OMICIDIO MORETTO: UCCISO PER VENDETTA E UN “CODICE D’ONORE”

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Ermanno D'Arienzo

Omicidio di Fabrizio Moretto, fu un’esecuzione per vendicare la morte di Erik D’Arienzo: arrestato il padre Ermanno D’Arienzo detto “Topolino”

Delinquente abituale e di rilevane caratura criminale. Così è definito dalla magistratura Ermanno “Topolino” D’Arienzo, sin dagli anni ’80 negli ambienti criminali di Latina e provincia e menzionato in diverse indagini, tra cui anche la nota vicenda degli “uomini d’oro”, la banda dedita alle rapine di un certo peso.

Ma al di là della stagione criminale di D’Arienzo padre, le indagini dei Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Latina, agli ordini del Maggiore Antonio De Lise, hanno scandagliato ogni minimo particolare dell’omicidio di Fabrizio avvenuto in Via della Tartaruga a Sabaudia, tra Bella Farnia e Borgo San Donato, nella serata del 21 dicembre 2020.

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Ieri, 14 dicembre (il fatto è stato reso noto solo oggi, 15 dicembre), coadiuvati nella fase esecutiva dai militari delIa Stazione Carabinieri di Sabaudia, i militari del Nucleo Investigativo hanno chiuso il cerchio arrestando “Topolino”, nell’ambito di una inchiesta che ha coinvolto parercchie persone e molti pregiudicati considerando il “milieu” criminale di D’Arienzo senior, inconsolabile per la morte del figlio Erik e, secondo l’ordinanza di arresto firmata dal Giudice per le indagini preliminari Giorgia Castriota, autore di un omicidio premeditato arrivato al culmine di oltre tre mesi e mezzo di una indagine parallela portata avanti da “Topolino”, la moglie e alcuni personaggi vicini al padre omicida.

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Erik DArienzo e a destra Fabrizio Moretto

Moretto è stato ucciso, secondo gli inquirenti – l’indagine è condotta dai sostituti procuratori Martina Taglione e Andrea D’Angeli -, dopo il pestaggio brutale che portò alla morte di Erik D’Arienzo. Un pestaggio avvenuto la notte tra il 29 settembre e il 30 settembre 2020, probabilmente con l’uso di mazze o di una roncola e per cui Fabrizio “Pipistrello” Moretto ha pagato per tutti.

“Pipistrello”, infatti, è stato considerato dalla famiglia D’Arienzo come il maggiore colpevole, e non forse perché sia stato l’unico a percuotere il 28enne quella notte maledetta: Erik fu ferito pesantemente alla testa e a un braccio. La versione raccontata da Moretto dopo la morte di Erik D’Arienzo era stata considerata inverosimile da tutti, sia dalla famiglia del 28enne (poi deceduto dopo 5 giorni al Goretti di Latina), sia dalla magistratura che aveva pronta per lui un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’omicidio.

Cadere al chilometro 83,200 della Strada Stadale Pontina senza nessun motivo sarebbe stata una versione di comodo formulata da Moretto per non dire la verità sul pestaggio mortale di Erik. E anche le versioni post “incidente” sulla Pontina sono state giudicate contraddittorie e inattendibili, da parte di Andrea Tarozzi (al momento sotto processo per questo episodio in ordine al reato di favoreggiamento) e Andrea Moretto (fratello di Fabrizio Moretto), chiamati quella notte da “Pipistrello” per soccorrere Erik. Tali contraddittorietà hanno comportato la convinzione negli investigatori che dietro c’era dell’altro.

Per gli inquirenti, verosimilmente, Erik D’Arienzo è morto per un debito di droga da circa 1000 euro. Fabrizio Moretto avrebbe dovuto fare da mediatore tra il 28enne di Borgo San Donato e Michele Mastrodomenico di Priverno, già noto negli ambienti e alle cronache giudiziarie per fatti di armi, stalking, droga. Nei giorni precedenti la tensione tra Moretto e Erik era alta e, spesso, nei messaggi intercorsi tra loro, si faceva riferimento a questo debito. Quella sera del 29 agosto 2020, Erik e Moretto con il Tmax in uso a quest’ultimo andarono anche a Latina dalle parti del cimitero per incontrare una ragazza a cui teneva il 28enne. È al ritorno sulla strada per Latina che avviene il pestaggio (probabilmente non solo da parte di Moretto): una circostanza ventilata anche da una prima testimonianza che dava conto di due uomini con mazze in mano che camminavano lungo la Pontina (peraltro a sommarie informazioni fu ascoltato anche un consigliere comunale di Sabaudia, estraneo alla vicenda).

Fatto sta che, morto Erik, quasi immediatamente si scatena anche sui social una vera e propria faida a colpi di “promesse” e minacce. “Pipistrello” giurava di amare come un fratellino Erik D’Arienzo: una versione non ritenuta credibile né dagli inquirenti né dalla famiglia del 28enne deceduto.

Iniziano per Moretto gli ultimi tre mesi e mezzo della sua vita. E al contempo Ermanno D’Arienzo e la moglie si mettono a studiare gli spostamenti di “Pipistrello”: dove va al bar, quando torna a casa ecc. Al contempo, la paura per Moretto fa novanta tanto da avvicinare anche un certo “albanese”, considerato un tipo piuttosto violento proprio per proteggere la sua incolumità. Si sentiva minacciato Moretto e aveva ragioni per crederlo: suo fratello Andrea Moretto fu avvicinato e aggredito anche dalla madre di Erik all’interno di un bar a Sabaudia, nell’ambito dei pedinamenti messi in atto da “Topolino” e dalla moglie. Minacce non opinabili: “dovete andarvene via da Sabaudia“. L’odio e il risentimento crescevano ogni giorno di più. Così disse la moglie di D’Arienzo al marito dopo aver visto entrare in un bar, Moretto: “Lo scanno”.

I passaggi che portano alla morte di Fabrizio Moretto sono lucidamente e terribilmente semplici.

La sera del 21 dicembre 2020, intorno alle ore 18.30, Fabrizio Moretto, a bordo del suo ciclomotore, parte dal bar “I Sapori del Parco” per tornare a casa. S’immette su Via Litoranea e poi svolta su Via Tartaruga. Nel frattempo, soggetti allo stato rimasti ignoti si pongono al suo inseguimento e informano D’Arienzo dell’imminente arrivo di Moretto.

I personaggi ignoti utilizzano, secondo il Giudice per le indagini preliminari, radioline per non essere tracciati: ciò trova conferma nell’assenza, in orario compatibile con l’agguato, di traffico telefonico o telematico. D’Arienzo sente il rumore del ciclomotore – che ben conosce per averlo già individuato in occasione degli appostamenti/pedinamenti messi in pratica da ottobre 2020 in poi – si pone sul ciglio sinistro di Via Tartaruga in attesa della vittima, che sta percorrendo la medesima strada ma in direzione opposta verso Strada Acquaviva.

Una volta avvistato Moretto, D’Arienzo gli intima di fermarsi. Appena Moretto rallenta, “Topolino” esplode un colpo di pistola al suo indirizzo che lo colpisce al torace per fuoriuscire dalla schiena, freddandolo. Dopodiché D’Arienzo si dilegua, facendo rientro presso la propria abitazione, dove, a distanza di due ore circa dalla richiesta di intervento in Centrale Operativa giunta alle ore 19.08, verrà trovato dai Carabinieri con la moglie, la figlia Monia D’Arienzo, e una conoscente della figlia. È qui che i militari constatano che i presenti sono seduti davanti a una tavola apparecchiata con al centro una bottiglia di spumante aperta. Per gli inquirenti quella bottiglia di spumante è un’altra circostanza che prova il contesto: si festeggiava l’avvenuto omicidio del killer del compianto Erik. A rendere più robusta questa tesi anche un messaggio di Valentina Travali, sorella di Angelo Travali detto “Palletta”, figlio biologico di Ermanno D’Arienzo, che chiedeva conto dell’avvenuto omicidio di Moretto.

Angelo Travali in una immagine da Facebook
Angelo Travali in una immagine da Facebook

D’altra parte su Ermanno D’Arienzo i sospetti degli inquirenti erano stati sin da subito molto forti. Lo si evince dalle intercettazioni investigative dei Carabinieri del Nucleo Investigativo che nel frattempo indagano, applicando a Ermanno D’Arienzo, alla moglie, e ai pregiuducati di Latina Antonio Mazzucco e Fabrizio Marchetto (noti alle cronache e considerati nella cerchia di D’Arienzo) il cosiddetto stub che serve a stabilire se nelle ore precedenti a un determinato delitto una persona abbia premuto il grilletto. Dall’esame stub, risulta che D’Arienzo ha sulle braccia tre particelle di rame e zolfo che comproverebbero la circostanza che è stato il 64enne a sparare. Un particella viene trovata anche su Mazzucco, sebbene questo non abbia comportato, secondo gli investigatori, un suo coinvolgimento nell’agguato.

Nelle settimane precedenti all’omicidio di Moretto, D’Arienzo senior è in grande attività e dal 6 ottobre smette di utilizzare il cellullare perché, secondo il ragionamento degli investigatori, teme o comunque sa di essere intercettato (in effetti lo è, così come nella sua auto viene posta una microspia): contatta tutta una serie di pregiudicati, così come scoprono i Carabinieri. Si va da Maurizio Santucci a cui chiede un non meglio precisato favore, a Mario e Daniele Nardone interpellati per esercitare pressioni su una donna, Cristina Giudici, un tempo legata sentimentalmente a Erik D’Arienzo. Giudici, che poi verrà coinvolta nell’operazione dei Carabinieri di Latina denominata “I Pubblicani”, era finita all’attenzione dei D’Arienzo poiché in un primo momento anche la famiglia avrebbe pensato che dietro al pestaggio mortale di Erik vi potesse essere una questione di gelosia. È per questo che un altro ex compagno di Cristina Giudici, Benito Federici, va immediatamente a casa di Ermanno D’Arienzo per dire, con il “dovuto rispetto” che si deve a un criminale del genere, che lui con la morte del figlio non c’entrava niente. Quasi un tentativo disperato per mettersi al riparo dalla vendetta, per cui a D’Arienzo lo stesso Federici dice di essere in rapporti con Carlo Maricca, altro personaggio noto della malavita pontina, peraltro dato da sempre come amico di “Topolino”.

E non è l’unico che cerca di discolparsi con D’Arienzo senior, ci prova anche lo stesso Fabrizio Moretto. D’Arienzo congeda Federici e gli dice che se fosse stato fermato da uno dei “suoi”, avrebbe dovuto dire loro che aveva già chiarito. La stessa Cristina Giudici si adopera subito per mettersi dalla parte dei D’Arienzo chiedendo aiuto a Valentina Travali, appartenente all’omonimo clan e partecipe dei dolori della famiglia: tutte e due si mettono alla ricerca dei responsabili della morte di Erik. E la stessa Giudici tranquillizza il compagna del momento dicendo di non preoccuparsi perché a trovare i colpevoli ci avrebbe pensato “Topolino”.

A corroborare le tesi di accusa nei confronti di D’Arienzo ci si mette anche una voca inaspettata: si tratta di Costantino Di Silvio detto “Patatone”, membro di peso del clan del Gionchetto e in carcere per l’omicidio di Fabio “Bistecca” Buonamano avvenuto nell’ambito della “guerra criminale pontina” del 2010.

Dal carcere di Rebibbia, infatti, tramite un altro affiliato al clan Di Silvio, Gianluca Mattiuzzo, “Patatone” fa recapitare delle lettere all’autorità giudiziaria: “Da quello che si sa Ermanno D’Arienzo per vendicare il figlio venne aiutato dai fratelli Mazzucco, in particolare Pietro…Quando non si risolve un omicidio…la strada di porta a commettere altri delitti“.

Ascoltato a sommarie informazioni dai Carabinieri, “Patatone” ha confermato il contenuto delle lettere e, nonostante una sorta di reticenza per non fare la figura della “spia”, ha spiegato che: “la fonte della mia idea che l’omicidio di Moretto sia una risposta di Ermanno D’Arienzo, un convincimento che ho sul fatto che Ermanno vuole dimostrare che ancora a 60 anni è un uomo“.

“Credo che Moretto – ha detto agi inquirenti Patatone – che ha fatto tutta la storia dell’incidente stradale, è quello che ha tradito il figlio di Ermanno, è quello che doveva pagare per questo…andando a casa di Ermanno, ha dato indirettamente una conferma a Ermanno che era stato lui”.

E ancora: “Ermanno D’Arienzo e i suoi amici appartengono alla vecchia guardia (nda: di cui fanno parte molti dei nomi citati: Santucci, Nardone, Mazzucco, Maricca), dove c’era rispetto e delle regole da rispettare per le quali la morte di un figlio ha un peso e va vendicata senza alcun pensiero per la magistratura e la polizia. Anch’io sono vecchio stampo e la penso come Ermanno…si tratta di un codice di comportamento tra persone d’onore…so che Ermanno ha convocato tante persone a lui vicine“. Personaggi, come detto della criminalità locale, che, infatti, si trovavano tutte al funerale di Erik.

Un proposito quella della vendetta come asserito “codice d’onore” che venne raccontato in altro contesto da Agostino Riccardo e contenuto in uno dei verbali resi alla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Fu quando lo stesso attuale collaboratore di giustizia si sarebbe recato da Ermanno D’Arienzo, alla presenza di Massimiliano Moro con cui l’ex affiliato del clan rom aveva avuto una contesa violenta. Riccardo fu gambizzato da Moro e i due si chiarirono da D’Arienzo. Era il 2006.

Fabrizio Moretto
Fabrizio Moretto

“Travali Angelo – ha riferito ai verbali della DDA, Riccardo – mi prese un appuntamento con suo padre naturale, Ermanno D’Arienzo detto Topolino, ritenuto uno dei sette uomini d’oro. Ermanno mi fissò un appuntamento nella casa di Sabaudia e vi trovai, seduto su un divano, Massimiliano Moro. o gli chiesi se fosse normale sparare a un ragazzo giovane e lui mi rassicurò che non aveva voluto ammazzarmi perché altrimenti mi avrebbe sparato in testa. Ermanno lo rimproverò dicendo che avrebbe potuto prima andare da lui, sapendo che ero amico del figlio, ma Massimiliano chiese ad Ermanno cosa avrebbe fatto ove si fosse trattato di suo nipote. Ermanno rispose avrebbe fatto lo stesso”.

Per un nipote Ermanno D’Arienzo avrebbe gambizzato, per un figlio ha scelto di uccidere e consegnarsi a un destino carcerario probabilmente imperituro.

Al momento, la misura in carcere viene motivata dal Gip del Tribunale di Latina anche per evitare altri accadimenti ai danni di Andrea Moretto e Andrea Tarozzi, entrambi presenti nella serata del ritrovamento di Erik a due passi dalla Migliara 47. La motivazione è data peraltro dal legame di Ermanno D’Arienzo con Angelo Travali, tra i cui sodali potrebbero esseri personaggi disposti a completare la vendetta per la morte di Erik.

E pensare che, dopo la morte di Moretto, c’era qualche pregiudicato che suggeriva a Tarozzi e al fratello Andrea Moretto di vendicarsi. Un proposito più volte ventilato da Tarozzi ma che non è mai stato credibile di fronte alla paura che incute ancora, negli ambienti, il nome di D’Arienzo.

Poco prima dell’omicidio di Moretto, a un altro fratello di quest’ultimo dissero che “tempo due mesi, tre mesi, lo fanno secco a Pipistrello“. Una previsione che si è rivelata terribilmente esatta, persino nella mano che lo ha ucciso: quell’amico che rivelò la tempistica aveva rivelato a uno dei fratelli di Moretto anche il nome del killer. Ermanno D’Arienzo, per l’appunto.

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