la breve testimonianza di una cugina di Vaccarini che, chiamata dalla parte civile, non ha aggiunto molto al quadro del processo, è stato il turno della figlia dell’imputata, oggi ingegnere biomedico che lavora e vive in Inghilterra. La donna di circa trent’anni, all’epoca dei fatti, viveva già in Regno Unito ma si trovò a passare il Natale del 2018 in compagnia della madre, ossia l’imputata odierna, e l’allora marito di quest’ultima, Bruno Vaccarini.

“Mi disse non chiaramente che aveva il cancro – ha raccontata la figlia dell’imputata che, a sua detta, considerava Vaccarini come un padre – era sereno e lo sentivo regolarmente”. Ad ogni modo, sull’argomento cancro, secondo la testimone, Vaccarini “era riservato” e solo dopo che “aveva fatto visite specialistiche, uscì fuori che poteva essere il cancro, sapemmo in particolare di una macchia nella zona toracica“.

Secondo la donna, però, sia lei che la madre avrebbero voluto fare degli accertamenti maggiori, ma di fronte trovarono un muro da parte di Vaccarini che, pur sapendo di questa “macchia”, minimizzava: “Era fatalista, anche se mamma era preoccupata”.

E le cure a base di integratori e curcuma?. “So che faceva la cura della vitamina, ma mia madre lo accompagnava e basta, non decideva sulle cure che faceva a Terni o a Roma. Non so perché si curava con la vitamina C, lo ha deciso lui stesso, Bruno Vaccarini“. È sul libero arbitrio di Vaccarini che la donna ha insistito molto, a difesa neanche troppo implicitamente delle accuse che si trova sul groppone la madre: un omicidio per cui l’imputata non si è mai presentata in aula, ha sottolineato in un passaggio il Procuratore Capo Giuseppe De Falco in un momento di tensione con l’interrogata.

“A inizio gennaio 2019 – ha continuato la figlia dell’imputata – Bruno si era indebolito. Ma io sapevo solo che aveva una macchia. Venne a casa Valentina Vaccarini (nda: la figlia, oggi parte civile, di Bruno Vaccarini) e io e mia mamma non dicemmo della macchia e delle visite specialistiche perché Bruno non voleva farlo sapere. Bruno mi diceva di dire ai figli che aveva una infezione”.

Insomma, secondo quanto prospettato dalla donna, sia lei che la madre avevano accettato la posizione di Bruno Vaccarini che non avrebbe voluto far sapere niente ai figli: né della “macchia”, né della possibile malattia che sarebbe di lì a poco esplosa in tutto il suo carico di dolore, né di cure e visite specialistiche. Una circostanza che ha fatto sì che sia gli avvocati di parte civile che il Pm De Falco domandassero alla donna come mai sia stato possibile non costringere l’uomo alle cure vere (e non vitamina C e altri integratori) oppure di interpellare i figli di primo letto, oggi schierati dall’altra parte in un processo che fa emergere non solo un lutto famigliare tragico, ma anche una spaccatura insanabile tra le due famiglie del defunto.

“Fumava due pacchetti al giorno – ha continuato la figlia dell’imputata quando le hanno chiesto se non si fosse preoccupata di un possibile aggravamento della salute – è statistico che una macchia può portare al cancro, ne ero consapevole”.

Tuttavia, come evidenziato dagli avvocati di parte civile, che hanno fatto acquisire delle chat Whatsapp, la stessa testimone odierna scrisse alla figlia di Vaccarini che, in fondo, non c’era di che preoccuparsi perché anche il suocero inglese aveva avuto una infezione polmonare e per rafforzarsi aveva preso dei probiotici. Sì perché in quel momento, tra il 2018 e il 2019, Vaccarini aveva al massimo una infezione, e non una macchia che si è poi rivelata prevedibilmente essere un cancro. E questa versione falsa dei fatti sarebbe stata perpetrata per rispettare la riservatezza dello stesso Vaccarini. Della macchia sapevano solo l’imputata e la figlia di quest’ultima che oggi ha reso testimonianza. E perché prendeva vitamina C e olio cbd per curarsi? “Gli consigliai di prendere il cbd perché è utilizzato in Inghilterra e si prende come anti-dolorifico, ma non è una cura – ammette oggi la donna.

Successivamente, il 12 gennaio 2019, Vaccarini, a tre mesi dalla morte, si sentì male e fu trasportato al pronto soccorso del “Fiorini” di Terracina. La figlia dell’imputata era già ripartita per l’Inghilterra con il marito, avendo passato le vacanze di Natale a Terracina. Eppure, all’inizio della testimonianza, aveva spiegato che Vaccarini in quel periodo era stato bene. Pochi giorni dopo la fine delle feste, per l’appunto, era arrivato il ricovero, la scoperta del cancro e la breve trafila nell’ospedale Ifo di Roma e, infine, la morte. E da qui anche gli episodi che hanno portato alla fine di tutto: “Mia madre ha sempre voluto che Bruno facesse degli accertamenti” – ha ripetuto più volte la figlia. Poi quando Bruno Vaccarini fu ricoverato in ospedale e il cancro fu cosa nota “i figli di Bruno volevano quasi mettere le mani addosso a mia madre, dicevano che mia madre lo aveva fregato, mettendo in dubbio che Claudia non fosse sua figlia. Fui sconvolta“.

“Erano diventati aggressivi, imputavano a mia madre e a me che sapevamo del cancro e che non avevamo detto niente”. È su questo punto che l’accusa, sostenuta dal Pm De Falco, ha insistito con la testimone odierna: “Perché non fu fatta subito una biopsia, dopo la scoperta della macchia? Per sua cultura e sensibilità, avrebbe dovuto essere fatta una biopsia?”, ha incalzato il Procuratore Capo. “Ma quando parlavo della macchia – ha risposto la figlia dell’imputata – lui si agitava e non voleva sentire e fare niente. Io ho rispettato la sua volontà di non dire che era malato e che non voleva farsi curare, anche se sinceramente non pensavo che Bruno potesse morire“. E rispetto al maxi prelievo effettuato dalla madre per una cifra di 61mila euro dai conti di Bruno Vaccarini, poco prima che morisse? “Io non ne sapevo niente, l’ho appreso quando è stata prensentata la denuncia. Mia madre mi ha detto che li ha prelevati per pagare le bollette e per il futuro di mia sorella“.

A chiarire non molto su questo punto è l’avvocato Masci che, ingaggiato all’epoca dall’imputata, ha spiegato di essere stato pagato con parte di quel prelievo perché aveva seguito una compravendita di un terreno di Vaccarini e delle moglie ubicato a Terracina. “Prelevò i soldi a gennaio 2019 – ha spiegato l’avvocato – per paura dei figli di Vaccarini”

I soldi dell’uomo, per la cronaca, furono prelevati dopo il ricovero avvenuto il 19 gennaio 2019. In ragione di questi prelievi vi furono infatti anche sequestri e perquisizioni per una macchina delle indagini che già si era messa in moto. Il processo è stato rinviato al prossimo 5 aprile con l’esame degli ultimi due testimoni della difesa. La sentenza è prevista prima dell’estate.

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