SCARFACE, CLAN DI SILVIO: IL PESO CRIMINALE DELLA FAMIGLIA DI “ROMOLO”

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Renato Pugliese
Renato Pugliese, uno dei due collaboratori di giustizia nel processo Alba Pontina

Processo Scarface, nuova udienza del processo che vede alla sbarra diversi componenti del clan capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto Romolo. A Latina, però, sono processati gli imputati che hanno scelto il rito ordinario

Dopo la sentenza emessa dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma, Angelo Giannetti, che, a gennaio scorso, ha sancito l’associazione mafiosa per il clan capeggiato da “Romolo” Di Silvio, è ripreso il processo per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. A Roma sono stati condannati in primo grado i membri del clan più in vista – tranne il capo, “Romolo”, che viene processato separatamente sempre con il rito abbreviato nel tribunale capitolino -, mentre a Latina sono processati, davanti al collegio presieduto dal giudice Francesca Coculo, le seconde file del clan del Gionchetto: Ferdinando Di Silvio detto Pescio (ristretto in carcere a Vibo Valentia e video-collegato), figlio di Costantino “Patatone” Di Silvio; Casemiro CioppiDaniel De NinnoGiulia De Rosa detta “Peppina”; Domenico Renzi e Marco Maddaloni.

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Come noto, l’operazione anticrimine risalente all’ottobre 2021, coordinata dal Procuratore aggiunto della DDA romana Ilaria Calò e portata a compimento dalla Squadra Mobile di Latina, fece eseguire 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.

Diverse le parti offese che si sono costituite parti civili tra cui il Comune di Latina, l’Associazione antimafia Antonino Caponnetto e l’ex affiliato al clan Di Silvo e ora collaboratore di giustizia Emilio Pietrobono. Nel processo romano sono stati tutti destinatari di un risarcimento disposto dal Gup Giannetti.

Giuseppe Di Silvio detto Romolo
Giuseppe Di Silvio detto Romolo

In data odierna, il Pm Luigia Spinelli ha proseguito l’interrogatorio al collaboratore di giustizia, Renato Pugliese, figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio, il quale a fine gennaio aveva già spiegato molte delle dinamiche interne al clan del Giochetto e il peso criminale di Giuseppe Di Silvio detto “Romolo” (leggi al link di seguito l’approfondimento di Latina Tu), in carcere dopo la condanna passata in giudicato per l’omicidio di Fabio Buonamano detto “Bistecca”, avvenuto nel 2010 nell’ambito della cosiddetta guerra criminale pontina.

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Pugliese (video-collegato da una località protetta), sollecitato dalle domande Pm, ha concluso il racconto del debito di droga a carico di un giovane di Latina, per cui fece da garante con il boss “Romolo” Di Silvio, Antonio Fusco, detto Zì Marcello. Fusco, come noto, è stato coinvolto e condannato nell’ambito del procedimento denominato “Alba Pontina”: dietro di lui, come ribadito in aula da Pugliese, c’erano i già noti Patrizio Forniti e Sergio Gangemi, personaggi che sono stati citati anche oggi come intermediari per un altro episodio in cui intervennero per evitare una estorsione contro Davide Lemma, ex dipendente del Latina Calcio (epoca Maietta) e candidato sindaco alle elezioni comunali di Latina nel 2016.

Ad ogni modo, la questione del debito di droga contratto dal giovane con “Romolo” Di Silvio fu risolta dilazionando il pagamento. Il Pubblico Ministero Luigi Spinelli è tornata anche sulla figura di Michele Petillo, condannato in abbreviato a Roma a 4 anni, 5 mesi. “Romolo – ha detto Pugliese – sapeva tramite Angelina (nda: la figlia di Romolo) e Fabio Di Stefano (nda: marito di Angelina) che Petillo portava cifre importanti con la droga, 7-800 euro al giorno. Romolo mi disse che serviva a lui e non doveva stare più con me. Ci si fece casa, la villa che aveva a fianco e divenne ricco lui e la sua famiglia. Petillo prendeva appena 1500 e 2000 euro al mese, rispetto a quando lavorava con me. Io dissi a Travali che Petillo non garantiva più e non faceva più parte di noi. Petillo vendeva droga e andava a casa di Romolo e non potevo più contattarlo, mi disse che non ne poteva più ma mi disse pure che allo zio, ossia come chiamava Romolo, non si poteva dire di no”.

Efferata la famiglia di “Romolo Di Silvio” quando si trattava di questioni pendenti: “Massacrarono di botte Andrea Falzarano che stava con la sorella di Patatone (nda: Costantino Di Silvio, in carcere per l’omicidio di Buonamano). Lo picchiarono a tradimento sin da fuori casa di Romolo. C’erano Fabio e Alessandro Di Stefano, ma c’erano anche altri”. A ricordare chi fece parte di quella spedizione punitiva è stato il Pm: oltreché ai Di Stefano, presenti e attivi col pestaggio anche Ferdinando Di Silvio, figlio di Romolo, e Samuele Di Silvio, il figlio dell’altro boss dei Di Silvio, Armando detto “Lallà”, dimoranti dall’altra parte di Campo Boario dove, per intendersi, vi è il campetto da calcio un tempo gestito da Gianluca Tuma e Costantino “Cha Cha” Di Silvio.

Andrea Falzarano, ha spiegato Pugliese, fu picchiato barbaramente per un debito di droga e anche per una scortesia fatta a “Cazzariello” Di Silvio, figlio del numero due del clan di Romolo, ossia Carmine Di Silvio detto “Sale”. Pugliese ha poi passato in rassegna tutti i maggiori componenti del clan: Da Fabio Di Stefano, marito della figlia di “Romolo”, Angelina, tenuto in grande considerazione, a Riccardo Mingozzi, marito di Pamela, altra figlia di Romolo. “Il fratello di Riccardo ha spiegato Pugliese – era Ugo Mingozzi che aveva un bar sempre dalle parti di Piazza Orazio con Gianluca Ciprian. Riccardo Mingozzi lavorava per di Silvio e Travali ed era nel mercato della droga”.

“Prosciutto”, “Patatino”, il padre “Romolo” (tutti e tre Di Silvio) e il genero di quest’ultimo Fabio Di Stefano

Il racconto di Pugliese è proseguito con l’evoluzione all’interno del clan da parte dei figli di Romolo, Antonio e Ferdinando Di Silvio detti “Patatino” e “Prosciutto” condannati entrambi in abbreviato. Dapprima definiti “stupidini” da Pugliese e poi, una volta più grandi, spinti dal padre ad assumersi responsabilità sugli affari del clan. “Vidi che per gli affari di droga i figli di Romolo prendevano potere e iniziarono a vestirsi da gente di strada arricchita. Romolo voleva che si parlasse con Prosciutto e Patatino”.

Non solo i Di Silvio ma anche l’altro clan cittadino. È la figura di Luigi Ciarelli a finire all’attenzione delle domande del Pm Spinelli. “Luigi Ciarelli è il fratello di Carmine “Porchettone” e Ferdinando “Furt”. Sono tre fratelli che a Latina hanno fatto storia di violenze e usura, con la capacità di non farsi denunciare da chi usuravano. Porchettone gestiva Latina e la sua famiglia ha terrorizzato la città”.

“Quando arrestarono mio padre per Don’t Touch Luigi Ciarelli mi chiamò e mi disse che Angelo Travali aveva un debito di 35mila euro. Luigi mi disse che voleva che saldassi il debito e io ho fatto fronte piano piano ma ero in difficoltà in quanto a Latina, nel 2015, c’erano guardie ovunque e non sapevo cosa fare con gli affari. Ciarelli mi convocò al Pantanaccio e mi disse di provvedere a pagare, vicino a lui c’era anche il figlio Marco Ciarelli che all’epoca nessuno conosceva negli ambienti, ma il padre voleva imporre come referente degli affari. A Luigi Ciarelli non importava che ero il figlio di Cha Cha, non ha avuto rispetto per lui nonostante avesse un buon rapporto con mio padre. Non avevo più i miei riferimenti all’epoca, né mio padre né Moro ucciso anni prima. Dopo 3 giorni dell’arresto di mio padre a ottobre 2015 fui chiamato da Luigi Ciarelli. Ho saldato il debito con l’aiuto di Luciano Iannotta che era amico di Luigi Ciarelli”.

Proprio con Marco Ciarelli, condannato anche lui in abbreviato, Pugliese racconta di aver avuto più discussioni “Con lui discussi. Mi disse che mi avrebbe sparato, eravamo vicini alla scuola Vittorio Veneto”. il rampollo di casa Ciarelli, figlio di Luigi, pretendeva il saldo del debito da 2500 euro frutto di una truffa ai danni di un rumeno, vicino a lui, da parte della famiglia di “Romolo” Di Silvio. “Marco Ciarelli chiese a me di una truffa e voleva da me i soldi. Dal momento che una sorella di Marco, Giulia, è legata a uno dei figli di Romolo (nda: Antonio Di Silvio detto Patatino), lui non poteva chiedere i soldi a Romolo e quindi li pretendeva da me”. Soldi che dovevano essere restituiti o compensati con la droga.

Racconti, quelli di Pugliese, che non fanno che confermare il peso criminale della famiglia di “Romolo”, di fronte alla quale neanche un’altra famiglia potente, come i Ciarelli, poteva azzardarsi a fare richieste.

Il processo è stato rinviato all’11 aprile.

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