SCARFACE, CLAN DI SILVIO: “ROMOLO OTTENNE IL MIGLIOR PUSHER DELLA ZONA PUB. A LUI NON SI POTEVA DI DIRE DI NO”

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Giuseppe Romolo Di Silvio, sul trono altissimo descritto anche dai pentiti modello Scarface
Giuseppe Romolo Di Silvio, sul trono altissimo, descritto anche dai pentiti, modello Scarface

Processo Scarface, nuova udienza del processo che vede alla sbarra diversi componenti del clan capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto Romolo. A Latina, però, sono processati gli imputati che hanno scelto il rito ordinario

È attesa per domani, in mattinata, la sentenza per coloro che sono coinvolti nel procedimento denominato “Scarface” e che hanno optato per il rito abbreviato. La pronuncia verrà emessa dal Giudice del Tribunale di Roma Angelo Giannetti dopo che, a settembre, il Pm della Procura/Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli, ha chiesto le condanne (oltre 150 anni) per i più importanti affiliati del clan capeggiato da Giuseppe “Romolo” Di Silvio, l’ala del sodalizio rom con base al Gionchetto di Latina.

Come noto, l’operazione anticrimine risalente all’ottobre 2021, coordinata dal Procuratore aggiunto della DDA romana Ilaria Calò e portata a compimento dalla Squadra Mobile di Latina, fece eseguire 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.

Diverse le parti offese che si sono costituite parti civili tra cui il Comune di Latina, l’Associazione antimafia Antonino Caponnetto e l’ex affiliato al clan Di Silvo e ora collaboratore di giustizia Emilio Pietrobono

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Al Tribunale di Latina, invece, si celebra il processo per coloro che sono giudicati col rito abbreviato. Davanti al collegio presieduto dal giudice Francesca Coculo, in data odierna, il Pm Luigia Spinelli ha iniziato a esaminare il collaboratore di giustizia, Renato Pugliese, figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio.

Alla sbarra ci sono non le seconde file del clan retto da “Romolo” (che verrà processato separatamente a Roma col rito abbreviato): Ferdinando Di Silvio detto Pescio (ristretto in carcere a Bologna e video-collegato), figlio di Costantino “Patatone” Di Silvio; Casemiro CioppiDaniel De NinnoGiulia De Rosa detta “Peppina”; Domenico Renzi e Marco Maddaloni.

Tuttavia, pur non figurando alla sbarra i vertici di un clan violento e temuto negli ambienti criminali, dalle parole di Pugliese è emerso un quadro che raffigura “Romolo” come un personaggio di livello, soprattuto dopo il suo coinvolgimento nell’omicidio di Fabio Buonamano detto “Bistecca”, avvenuto nel 2010 nell’ambito della cosiddetta guerra criminale pontina.

Pugliese (video-collegato da una località protetta), ormai avvezzo all’esame nei processi per mafia, ha ricostruito in breve la sua storia criminale, il perché ha deciso di collaborare e i contorni della sua frequentazione con “Romolo”, cugino di suo padre, e la sua famiglia: dalle figlie Angelina (“era il maschio di casa”, ha detto Pugliese, per intendere che si trattava di una ragazza che sapeva il fatto suo e con carisma) e Pamela ai rispettivi compagni, Fabio Di Stefano e Riccardo Mingozzi, entrambi processati col rito abbreviato e in attesa della sentenza di domani a Roma.

“A “Romolo” – ha spiegato Pugliese – ho fornito droga per fargliela vendere perché all’epoca ero con i Travali e soldi quando Romolo era in carcere. Avevo un buon rapporto con la figlia Angelina…quando andavo a casa loro, parlavo con lei che mi diceva che se la sarebbe vista lei con gli altri della famiglia”.

Pugliese, interrogato dal Pm Spinelli, ha spiegato che dopo essere uscito dalla detenzione nel 2013, oltreché ad affiliarsi ai Travali, ebbe un occhio di riguardo nei confronti della famiglia di “Romolo” che, con il boss in carcere, non se la stava passando bene. Non solo li rifornì di droga a prezzo di costo senza guadagnarci niente sopra ma, come lo stesso Pugliese ha raccontato, “Romolo”, una volta uscito di carcere per essere ristretto ai domiciliari, gli sfilò anche il “migliore” pusher che c’era nella piazza ambita della zona pub di Latina. Si tratta di Michele Petillo (anche lui processato nel medesimo procedimento domani a Roma), arrestato recentemente per un violento pestaggio nei confronti di un giovane nella stessa zona pub dove, secondo Pugliese, era un vero e proprio asso nello spaccio di droga.

Secondo la testimonianza di Pugliese, Petillo è un giovane che dal 2013 fino al 2014 spacciò per suo conto nella zona pub: “Aveva intelligenza, vendeva erba, fumo ma anche cocaina e controllava la zona pub”. Fu proprio Petillo a far compiere il salto di livello nello spaccio a “Romolo” e alla sua famiglia: “Portava a Romolo 30, 40mila euro al mese, pur avendo una provvigione di soli 50 euro al giorno, molto meno di quanto gli davo io“.

Pugliese aveva aiutato Romolo e la sua famiglia quando erano ai margini del mercato della droga: la loro nomea di violenti li precedeva e anche gli assuntori avevano paura a comprare sostanze da loro. Si erano fatti terra bruciati, tanto più che i figli di “Romolo”, Ferdinando e Antonio detti rispettivamente “Prosciutto” e “Patatino” risultavano mal visti anche negli ambienti criminali: “Facevano prepotenze in giro, prendevano a schiaffi i ragazzi che vedevano girare con i macchinoni. Facendo così attiravano l’attenzione delle forze dell’ordine. Avevano la testa di malavita“.

Ecco perché “Romolo”, capendo di dover “educare” i figli ad affari più importanti, diceva a Pugliese di parlare direttamente con loro, nel momento in cui lui non ci sarebbe stato per via della pesante condanna per omicidio volontario di “Bistecca”. “Passavo a loro soprattutto erba, a circa 1500 euro al chilo. Ho ricevuto un ringraziamento dal carcere da parte di Romolo e me lo diceva la figlia che faceva da tramite. Quando Romolo è stato scarcerato, è uscito un pezzo da 90: le persone degli ambienti erano preoccupate“.

Ad ogni modo, “Romolo” pretese che uno dei suoi pusher, per l’appunto Michele Petillo, fosse a sua disposizione h24. Né Pugliese né il clan Travali a cui era affiliato poterono fare niente perché il grado criminale di “Romolo” e il peso della sua famiglia, non ricca ma violenta e in grado di sparare, era impossibile da controbilanciare. Pugliese, nonostante un timido tentativo per poter ancora usufruire del numero uno dei pusher in zona pub, dovette accettare. Se non lo avesse fatto lui o non avesse accettato Petillo di essere alla completa disposizione del boss del Gionchetto, le conseguenze sarebbero state terribili: con Romolo non c’era da scherzare. “Quando mi sottrasse Petillo, non dissi niente perché Romolo era sì riconoscente con me, ma sapevo che dovevo accettare. Petillo poteva essere sparato se avesse detto no“.

“Romolo – ha proseguito Pugliese – mi chiese se avevo anche disponibilità di armi, anche se lui ne aveva nascoste dietro casa in una buca: più ne aveva e meglio era…Una volta, a casa sua, l’ho visto armato e avevo timore perché non sapevi mai quale era l’aria. Una volta era armato e mi disse di smontare il cellulare”. Il boss rom convocava Pugliese a casa e, come con tutti gli altri, temendo le indagini a suo carico, faceva lasciare all’ingresso il cellulare: “Era ossessionato dalle microspie”.

“Mi veniva da ridere quando andavo da lui – ha detto – perché aveva una sedia come Scarface”. Eppure, al di là del lato folcloristico, il profilo di Romolo uscito fuori dalla testimonianza di Pugliese è quello di un uomo violento, “ignorante” (così come lo ha definito Pugliese), di poche parole. Talmente temuto che la droga gliela si vendeva a basso prezzo: “Ho accettato – ha detto Pugliese – 3500 euro per 150 grammi di cocaina. Mi pagava poco”.

Esemplificativo un episodio di recupero credito per un debito di droga. Prima della collaborazione con la giustizia iniziata a fine 2016, Pugliese si mise in mezzo a una storia in cui era implicato un ragazzo con un debito di 7-8mila euro con la famiglia di Romolo. A ripianare il debito fu Antonio Fusco, detto Zì Marcello, coinvolto nel processo Alba Pontina e condannato a poco più di un anno e in rapporti con Sergio Gangemi e Patrizio Forniti. “Fusco – ha spiegato Pugliese – mi disse di andare dal ragazzo e di mettergli paura per non farlo più tornare da Romolo. Così gli diedi due schiaffi…Parlai con Romolo anche perché il debito era lievitato e gli dissi che del debito si sarebbe fatto carico Antonio Fusco ossia Zi Marcello. A Romolo furono dati i soldi in 2 tranche. Per portare Fusco da Romolo chiesi il permesso a lui e avevo assicurato che non ci sarebbe stata denuncia. Andò bene ma all’inizio ci furono momenti di tensione: Romolo rimproverò Fusco perché aveva detto parolacce davanti alla moglie e lui si mise paura”.

Il racconto di Pugliese continuerà il prossimo 3 marzo quando riprenderà l’udienza con la fine dell’esame da parte del Pm Spinelli.

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