CLAN CIARELLI, L’AVVOCATO VITTIMA DEL CLAN: “OCCUPARONO LA MIA CASA E MI DISSERO TE LO METTO IN BOCCA”

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Il profilo Facebook Purosangue Ciarelli con cui Carmine detto Prochettone avrebbe inviato messaggi intimidatori alle vittime di usura ed estorsione

Clan Ciarelli: sono iniziate le testimonianza in Tribunale, ad essere ascoltati l’ex capo della Squadra Mobile e due vittime

Scelgono di essere giudicati tutti insieme, a parte Roberto Ciarelli che ha optato per il rito abbreviato a Roma, gli appartenenti alla famiglia Ciarelli. Così, a inizio udienza, davanti al collegio presieduto dal Giudice Gian Luca Soana – a latere i giudici Fabio Velardi e Elena Nadile -, il procedimento stralciato del capo clan Carmine Ciarelli detto “Porchettone” viene riunito a quello in cui sono presenti tutti gli altri. La sua posizione era stata stralciata perché il “reuccio del Pantanaccio” (così come amava farsi chiamare da affiliati e sottoposti), nella scorsa udienza, non si era presentato in video collegamento. Ora, dagli arresti domiciliari dove è ristretto, “Porchettone” non è più sottoposto a tracheotomia ed è stato trasferito in un centro di riabilitazione.

Il processo odierno è quello derivante dall’operazione “Puro Sangue” della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Squadra Mobile di Latina finalizzata lo scorso giugno 2022, che contesta reati aggravati dall’associazione mafiosa a personaggi di rilevante caratura criminale come Carmine Ciarelli detto “Porchettone” e suo fratello Ferdinando Ciarello detto “Furt”. Tra i reati più rilevanti vari episodi di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori e finiti nel porcesso.

Nel procedimento con rito ordinario che è iniziato lo scorso 11 gennaio, alla sbarra ci sono dieci degli arrestati, inclusi Carmine e Ferdinando “Furt” Ciarelli. Gli altri sono Manuel Agresti, Matteo Ciaravino, Antoniogiorgio Ciarelli, Ferdinando “Furt” Ciarelli, il 25enne Ferdinando Ciarelli, Ferdinando Ciarelli detto “Macu”, Pasquale Ciarelli e Rosaria Di Silvio.

Macu e Antoniogiorgio Ciarelli sono imputati anche nel processo che contesta l’omicidio mafioso di Massimiliano Moro.

Saranno, invece, giudicati dal Gup del Tribunale di Roma, col rito abbreviato, gli altri coinvolti nell’operazione: Roberto CiarelliGianluca Di SilvioCostantino Di Silvio detto PatatoneFrancesco IannarilliMaria Grazia Di Silvio Valentina Travali. La sentenza romana dovrebbe arrivate il prossimo 15 maggio.

I dieci imputati del processo odierno sono difesi dagli avvocati Montini, Carradori, Fiore, Vittori, Casaturo, Farau, Nardecchia, Coronella, Palmiero, D’Arienzo, Diddi e De Giorgi.

Oggi, 28 marzo, a sostenere l’accusa era presene il Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia Corrado Fasanelli che ha iniziato interrogando l’ex capo della Squadra Mobile di Latina, Giuseppe Pontecorvo.

Il vice questore ha ripercorso le fasi delle indagini che hanno visto al centro delle attenzioni il clan Ciarelli, la famiglia che per anni ha impresso il proprio marchio di assoggettamento sul territorio di Latina. Due le informative, risalenti al 2021, che sono alla base dell’operazione “Puro Sangue”. Informative che si sono avvalse delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo, Maurizio Zuppardo e soprattuto Andrea Pradissitto, marito di Valentina Ciarelli, ossia la figlia di uno degli imputati: Ferdinando “Furt” Ciarelli. Pradissitto, come ha ricordato anche Pontecorvo, ha deciso di collaborare con la giustizia proprio quando vi furono gli arresti per l’omicidio di Massimiliano Moro.

L’aggravante mafiosa, come ha spiegato Pontecorvo, è stata contestata proprio per il diffuso sentimento di assoggettamento delle vittime, soggiogate dal nome dei Ciarelli e dalle loro azioni delittuose, in primis l’usura e le estorsioni. Nelle informative viene ricostruita la capacità di intimidazione del clan, partendo dalla cosiddetta guerra criminale del 2010 scaturita dall’attentato a Carmine Ciarelli e gli omicidi conseguenti di Moro e Fabio “Bistecca” Buonamano.

Dirimenti per spiegare la forza del clan le sentenze Andromeda e, in particolar modo, Caronte che rese evidente l’alleanza del clan Ciarelli con l’altro sodalizio rom della città, Di Silvio, per annientare la malavita non rom. Un abbraccio mortale che portò, oltreché a quei due omicidi (ce ne fu anche un terzo, quello di Paolo Celani, morto in agonia all’ospedale dopo un ferimento), tutta una serie di gambizzazioni e tentati omicidi i quali, in quei mesi caldi del 2010, terrorizzarono la città.

Il vice questore, interrogato dal Pm Fasanelli, ha ripercorso, poi, episodio per episodio, tutta l’indagine denominata “Puro sangue”, ossia il nome dell’account su Facebook utilizzato da Carmine Ciarelli per chiedere soldi, estorcendoli alle sue vittime, tra cui anche persone che erano state estorte dieci anni prima, tra il 2008 e il 2010, e le cui storie sono emerse nel processo Caronte (i cui esiti sono una sentenza passata in giudicato per tutti i componenti maggiori del clan).

In sintesi sono stati passati in rassegna tutti gli episodi di cui si sono resi protagonisti i componenti del clan che esercitavano anche con i loro affiliati, spendendo il nome Ciarelli, il loro potere anche nel carcere di Latina. Due di questi episodi, infatti, hanno a che vedere con altrettanti estorsioni di soldi – una sorta di pizzo da pagare per la protezione tra le sbarre -, tra cui il coinvolgimento dell’avvocato di Latina, imputato nel processo “Arpalo” insieme a Pasquale Maietta.

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L’ex capo della Mobile ha spiegato anche il legame di affiliazione da parte di uno degli imputati, Matteo Ciaravino, con Roberto Ciarelli, figlio di “Furt” e particolarmente noto per la violenza del suo agire. Esemplificativo l’episodio che li ha visti protagonisti nell’aggressione alla guardia anti-taccheggio del Carrefour del Piccarello.

Le vicende di cui si parla sono avvenute, per lo più, tra il 2016 e il 2020. Agghiacciante quella messa in atto da Carmine Ciarelli nei confronti di un uomo estorto oltre dieci anni fa, tramite una lettera, e di nuovo estorto, nel 2020, per mezzo Facebook. Un decennio in cui è cambiato il mezzo di comunicazione ma non la violenza. “Porchettone” contattava le sue vittime con il profilo Facebook “Purosangue Ciarelli” o in alternativa “Leone Ciarelli”. All’uomo già estorto in precedenza, Ciarelli scrisse: “Ti chiedo solo di restituirmi i 250mila euro, non cancellarti da Facebook perché se voglio ti trovo“. Alla stessa persona, dieci anni prima, Ciarelli scriveva in una lettera che “la gente solo che sente il mio nome mi teme“.

Altro episodio significativo ricordato da Pontecorvo è stato quello di una estorsione ai danni di un uomo che aveva già subito lo stesso trattamento da Carmine Ciarelli. Sotto strozzo dal 2008 al 2013, “Porchettone” si ripresentò da lui, tramite social, chiedendogli altri soldi tramite una transazione verso una carta prepagata. L’uomo fu ricoverato per stato d’ansia. Nel 2021, dal solito account Purosangue, Ciarleli contattava anche la moglie: “Va bene 500 euro al mese, la mia parola è legge…non mi fare costringere di venire a casa“.

E po ancora le estorsioni a un concessionario tra Borgo San Michele e Pontinia e quella ai danni di un altro imprenditore, già vittima delle angherie dei clan zingari negli anni precedenti: “Alessio ciao bello – gli scriveva Carmine Ciarelli – dopo 11 anni di carcere sono libero…avanzo 3 milioni di euro…devi darmi 1000 euro perché devo pagare l’affitto“.

“La vittima – ha spiegato Pontecorvo – mi contattò e mi inoltrò uno screenshot dove si rendeva evidente che aveva rifiutato la richiesta di amicizia di Carmine Ciarelli. Aveva paura e terrore per l’incolumità sua e dei suoi famigliari, proprio perché aveva riferito a sommarie informazioni”. Successivamente, nell’agosto 2021, Carmine Ciarelli aveva provato anche a video-chiamare la vittima: una telefonata che fu lasciata cadere.

E non mancano le angherie riferite anche da uno dei collaboratori di giustizia, Maurizio Zuppardo, costretto da Ciaravino e Roberto Ciarelli a riparare una tenda a uno dei locali più alla moda della zona pub, noto per le sue cheesecake.

Dopo l’escussione di Pontecorvo, sono stati ascoltati due parti offese: un avvocato, marito di una nota esponente politica latinense del centrodestra, e un gestore di un locale in zona pub.

L’avvocato ha raccontato in quale incubo era incappato, dopo aver affittato la sua casa in Via Milazzo a Manuel Agresti e una giovane legata a Roberto Ciarelli. In realtà la casa fu occupata da quest’ultimo e dalla madre Rosaria Di Silvio.

“Presi appuntamento con Agresti e Gina Rocco – ha spiegato l’avvocato – stabilimmo il prezzo, era ottobre 2019. Le chiavi le ho consegnate a Rocco Gina e Agresti. Successivamente, quando mi recai nell’appartamento, trovai due persone diverse nell’appartamento, allora chiamai i Carabinieri. Non ricordo i nomi, ma trovai all’inizio una donna e una bambina”.

“Tornavo tutti i giorni perché volevo che mi liberassero l’appartamento. Quando chiamai i carabinieri mi dissero che dovevo andare via: loro parlarono con la donna, ma non successe niente. Io li avevo chiamati perché ho trovato persone con cui non avevo stipulato il contratto. È passato tanto tempo ed è una situazione che a me è pesata molto. Successivamente ci fu un intervento casuale dei poliziotti che si fermarono in via Milazzo, in quel momento c’erano Roberto Ciarelli e Rosaria (nda: il nome Di Silvio non l’ha mai pronunciato). Stavano parlando sul marciapiede e la polizia si è fermata, era una discussione. Ciarelli e la madre mi presero a parolacce. Ciarelli mi disse che ero un vecchio, che cazzo campavo a fare, che mi metteva il cazzo suo in bocca e che non dovevo rompere i coglioni“.

“Io chiedevo alle forze dell’ordine solo la restituzione del mio appartamento e andavo spesso alla Squadra Mobile per chiedere a che punto fosse la situazione. I fatti sono iniziati a ottobre 2019, per circa un anno hanno occupato la mia caso. Poi ho adito le vie legali e dopo un anno ho liberato l’appartamento con l’ufficiale giudiziario che aveva chiesto l’intervento della forza pubblica di cui non vi è stato bisogno. Gina Rocco mi riconsegnò le chiavi lo stesso giorno”.

Alla fine, ha ricordato sconsolato l’avvocato, “non ho avuto i denari della morosità e ho registrato l’asportazione di alcuni mobili dalla mia casa. Durante l’anno ho avuto solo 3 vaglia di affitto e allora, alla fine, ho trattenuto la caparra di 1000 euro perché hanno danneggiato e rubato mobili“.

Un racconto sofferto, quello dell’avvocato, che è anche inciampato in qualche non ricordo di troppo e contraddizione rispetto a quanto dichiarato a sommarie informazioni agli investigatori. Infatti, interrogato in fase di indagine, aveva detto di sapere bene chi fossero gli “zingari” poiché il suo quartiere di nascita è Campo Boario. Tuttavia, l’avvocato ha spiegato che le nuove generazioni non le conosce. Lo stesso dicasi di un altro episodio inquietante: l’avvocato aveva detto agli investigatori di essere stato pedinato. Eppure, oggi, in aula, l’uomo non ricordava di aver mai riferito questo episodio alla Polizia.

In fondo alla sua testimonianza, un altro particolare non prevedibile. L’avvocato estorto ha detto di aver ricevuto dal carcere una lettera da Manuel Agresti, imputato anche lui per lo stesso episodio estorsivo. Agresti ha chiesto scusa all’avvocato che, coincidenza, durante l’interrogatorio, ha voluto sgravare la sua posizione: a minacciare, infatti, secondo l’uomo, fu solo Roberto Ciarelli.

Alla fine di una udienza che è durata dalla mattina fino alle cinque del pomeriggio, è stato escusso l’ultimo testimone: un gestore di un locale della zona pub a cui Ciaravino e Roberto Ciarelli diedero fastidio per un affronto subito. “Entrò nella mia attività Matteo Ciaravino, col nipote in braccio, per chiedermi se era la mia l’auto di fronte alla casa della sorella”. Al che l’uomo avrebbe spostato l’auto, non senza essere spintonato da Ciaravino che gli disse: “Non sai chi sono io”.

Dopo lo screzio, il gestore del locale in zona pub fu inseguito da una Mercedes Classe A, guidata da Roberto Ciarelli, con Ciaravino sul lato del passeggero. I due tentarono di speronarlo. “Arrivai in via dello Statuto sotto una banca così che potevo essere ripreso dalla video sorveglianza nel caso in cui la situazione degenerasse. Ciarelli mi disse: “Stai attento che ti diamo fuoco al locale”. Io non denunciai il fatto perché mi sembrava un’alzata di testa di due ragazzi”. Eppure, a sommarie informazioni, come gli ricorda il Pm Fasanelli, l’uomo aveva raccontato di non aver denunciato per via del fatto che di mezzo c’era uno della famiglia Ciarelli. A margine, dopo aver ascoltato la testimonianza contro di lui, è intervenuto video collegato dal carcere Matteo Ciaravino che ha negato di aver minacciato il gestore del locale in zona pub, spiegando di averlo sollecitato perché il nipote di 11 mesi stava nel mezzo di una crisi respiratoria

Il processo è stato aggiornato al 23 maggio quando saranno ascoltati altri sei testimoni, tra cui l’avvocato estorto in carcere e un tempo molto vicinino all’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta.

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