JIHADISTA A LATINA: RIDOTTA LA CONDANNA PER ZOUABI

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La donna tunisina portava via dagli agenti della Digos di Latina

Jihadista a Latina: si è concluso il processo in Corte d’Appello per la 35enne Janet Zouabi, arrestata a dicembre 2020

La Corte di Appello di Roma, su richiesta del sostituto procuratore generale Francesco Mollace, ha confermato la condanna per il jihadista arresta a Latina nel 2020, riducendola di oltre un anno e mezzo. Janet Zouabi è stata condannata a 3 anni e 6 mesi, a fronte della condanna in primo grado arrivata un anno fa, nel gennaio 2023, di più di 5 anni di reclusione.

Viveva, come noto, al Palazzo di Vetro a Latina, Janet Zouabi, tunisina di 39 anni fermata il 17 dicembre 2020 dagli uomini della Digos di Latina, su richiesta del Pm di Roma Sergio Colaiocco, per associazione con finalità di terrorismo anche internazionale, addestramento e istigazione a commettere delitti di terrorismo.

A giugno 2021, Il sostituto procuratore di Roma Sergio Colaiocco ha ottenuto che la tunisina fosse processata con giudizio immediato davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Roma che l’ha condannata a 5 anni e 3 mesi di reclusione.

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La donna fu segnalata alla Digos di Latina dalla direzione centrale della polizia di prevenzione nel 2019, risultando in contatto con l’imam della moschea anche lui indagato per terrorismo. Secondo l’accusa, Zouabi istigava alla propaganda e all’addestramento ad attività con finalità terroristiche, tanto è che il suo account Telegram veicolava messaggi su come fare per essere un “buon martire” devoto alla Jihad islamica. Il suo era un ruolo virtuale, vivendo lei a Latina e non essendo presente sul campo, eppure, “per la giurisprudenza, in caso di associazione internazionale con finalità di terrorismo, è sufficiente l’adesione a uno “snodo periferico” dell’Isis per concretizzare le accuse”.

Zouabi è stata considerata per questo motivo il militante-tipo dell’organizzazione jihadista, ispirandosi ad Abdul Razzaq Al Mahdi, l’estremista siriano che “invita i musulmani – così negli atti d’indagine – a compiere attacchi terroristici per vendetta dei bombardamenti russi in Siria”. Erano i suoi messaggi a risultare pericolosi e per la Procura di Roma a costituire un “contributo qualificato, materiale e concreto all’attività e agli obiettivi“.

“Istituto Bahari – scriveva sull’account Telegram, invitando gli estremisti al martirio collettivo – sono aperte le iscrizioni per chi vuole raggiungere i nostri fratelli, età dai 16 anni, bisogna sapere almeno cinque versi del Corano“. E non mancavano contenuti multimediali che illustravano la preparazione di esplosivi “fai da te”, tecniche di combattimento corpo a corpo o ricette per produrre veleni.

La donna risulta sposata a un giovane austriaco e, in passato, probabilmente per crearsi un alibi, denunciò presunti brogli elettorali avvenuti alle elezioni per il Presidente tunisino nel 2014. Denunce senza riscontri.

A inchiodarla, comunque, sono ben 107 messaggi di elogio al martirio rinvenuti sul suo profilo Instagram e altri 591 messaggi di propaganda sullo stato islamico, sempre sullo stesso social.

Sto seminando terrore intorno al mondo – diceva ad un algerino in un’intercettazione captata dagli investigatori – se non mi senti è perché sto pensando di fare qualche disastro in giro“.

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