LO “STATUS QUO” DI GRAZIELLA DI SILVIO E ANGELO TRAVALI: ESTORCERE E GAMBIZZARE GLI “INFAMI”

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Maria Grazia Di Silvio intervistata dal giornalista Carlo Marsilli nella trasmissione "Non è l'Arena" andata in onda l'anno scorso su La7. Erano passate poche settimane dall'operazione della DDA "Reset" (2021)
Maria Grazia Di Silvio intervistata dal giornalista Carlo Marsilli nella trasmissione "Non è l'Arena" andata in onda l'anno scorso su La7. Erano passate poche settimane dall'operazione della DDA "Reset" (2021)

Operazione “Status Quo”, sono due gli episodi ritenuti dalla DDA di Roma aggravati dal metodo mafioso. Le contestazioni a carico di madre e figlio: Maria Grazia Di Silvio e Angelo Travali

Deve essere stato un incubo per il gestore di una pompa di benzina, ubicata in Via Epitaffio, vedersi parare di fronte, a distanza di sei anni, la madre dei fratelli Travali, Maria Grazia Di Silvio. La donna, dopo gli arresti eseguiti con l’ordinanza della DDA di Roma e della Squadra Mobile di Latina denominata Reset (febbraio 2021), che contestò per la prima volta al Clan Travali/Cha Cha Di Silvio il 416 bis, si presentò dallo stesso benzinaio pretendendo 2mila euro. E sì che a ottobre 2015 (e ancor prima per anni), secondo gli inquirenti della stessa DDA di Roma, nell’ambito dell’inchiesta Reset, quello stesso gestore di una pompa di benzina fu raggiunto più volte da Angelo e Salvatore Travali, dal cognato Francesco Viola e dall’allora affiliato Agostino Riccardo, prima di scegliere la collaborazione con lo Stato, e costretto a dare rifornimento senza nemmeno che questi avessero bisogno di minacciarlo: il nome e la fama li precedeva, e la paura era connaturata alle loro vittime. Per quell’episodio, la DDA contesta nel relativo processo “Reset” l’aggravante mafiosa.

Salvatore e Angelo Travali
Salvatore e Angelo Travali

E anche nell’ordinanza odierna, Maria Grazia Di Silvio – che in un passaggio dell’inchiesta “Status Quo” redarguisce il nipote minorenne per non essere bravo a rubare – viene accusata di aver messo in pratica una estorsione col metodo mafioso, facendo valere la forza intimidatoria derivante dall’appartenenza al clan Travali-Di Silvio. La donna avrebbe preteso 2mila euro dopo l’operazione antimafia “Reset”. Secondo la Di Silvio, il benzinaio avrebbe denunciato Angelo e Salvatore Travali, i suoi figli, e per tale ragione pretendeva denaro come un pegno per il suo affronto. Neanche ai dinieghi del benzinaio sul fatto di non non aver denunciato anni prima i due figli, Graziella Di Silvio desistette: “L’ho letto – dice la Di Silvio al benzinaio – te lo volevo dì”. La Di Silvio si è poi ripresentata almeno un’altra volta, minacciando il povero benzinaio (“Dovemo anna’ oltre?”) e intenzionata a utilizzare quella penna pistola per la quale la figlia Valentina Travali è stata condannata a due anni di reclusione a causa delle perquisizione della Polizia avvenuta dopo il video rap ai Palazzoni.

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Già dalle carte dell’inchiesta Reset, il benzinaio aveva descritto un passato fatto di paura: “Avrò dato loro – riferendosi ai Travali, Viola e Riccardo – tra i 7mila euro e i 10mila euro di carburante senza vedere nemmeno un soldo. Non pretendevo il pagamento da loro perché comunque mi incutevano paura; nessuno mi hai mai minacciato ma sapevo, come sapevano tutti a Latina, che era gente che non andava contrariata e temevo che potessero danneggiare il mio distributore di benzina“.

Alla fine, Graziella Di Silvio rinuncia a estorcere il benzinaio in quanto avrebbe avuto rassicurazioni da parte di una donna in merito a una possibile ritrattazione del benzinaio stesso. Un contesto che per gli inquirenti costituisce l’aggravante mafiosa poiché la Di Silvio avrebbe fatto valere il peso del nome suo e dei suoi figli; peraltro una circostanza ribadita dalla stessa Di Silvio quando, intervistata dal giornalista inviato di “Non è l’arena”, specificò che il 416 bis per i suoi figli poteva essere un’opportunità per accrescere la loro fama.

Riguardo all’aggravante mafiosa, lo stesso discorso è valido per Angelo Travali, in qualità di mandante, e Mohamed Jandoubi, come esecutore materiale – entrambi coinvolti nell’ordinanza odierna “Status Quo” -, individuati come i responsabili di una gambizzazione rimasta impunita sin dall’agosto 2014 quando il povero tabaccaio Marco Urbani rimase ferito, con prognosi di 45 giorni, al perone sinistro, fratturato, poiché attinto da colpi d’arma da fuoco. Una gambizzazione avvenuta in una non troppo calda estate di sette anni fa, praticamente al centro di Latina, a pochi metri dallo Stadio Francioni dove c’è il tabacchino tra Via dei Mille e Via Vittorio Veneto. Coinvolta in questo episodio, seppur senza l’aggravante mafiosa, a differenza del fratello e dell’ex compagno Jandoubi, anche Valentina Travali, la tenutaria dell’appartamento dello spaccio ai Palazzoni, e complice dei due in merito al furto di un ciclomotore – un Aprilia Antlantic – compiuto proprio per avere il mezzo con cui gambizzare Urbani.

Agostino Riccardo
Agostino Riccardo

Accusati dapprincipio per la gambizzazione del commerciante, i due fratelli Travali, Angelo e Salvatore, l’inchiesta era destinata all’archiviazione, salvata in extremis e rinvigorita dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Agostino Riccardo e Renato Pugliese che hanno consentito di riaprire il caso. Fu proprio il tabaccaio a descrivere agli inquirenti che il 20 agosto 2014 si presentò dentro al negozio un tizio con casco jet grigio in testa che, dopo averlo mancato con il primo proiettile, lo colpì al piede sinistro per poi fuggire. Aggiunse, il tabaccaio, di non avere mai avuto problemi né di essere stato minacciato, con un piccolo particolare: sette anni prima, aveva denunciato la madre dei Travali, Maria Grazia Di Silvio, per un tentativo di estorsione. Graziella Di Silvio, così viene chiamata, fu arrestata per quell’episodio.

Lo scooter su cui avrebbero viaggiato Angelo Travali e Jandoubi, per verosimilmente vendicare quella che viene considerata per certa logiche inumane e vigliacche l’infamata di Urbani, fu ritrovato a Via Curtatone. E per di più, le telecamere della rivendita tabacchi dove fu attinto Urbani sono state vagliate dagli investigatori mostrando il “misterioso” uomo che col casco in testa arrivò col motorino rubato il 4 agosto 2014, entrò e sparò con una pistola calibro 9.

Dopo l’attentato, Travali fu intercettato con Cha Cha Di Silvio il quale lo redarguì in merito all’attentato: “Per fare sempre il deficiente ti sputtani“. E ancora il fratello Salvatore Travali che, commentando sempre con Cha Cha, si diceva sicuro che tutto sarebbe filato liscio. Nessuno dei tre, oppure forse solo Cha Cha preoccupato per le smargiassate dei due parenti, sapeva che l’anno dopo, a ottobre 2015, avrebbero messo piede nelle patrie galere, a causa dell’operazione Don’t touch, per non uscirne più almeno fino ad oggi, anno di grazia 2022.

A dare manforte alla nuova inchiesta ci ha pensato anche Agostino Riccardo che in più di un interrogatorio ha ricostruito le fasi della gambizzazione: motorino rubato grazie a un altro affiliato del Clan Travali, Cristian Battello detto “Schizzo”; Francesco Viola come specchiettista per avvertire nel caso in cui venissero Forze dell’Ordine durante l’agguato in tabaccheria; Renato Pugliese che commentando la notizia della gambizzazione esclama: “questo è quello che meritano gli infami”; esclusione di Salvatore Travali dalla vicenda poiché non vi aveva partecipato. Il mezzo rubato (sul quale furono trovate all’epoca della prima indagine tracce di Dna di Angelo Travali), inoltre, fu abbandonato nei pressi di Piazza Mentana, provocando le lamentele di un altro soggetto noto agli ambienti criminali, Fabrizio Marchetto, probabilmente per timore di essere accusato dell’attentato.

Anche Renato Pugliese, ascoltato a verbale dopo essere diventato collaboratore di giustizia, spiegò un particolare sull’attentato: Travali “si era voluto vendicare perché il tabacchino aveva fatto del male alla madre”. Questo sarebbe stato il movente.

Come noto, sia Pugliese che Riccardo sono stati affiliati al Clan Travali prima di passare al Clan rivale capeggiato da Armando Di Silvio detto “Lallà”. Per tale ragione, sono ritenuti attendibili, vieppiù per essere stati già condannati anche per fatti per cui si sono autodenunciati.

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