ESTORSINE MAFIOSA IN CARCERE: REGGE L’ACCUSA CONTRO CIARELLI JUNIOR E IL SODALE

Roberto Ciarelli
Roberto Ciarelli

Operazione Purosangue: la Cassazione si è pronunciata sui ricorsi presentati da Roberto Ciarelli e Francesco Iannarilli

La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi presentati da Roberto Ciarelli e Francesco Iannarilli, assistiti dagli avvocati Pietro Parente e Andrea Palmiero, rispetto alle loro condanne riportate in Corte d’Appello in riferimento al processo derivante dall’operazione Purosangue. In particolare, i due imputati ricorrevano per una estorsione consumata insieme, all’interno del carcere di Latina, contro l’avvocato Fabrizio Colletti, all’epoca dei fatti appena coinvolto nell’operazione “Arpalo” insieme all’ex deputato ed ex Presidente del Latina, Pasquale Maietta.

A giugno 2024, la Corte d’Appello di Roma, composta dai giudici Flamini-Pilla-D’Alessandro, si era pronunciata sui ricorsi presentati dai quattro imputati, coinvolto nell’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma denominata “Purosangue”, che avevano scelto in primo grado il rito abbreviato. L’operazione eseguita a giugno 2022 dalla Squadra Mobile di Latina ha portato alla sbarra, nel Tribunale di Latina, i capi-famiglia del clan Ciarelli, in seguito usciti con una sentenza che ha ridimensionato le accuse, con sole 3 condanne. Ancora da celebrarsi, invece, il processo di primo grado per il personaggio più rilevante della famiglia, Carmine “Porchettone” Ciarelli.

Per quanto riguarda gli imputati giudicati a giugno dalla Corte d’Appello, si trattava, invece, di Roberto Ciarelli, Maria Grazia Di SilvioValentina TravaliFrancesco Iannarilli. A ottobre 2023, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Rosalba Liso, aveva pronunciato la sentenza di condanna nei confronti dei quattro: 9 anni di reclusione per Roberto Ciarelli (riconosciuta l’aggravante mafiosa) e 2 anni a testa per gli altri imputati, Iannarilli, Di Silvio e Travali.

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Lo scorso giugno, invece, la Corte d’Appello aveva assolto Valentina Travali e la madre Maria Grazia Di Silvio perché il fatto non costituisce reato in merito a un tentativo di estorsione nei confronti della compagna di un carcerato a sua volta intimidito dal boss Carmine Ciarelli detto Porchettone (capo dell’omonimo clan) e dal figlio Pasquale Ciarelli.

Ridotta la condanna anche per Roberto Ciarelli, a cui venivano contestati alcuni capi d’imputazione. Assolto l’imputato per una estorsione subita dall’avvocato di Latina, Fabrizio Colletti, quando quest’ultimo, ormai fuori dal carcere, avrebbe dato a Ciarelli circa 250 euro in due distinti episodi tra maggio e giugno 2019. E assolto anche per una violenza privata contro un barista di un locale nella via dei pub di Latina. Rimaneva confermata, invece, l’aggravante mafiosa in capo a Ciarelli junior per l’estorsione compiuta sempre ai danni dell’avvocato Colletti, quando quest’ultimo si trovava in carcere in seguito agli arresti derivanti dall’operazione Arpalo (aprile 2018).

Per quanto riguarda un altro capo d’imputazione, in cui Ciarelli junior veniva accusato di violenza privata mafiosa ai danni di un operatore volontario della zona pub, la Corte d’Appello aveva dichiarato il non doversi procedere nei suoi confronti per mancanza di querela da parte della vittima, secondo i nuovi dettami della Legge Cartabia.

Infine, sempre per Roberto Ciarelli, era esclusa l’aggravante mafiosa per una estorsione compiuta con la madre Rosaria Di Silvio e Manuel Agresti nei confronti di un altro avvocato di Latina che chiedeva conto dell’affitto di casa occupata dal 28enne di Latina. Esclusa l’aggravante del metodo mafiosa anche in ordine a un altro episodio di minaccia con coltello sempre ai danni del medesimo avvocato di Latina.

La Corte d’Appello aveva quindi condannato Roberto Ciarelli alla pena di 8 anni, 4 mesi e 20 giorni, con una multa da 3mila euro. Confermata invece la condanna a 2 anni per Francesco Iannarilli in ragione dell’estorsione compiuta in carcere nei confronti di Colletti. Sia Ciarelli che Iannarilli erano stati condannati a rifondere le spese sostenute dalla parti civili – Comune di Latina e Associazione antimafia “Antonino Caponnetto” – per la somma di 2500 euro.

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Ora, la Cassazione, con una sentenza emessa lo scorso 8 gennaio (ma pubblicata solo in questi giorni), ha confermato le condanne sia per Cirelli junior che per Iannarilli, lasciando inalterata la pronuncia della Corte d’Appello.

“La Corte di Appello – scrive la Cassazione – con argomentazioni logico-giuridiche ineccepibili ha spiegato che la minaccia esercitata nei confronti di Colletti Fabrizio, avvocato di Latina, detenuto in carcere, consistita dapprima nell’accusarlo ( Iannarilli) di avere arrecato nocumento ad un ragazzo che avrebbe dovuto risarcire e, qualche giorno dopo, direttamente da Ciarelli Roberto, il quale “offrì” a Colletti, detenuto in carcere, protezione in cambio di denaro (euro 2000), non solo integrava gli estremi della estorsione, ma era dotata di particolare efficacia intimidatrice, come è tipico nel caso di utilizzo del metodo mafioso, posto che Ciarelli quando si presentò a Colletti ci tenne a fargli sapere che era il figlio
di Ferdinando Ciarelli detto “Furt”, ben consapevole della caratura criminale della famiglia di appartenenza”.

“La Corte di appello, al riguardo, ha ricordato che i membri delle famiglie Ciarelli e Di Silvio sono stati condannati con sentenze definitive per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso e che lo stesso Colletti riferì che il cognome dei Ciarelli era ben noto per essere i membri della famiglia, soggetti che esercitavano un notevole potere criminale in territorio pontino”.

“Quanto all’affermazione di responsabilità per l’estorsione aggravata in danno di Zuppardo Maurizio, la sentenza poggia sulle dichiarazioni della persona offesa – la cui attendibilità è stata approfonditamente vagliata dal giudicante che ha rilevato l’assenza di decisive contraddizioni o discrasìe – la quale ha riferito che dovette rinunciare al compenso che gli spettava per la riparazione di una tenda presso un locale di Latina sottoposto alla protezione dei Ciarelli, in quanto la richiesta proveniva da Ciarelli Roberto appartenente alla nota famiglia mafiosa di Latina. In entrambe le ipotesi dunque (e in tutti i casi in cui è stata contestata l’aggravante del metodo mafioso) il giudicante ha valorizzato le modalità della richiesta estorsiva che sebbene non violente, presentavano una notevole carica intimidatoria in quanto promananti da un soggetto che si vantava di appartenere alla famiglia Ciarelli, clan mafioso a base familiare dotato di riconosciuta fama criminale operante nel territorio pontino”.

“Nella fattispecie – ricorda la Cassazine le persone offese hanno dato conto proprio di questo timore ingenerato dalla spendita del nome, avendo il dichiarante avuto la percezione esatta del pericolo di doversi trovare a fronteggiare una agguerrita ed organizzata plurisoggettività, che delinque con metodo mafioso, piuttosto che lo sprovveduto criminale comune”. Inoltre, evidenziano gli ermellini che “la Corte di appello ha congruamente valorizzato il radicamento territoriale che, alla stregua del dato normativo, è condizione imprescindibile del concreto esercizio della metodologia mafiosa in quanto proprio attraverso il controllo, stabile e duraturo, del contesto ambientale si creano le condizioni per l’efficace dispiegarsi dell’intimidazione e possono conseguirsi le condizioni di assoggettamento ed omertà che rendono pressocché impermeabili intere comunità alle sollecitazioni istituzionali”.

La Cassazione ha dichiara inammissibili i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende. Condannati gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dall’associazione civile per la lotta contro le illegalità e le mafie “Antonino Caponnetto” che liquida in complessivi 3.645 euro e dal Comune di Latina che liquida in complessivi 3.686,00 euro.

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