I GUAPPI CHE TERRORIZZARONO LATINA: NEL PROCESSO RESET LE VITTIME TRA AMMISSIONI E RETICENZE

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Da sinistra: Alessandro Zof, Gianluca Ciprian, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Angelo “Palletta” Travali e Francesco Viola. Sono tutti accusati dalla DDA di far parte del medesimo Clan Travali

Processo “Reset”: è ripreso il processo che vede alla sbarra 30 imputati, la maggior parte dei quali accusati di associazione mafiosa. Ad essere ascoltate le vittime di estorsioni, alcune delle quali, tra ristoratori e gioiellieri, che preferiscono mimimizzare pur di non dover ammettere di avere avuto paura

È il processo su di un clan mafioso, quello retto dai fratelli Travali e Costantino “Cha Cha” Di Silvio, che più di tutti interessa la città di Latina. Personaggi talmente noti che tutti, a Latina, sanno chi sono. La paura e l’ipocrisia risultano ancora evidenti nelle testimonianze delle parti offese ascoltate da gennaio e anche quest’oggi, 10 marzo, nell’aula di Corte d’Assise, davanti al collegio presieduto dal giudice Laura Morselli, a latere i colleghi Simona Sergio e Paolo Romano. Basti pensare che sono solo due le parti civili costituitesi.

Cha Cha Di Silvio
Costantino Cha Cha Di Silvio

E non si tratta di persone in carne e ossa che se avessero voluto avrebbero potuto certamente chiedere di sedere in Tribunale per ottenere un risarcimento in faccia alle angherie subite da una banda di guappi che, con il tempo, e il lassismo di cittadini e Istituzioni, si è fatta sempre più grande fino a diventare un vero e proprio clan. Si tratta bensì di due organismi: il Comune di Latina, rappresentato dall’avvocato Muccitelli, e l’associazione antimafia “Antonino Caponetto”, impersonificato dall’avvocato Manassei.

Nutrito il collegio difensivo composto dagli avvocati Marino, Angelo e Oreste Palmieri, Frisetti, Montini, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Roccato, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci, Coronella.

Ad essere esaminati quest’oggi, interrogati dal Pubblico Ministero della Procura/DDA di Roma, Luigia Spinelli, sette testimoni dell’accusa. E già nelle premesse si capisce che il processo, nelle sue testimonianze, evidenzia più di una farraginosità: a parte due testimoni deceduti, ve ne sono alcuni per cui il Tribunale ha disposto l’accompagnamento coattivo nel caso in cui non dovessero presentarsi nelle prossime udienze fissate per il 14 aprile e il 12 maggio. Le udienze saranno cadenzate ogni secondo venerdì del mese e su questo la Presidente Morselli fa capire che non ci saranno margini di compromesso con gli avvocati.

D’altra parte, senza esagerare, sul piatto c’è un pezzo della storia di Latina che si discute e scopriremo che, anche nelle testimonianze odierne, i cittadini venuti a contatto con tali personaggi hanno per lo più un sentimento frammisto di timore e malcelata spacconeria del tutto latinense che nasconde solo la , vigliaccheria di una città intera. Tre testimoni su sette ammettono senza fronzoli che quando i vari Angelo Travali, “Cha Cha” Di Silvio, Francesco Viola (già condannato per questo processo col rito abbreviato a maggio 2022) e gli ex affiliati, ora collaboratori di giustizia, e con un ruolo di primo piano nelle accuse della DDA, Renato Pugliese e Agostino Riccardo, si presentavano al loro cospetto, loro stessi eseguivano un copione immanente e già scritto: davano i soldi senza minimamente pensare a denunciare.

Angelo Travali
Angelo Travali

Solo per la cronaca sono 30 gli imputati (leggili a questo link), alcuni dei quali non sono affiliati al clan Travali, ma personaggi altrettanto pericolosi come, ad esempio, Luigi Ciarelli, numero tre del clan omonimo del Pantanaccio, narcotrafficante di livello e accusato di essere stato il fornitore di parte della droga venduta al sodalizio dei fratelli rom, figli di Maria Grazia Di Silvio; oppure Alessandro Zof, personaggio della malavita pontina che si muoveva su più fronti.

Prima degli interrogatori dei sette testimoni esaminati e contro-esaminanti da Pm e avvocati, Angelo e Salvatore Travali, tramite i loro legali, Cardillo Cupo e Montini, hanno reiterato la richiesta di rito abbreviato rigettata anche oggi dal Tribunale di Latina.

Il primo a testimoniare è un giovane di Aprilia che anni fa aiutò il ragazzo, già ascoltato come testimone a gennaio scorso, che fu estorto per aver “osato” chiedere un autografo sulla maglietta a diversi calciatori del Latina Calcio, all’epoca della Presidenza Maietta/Cavicchi, quando il clan la faceva da padrone in curva.

Il testimone, pur tra tanti non ricordo e parole confuse, ha confermato che il suo amico, quando gli chiese mille euro in aiuto, era terrorizzato, piangeva, era agitato. “Ci incontrammo ad Aprilia e mi disse che c’erano persone che gli chiedevano soldi”. L’unico nome che riesce a fare è, però, quello di Agostino Riccardo, e vagamente, imbeccato dal Pm, quello degli “zingari” che taglieggiavano l’amico. Su sollecitazione dello stesso Pm Spinelli, il giovane apriliano ha ricordato di aver suggerito all’amico di denunciare, ma l’amico gli disse che non poteva tanta era la paura.

Il secondo testimone di giornata è quello che più di tutti ha raccontato come stavano le cose: senza timore di dire di aver avuto paura e di aver pagato. “Nel 2015 – ha detto il testimone – avevo intrapreso purtroppo una attività di scommesse e avevo investito miei soldi per aprire una ricevitoria al centro commerciale “L’orologio” a Latina che ora non c’è più”.

“Nella primavera del 2015, sono venuti a trovarmi Agostino Riccardo e Francesco Viola. Giocarono tutto il giorno senza pagare, poi il giorno successivo venne con loro anche Angelo Travali. Iniziarono a giocare senza pagare e a un certo punto provai a stopparli perché la cifra era elevata. Sapevo però chi erano e quindi con loro avevo timore. In 2 giorni giocarono 8mila euro promettendo di pagare. Tornarono in serata e fecero scommesse su altre partite di coppa per 12mila euro. In totale spesero circa 17 mila euro. Non vinsero niente e Viola mi propose di essere pagato tramite un assegno ma non accettai perché non volevo altri problemi”.

“Io volevo i contanti perché dovevo versare i soldi al concessionario Intralot così come da contratto. In seguito, pur non avendo pagato, Angelo Travali mi disse che gli servivano pure altri 1500 euro e io dissi che non li avevo e dovevo aspettare; poi tornò il giorno dopo e glieli diedi 700 euro e poi ripassò un’altra volta e si fece dare il resto. Vidi poi Viola e chiese altri soldi, circa 1800 euro e io glieli diedi. Riccardo venne a giocare di nuovo ma io non avevo più soldi”.

Alla fine, l’uomo, che al momento lavora per una ditta di autonoleggio, ammette sconsolatamente che a causa di quelle estorsioni “ho dovuto chiudere l’attività e avevo debiti per 20mila euro con la concessionaria. Chiesi un piano di rientro a Intralot ma poi non ce l’ho fatta più. Non mi opposi a loro perché erano persone che a Latina facevano il bello e il cattivo tempo, avevo paura. “Cha Cha” e gli altri erano persone che la gente aveva paura. Erano consapevoli di poter fare tutto. Ero agitato perché sapevo chi erano”.

Francesco Viola
Francesco Viola (foto da Facebook)

L’attività fu acquisita da un’altra società, con a capo due altri soci e l’uomo estorto fu messo a fare il dipendente. Uno dei due nuovi soci gli disse che se Agostino Riccardo gli avesse dato altri problemi con i pagamenti, avrebbe potuto chiamare Antonio Fusco detto “Zi’ Marcello”, condannato per favoreggiamento nel processo contro il clan Di Silvio denominato “Alba Pontina”, e uomo dai contorni misteriosi oltreché ad essere descritto dai collaboratori di giustizia come persona legata a Sergio Gangemi (legato a sua volta alla ‘ndrangheta) e Patrizio Forniti.

“Venne Agostino e io chiamai Marcello e lo passai ad Agostino che diceva che gli servivano i soldi. Poi gli diedi i soldi”. Una circostanza che evidentemente fa emergere una cultura mafiosa: nessuno denuncia e per evitare i guai si cercano sponde in altri contesti di malavita. Circostanza che si presenterà affine anche nella testimonianza di un altro personaggio ascoltato oggi.

Sei teso fino a che non se ne vanno – ha spiegato l’ex imprenditore dell’agenzia di scommesse -, alla fine chiesi a loro di smettere di chiedermi in soldi perché avevo una famiglia, ma non gliene fregò niente. Io non ho denunciato perché avevo paura avendo tre bambini”.

Di ben diverso tenore la testimonianza di un ex gioielliere che operava a Latina nella centralissima Corso Della Repubblica. L’uomo ha detto candidamente che lui era solito applicare sconti sui gioielli sempre e comunque, perché conosceva tutti in città “Conoscevo Cha Cha, noto a tutti, ogni tanto veniva in negozio e stazionava nel bar vicino. Credo di aver conosciuto anche Angelo Travali. Lui e Cha Cha volevano un orologio Cartier del valore tra i 4 e i 7mila euro. Mi venne pagato l’orologio con un assegno e io feci uno sconto come facevo abitualmente. Cha Cha mi disse di trattare bene Angelo Travali”. Tuttavia, come ricorda il Pm Spinelli, lo stesso testimone, in sede di sommarie informazioni, alla Squadra Mobile dichiarò che lo sconto lo applicò per quieto vivere. Niente da fare: anche sul punto, il testimone ha voluto ribadire che non ci furono pressioni né minacce. Come se a Latina, ogni cittadino poteva ottenere sconti in ragione del margine che i gioiellieri hanno per applicarli. Un aspetto fino ad oggi sconosciuto ai latinensi.

Dopo il gioiellieri, è stata la volta del gestore del notissimo bar di Piazza della Libertà, aperto dal 1956 e dal 2010 comprensivo anche dell’agenzia di scommesse.

“Conosco Angelo Travali, Francesco Viola e Corrado Giuliani (nda: tutti e tre accusati di una estorsione ai suoi danni). Vennero due volte in quel periodo e giocarono: la prima volta Angelo mi disse che se avessero perso avrebbe pagato lui. Vinsero e mi diedero qualcosa. Il giorno dopo giocarono partite di tennis e puntarono 6mila euro, ma non mi pagarono. Angelo, che conoscevo fin da bambino perché venivano al mio bar la madre Graziella Di Silvio e il padre Peppe (nda: si tratta Peppe Lo Zingaro, al secolo Giuseppe Travali deceduto nel giugno 2021 e padre non biologico di Angelo “Palletta” Travali), mi disse aspetta ma non mi diedero niente. Poi furono arrestati con l’operazione Dont Touch e non seppi più niente di loro”.

Luigia Spinelli
Luigia Spinelli

Al che, il Pubblico Ministero ha chiesto la gestore dell’agenzia di scommesse come mai accettò supinamente di aver perduto 6mila euro. “Qualche volta consento di non pagare in base dell’amicizia”. L’uomo però si contraddice perché sostiene di non essere amico di Angelo Travali. “Ebbi un danno suppergiù di 3mila euro e me ne feci una ragione”. È qui che il Pm gli ha ricordato le sue dichiarazioni alla polizia in cui disse che per quieto vivere non denunciò perché aveva ritenuto di aver perso i soldi: “A Latina – disse lo stesso gestore alla Polizia – tutti sapevano chi erano queste persone”. Tuttavia, a distanza di anni da quelle dichiarazioni rese a sommarie informazioni, dentro l’aula di Tribunale, davanti agli imputati video collegati dalle carceri dove sono ristretti, lo stesso uomo nega di aver mai detto di avere avuto paura di ritorsioni: “Io non avevo paura”, ribadisce non troppo convinto, quasi più preoccupato di dover ammettere il contrario. “Sapevo chi erano dalla lettura dei giornali”.

Gli ultimi tre testimoni chiudono il quadro di una Latina “ammanettata” dalla banda mafiosa della quale in molti già tendono a rimuovere il pesante lascito. A parlare, per primo, è il padre di un noto ristoratore il cui locale si trova in via Pastrengo a due passi da Piazza del Quadrato.

L’uomo ha spiegato di aver avuto un passato all’Anagrafe del Comune di Latina come dipendente per poi intraprendere l’attività in un pastificio. “Ho sempre lavorato in nero, poi quando ero in difficoltà, ho chiesto i soldi a Francesco Viola. Era l’unica soluzione chiedere i soldi a Viola perché sapevo che prestava i soldi a strozzo. Nel 2010 gli chiesi 4mila euro e la restituzione era con interessi del 50%: il mese dopo gli avrei dovuto dare 6mila euro. Mi consegnò i soldi in Piazza del Quadrato”.

Visti gli interessi iper usurari, l’uomo non riuscì a consegnare i 6mila euro, così trovò un accordo con Viola. “Gli portavo 2-300 euro euro a settimana perché non ero riuscito a pagare, lo feci per 4 anni. Poi gli chiesi altri 4mila euro con le stesse condizioni, gli diedi sempre 2-300 euro a settimana per anni. Avrò pagato in tutto 45mila euro. Per anni davo soldi a Viola in via Londra. Un paio di volte, quando ero indietro con i pagamenti mi minaccio: “Non mi far fare quello che non voglio fare“.

All’epoca, ha detto l’uomo, provato da una ischemia avuta un paio di anni fa, “non ero sereno e mi facevo prestare i soldi da mia cognata per pagare Viola. Quando poi Viola ha avuto problemi con la giustizia non ci siamo visti più. Pagavo perché avevo paura di ritorsioni contro i miei figli, l’unica cosa buona che ho. Loro avrebbero reagito e ho cercato di ammortizzare, subisco io e mi tengo tutto io”.

“Sapevo che gente frequentava Viola, era gente pericolosa, c’erano i Travali. Lo sapevano tutti”.

A seguire, è stato chiamato a testimoniare il figlio dell’uomo finito sotto le grinfie di Viola. Si tratta del noto gestore del ristorante in Via Pastrengo e per un periodo, tra gli anni 2016 e 2018, gestore insieme ad altri due soci dell’altrettanto noto locale chiamato “I Gufi”.

A partecipare alla gestione de “I Gufi”, come ha ricordato il testimone, pungolato dalle domande del Pm Spinelli, anche il genero di un altro uomo molto noto nella malavita pontina, Carlo Maricca. “Una volta a una cena di compleanno ai Gufi c’era anche Viola e tutti gli altri. Vennero ma non pagarono, anche se succedeva spesso con altre persone. Chiedemmo spiegazioni a qualcuno di loro, non so se a Viola o Cha Cha. È lì che seppi che mio padre doveva dei soldi a Viola. Mi arrabbiai con lui. Mi incontrai con Viola e c’erano i bambini”.

Salvatore e Angelo Travali
Salvatore e Angelo Travali (foto da Facebook)

Il testimone non ricorda ma a verbale aveva spiegato alla Squadra Mobile che presente all’incontro c’era anche Alessio Civitillo, ossia il genero di Maricca, il quale fece da intermediario. “Ho chiesto a Viola cosa dovevo fare per risolvere la situazione e ci accordammo su una somma. All’inizio Viola era rude ma poi si ammorbidì quando gli dissi che volevo chiarire“.

A verbale, però, come gli ricorda il Pm Spinelli, lo stesso ristoratore disse che Viola aveva avuto un atteggiamento malavitoso e che con con fare spiccio gli aveva detto che il padre gli doveva dare i soldi. Fu Civitillo, sempre secondo le dichiarazioni rese a verbale agli agenti di Polizia, a dire che la questione si sarebbe chiusa con una somma di qualche migliaio di euro. “Diedi i soldi in un parcheggio a Civitillo. Da quel momento non ho mai avuto rapporti con Viola. Conosco Carlo Maricca, papà della mia ex socia e Civitillo è il genero, ma non so se Maricca è intervenuto”.

“Non ho denunciato per due motivi: primo perché volevo risolvere il prima possibile e non creare problemi ai miei soci, e poi perché come si leggeva che c’erano dei problemi con la polizia. Le persone denunciavano e il giorno dopo già si sapeva in giro. Non mi è proprio balenata in testa di denunciare, avevo poca fiducia nella polizia“.

Sempre a verbale, come gli ricorda il Pm Spinelli, l’uomo aveva dichiarato che prima dell’operazione “Don’t Touch” dell’ottobre 2015 quando furono arrestati “Cha Cha” Di Silvio, i fratelli Travali, Gianluca Tuma e gli altri, “nessuno si fidava della polizia perché era collusa e anche la politica lo era“.

Ad ogni modo, il ristoratore, pur sostenendo che ad oggi “mi verrebbe da denunciare”, ha continuato a ribadire che la fama di Viola e della cosiddetta polizia collusa la leggeva sui giornali. C’è di più. Anche l’incendio che fu appiccato nel suo ristorante nell’agosto 2014 viene minimizzato. Di quell’episodio l’uomo non ha mai saputo nulla né, sembra, pare essersi domandato chi fosse stato anche perché, ha voluto evidenziare, “Viola e i Travali quando venivano al ristorante pagavano, non subito ma comunque pagavano“. Una prassi, sostiene il ristoratore, valida per tutti i clienti. Anch’essa, come quella dei gioielli, una novità che fino a oggi nessun latinense sapeva: si può andare nei ristoranti e pagare successivamente. Era lui stesso, dice in Aula, a consentire a Viola e i Travali di non pagare, dimenticando che a sommarie informazioni aveva spiegato che gli stessi “non erano buoni pagatori e si facevano lo sconto da soli e io accettavo per quieto vivere“.

Ultimo ma non ultimo per importanza, la testimonianza dell’avvocato Gianluca La Starza di cui, a differenza degli altri testimoni, chi scrive cita per intero il nome e cognome essendo un personaggio noto. Estorto per 20 mila euro da Costantino Di Silvio detto “Cha Cha”, l’avvocato, presidente del Latina Calcio a Cinque, ha spiegato di aver pagato il capo clan con tranche da 5mila euro. Prima gli furono chiesti 30mila euro, poi 20mila euro. Per farsi consegnare i soldi Cha Cha gli disse testualmente: “Gianlu’, non famme perde la brocca“.

“Consegnai i soldi perché volevo star tranquillo anche perché si presentava al palazzetto dove giocava la mia squadra e anche al mio studio legale. C’è sempre un punto interrogativo con persone del genere e allora preferivo tapparmi occhi e bocca. Mi incuteva timore, lo conoscevo per sentito dire. Lui si era preso confidenza con me a una cena. Ho provato a oppormi ma mi disse non me fa sbrocca’ poi te li ridò”.

Alla fine “Cha Cha non mi ha restituito i soldi tanto è che quando Pugliese e Riccardo vennero per chiedermi 1000 euro per gli avvocati dopo l’arresto di Don’t Touch, io dissi loro che non solo mi aveva creato un danno da 20mila euro ma ora aveva anche la faccia tosta di chiedermi altri soldi”.

Il perché aveva tanta paura, La Starza lo spiega così: “Quando mi disse “non me fa sborocca’”, sbroccare vuol dire mille cose, da uno schiaffone o peggio. Ho una moglie, due figli e il cane a cui tengo più dei miei figli“.

Sull’omertà, invece, l’avvocato è sconsolatamente e drammaticamente netto: “Che avrei risolto a denunciare, tanto per me quei soldi erano andati. Cha Cha era un guascone ma dietro quella faccia tutti sapevano che c’era qualcosa di diverso”.

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