DIRTY GLASS, IL PROCESSO A IANNOTTA&CO È INIZIATO PER DAVVERO

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Luciano Iannotta
Luciano Iannotta

Dirty Glass, è stato ascoltato il primo testimone nel processo che vede sul banco degli imputati l’imprenditore di Sonnino Luciano Iannotta

Dopo la pronuncia della Cassazione, arrivata ad aprile scorso, che ha stabilito una volta per tutte che il processo deve essere svolto presso il Tribunale di Latina, è iniziato, non senza difficoltà (il perito che avrebbe dovuto trascrivere le intercettazioni ha chiesto una proroga di termini, visto il volume del materiale), il dibattimento tanto agognato. Un dibattimento che sfuggiva almeno dal febbraio 2021 quando il procedimento era incardinato a Roma; se, poi, si conta che l’esecuzione dell’ordinanza cautelare risale al settembre 2020, questo dà la misura delle difficoltà di un processo che ha arrancato tra legittimi impedimenti, eccezioni, ricorsi in Cassazione e tanto altro.

E pensare che si tratta di uno dei procedimenti più importanti che si svolge presso il Tribunale di Latina dove ad essere imputati sono l’imprenditore di Sonnino, Luciano Iannotta, e quelli che, dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla Squadra Mobile di Latina, sono ritenuti essere i suoi sodali di un tempo, tra affari, malavita e persino servizi segreti.

Il processo non era praticamente mai iniziato. Nessuna udienza di dibattimento nella quale era stato esaminato un testimone. Sul banco degli imputati, oltreché a Iannotta, vi sono Luigi De Gregoris, Antonio e Gennaro Festa, i carabinieri Alessandro Sessa e Michele Carfora Lettieri, Pio Taiani e Natan Altomare. Parti civili l’associazione antimafia “Antonino Caponnetto” e la curatela fallimentare della società “Global Distribution”.

I reati contestati, a vario titolo, dalla Direzione Distrettuale Antimafia, sono molteplici: in materia fiscale e tributaria, violazioni della legge fallimentare, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accesso abusivo a sistema informatico, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale,  turbativa d’asta, sequestro di persona e detenzione e porto d’armi da fuoco. Nel mezzo un sequestro da 50 milioni di euro recapitato a Luciano Iannotta su cui pende un ricorso per farlo annullare.

Ad ogni modo, davanti al collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Laura Morselli – a latere i colleghi Simona Sergio e Paolo Romano -, è stato interrogato dai due Pubblici Ministeri della DDA di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, il commercialista che sedeva nel collegio sindacale della Pagliaroli Spa, la società che, secondo le prospettazioni della Procura di Roma, sarebbe stata spolpata da Luciano Iannotta prima che la stessa fallisse.

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Il commercialista, originario di Priverno, ha spiegato che, a gennaio del 2013, lui e gli altri due membri del collegio sindacale rassegnarono le dimissioni dalla Pagliaroli srl anche se le stesse non furono mai comunicate dall’amministratore Franco Pagliaroli agli organi competenti. Per tale ragione il collegio sindacale rimase in piedi: una circostanza datata dal momento che, ad oggi, la norma è cambiata e le dimissioni sarebbero state effettive.

L’amministratore, come detto, era Franco Pagliaroli, peraltro deceduto pochi giorni fa. Una società rilevante la sua, conosciuta in tutta la provincia e oltre, che si occupava dalla sua sede a Mazzocchio di vetri e bottiglie e che era riuscita ad avere credibilità bancaria e un importante export anche verso l’estero.

Con le prime avvisaglie di difficoltà gestionale, la società divenne da Spa a Srl. Eppure, il commercialista ha dichiarato che tra il 2011 e il 2013, più volte, come collegio sindacale, avvertirono la società e Pagliaroli che bisognava ristrutturare la gestione e tagliare le spese (altrimenti si sarebbero dovuti portare i libri in Tribunale): in particolare, secondo il professionista ormai in pensione, la causa degli sperperi era tutta in capo ai figli di Pagliaroli. I finanziamenti segnati col cerchietto rosso, per quanto sostenuto dal commercialista, erano quelli ascrivibili a una società del figlio dell’amministratore, ossia Umberto Pagliaroli: si tratta dell’ex marito dell’ex consigliera regionale del Pdl, Gina Cetrone, condannati entrambi, a novembre scorso, per estorsione mafiosa insieme a membri del clan Di Silvio.

Ebbene, per quanto testimoniato dal commercialista, la Pagliaroli Spa (poi srl) corrispondeva alla società di Pagliaroli junior – la Vetritalia srl – 500mila euro all’anno. Soldi che sarebbero serviti per concretizzare alcune commesse le quali spesso non arrivavano a dama. “Non si fanno operazioni del genere – ha detto il commercialista – Prestare soldi senza condizioni è inopportuno”

Altro centro di spesa immotivato sarebbe stato il finanziamento continuo alla figlia di Franco Pagliaroli, la quale avrebbe utilizzato soldi della società per cose private come, ad esempio, viaggi e gioielli. Senza contare la sponsorizzazione della Pagliaroli Vetri a favore di una società ciclistica. “Dicemmo di eliminare le spese e per questo litigai col figlio di Franco Pagliaroli che era una bravissima persona”.

In sostanza, secondo il testimone la gestione finanziaria era pessima, ma dal punto di vista economico la società andava bene ed era sostenibile tanto che ottenne dal proprio maggiore fornitore la rateizzazione del debito milionario.

Fu in questo contesto di difficoltà che nella Pagliaroli Vetri si palesò Luciano Iannotta il quale, tramite delega di Franco Pagliaroli, iniziò a gestire la società di Mazzocchio. “Franco – ha spiegato il commercialista – ci disse che c’era una delega per Iannotta, anche se non fu mai comunicata alla Camera di Commercio. La firma sulla delega data a Iannotta era di Pagliaroli”. Sul punto, però, il commercialista è stato rintuzzato dal Pm Gualtieri che gli ha ricordato di come, interrogato dalla Squadra Mobile, aveva detto l’esatto contrario, sostenendo che la firma in calce alla delega non fosse di Franco Pagliaroli.

Ad ogni modo, secondo il commercialista, Iannotta si comportava come se fosse l’amministratore e l’8 luglio 2014 lo stesso professionista rilevò criticità sul distacco di 4 dipendenti alla Vetritalia spa: praticamente emerse uno spostamento di un ramo aziendale ad altra società, la Italy Glass (da cui prende il nome l’inchiesta che ha portato al processo odierno, per l’appunto “Dirty Glass”). “E non si capiva per quale motivo”.

“Iannotta gestiva l’azienda, Franco non veniva quasi più, era sconvolto dalla situazione, era sempre più fuori. Lo vedevo depresso e si era auto-emarginato. La fiducia di Pagliaroli in Iannotta era totale, perché credeva che potesse risollevare l’azienda avendo contatti con una società romana di avvocati e commercialisti specializzati in salvataggi. Questi consulenti si interfacciavano solo con Iannotta. Fecero il piano di risanamento”.

“Ad aprile 2016 – ha continuato il commercialista – andai col curatore a Mazzocchio e la società era diversa, gestita da un ex calciatore: ora si chiamava Pagliaroli Italia”.

Alla domanda se i commercialisti, come componenti del collegio sindacale, siano stati pagati per intero, il testimone ha risposto che Iannotta non li pagò, almeno per le ultime mensilità prima delle dimissioni definitive.

Per tali fatti, la Procura/DDA formula l’ipotesi di bancarotta contestata sia a Iannotta che al braccio destro Luigi De Gregoris (imputato), e ad altri due uomini considerati prestanome, Pio Taiani (imputato) e Gaetano Del Vecchio.

A fine udienza, due fatti rilevanti. Il primo è la reiterazione della richiesta già formulata dall’avvocato Mario Antinucci, che difende Luciano Iannotta, riguardo ai capi 14 e 15: si tratta del sequestro di persona di cui è accusato anche l’imprenditore di Sonnino, non più procedibile per gli effetti della Legge Cartabia la quale prevede una querela di parte. In effetti i due “sequestrati”, Pierpaolo Tomaino e Fabio Zambelli, non hanno tuttora presentato denuncia e i termini sono scaduti il 30 marzo scorso. Il Tribunale si è riservato di decidere lo stralcio e quindi la cancellazione dei capi d’accusa all’esito di ulteriori verifiche della Procura (leggi al link di seguito l’approfondimento di Latina Tu).

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Il secondo fatto di una certa rilevanza è stato il secondo intervento in aula da parte del principale accusato. Luciano Iannotta, infatti, ha voluto rendere altre dichiarazioni spontanee che sono state veementi tanto è che due volte è stato richiamato dal Presidente del collegio ad abbassare i toni.

Secondo Iannotta, sarebbe stato proprio lui a tentare di salvare una società che faceva acqua da tutte le parti: “Si sono rubati 6 milioni di euro, dove sono finiti?”. Iannotta ha citato tutta una serie di spese della Pagliaroli Vetri che non avevano nulla a che fare con il core businness dell’azienda: una serie di fatture che recavano l’emissione da parte di note gioiellerie della provincia di Latina e di Roma.

Insomma, secondo il vulcanico imprenditore sonninese, lui era stato chiamato a salvare una società ormai decotta.

Il processo è stato rinviato al prossimo 23 novembre quando dovrà essere concluso l’esame del testimone odierno e iniziare il contro-esame da parte del collegio difensivo. Un’udienza difficile ma, quantomeno, il processo è iniziato. A fatica, ma è iniziato.

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