SCARFACE, CLAN DI SILVIO: CHIESTI OLTRE 150 ANNI PER GLI AFFILIATI DI “ROMOLO”

Antonio Patatino Di Silvio, Giuseppe Romolo Di Silvio e Ferdinando Prosciutto Di Silvio
Antonio Patatino Di Silvio, Giuseppe Romolo Di Silvio e Ferdinando Prosciutto Di Silvio (foto da Facebook). In questo momento i due figli e il padre si trovano tutti e tre ristretti in carcere. "Romolo" è considerato un capo-famiglia dell'ala dei Di Silvio tra Campo Boario e Gionchetto: sta scontando la sua pena in carcere per l'omicidio Buonamano commesso insieme al nipote Costantino "Patatone" Di Silvio. Fu, insieme a Carmine Ciarelli e altri componenti delle famiglie rom il "leader" della guerra criminale contro la mala latinense nel 2010. I due figli sono stati arrestati per una rapina ed estorsione in ragione di un debito avuto con personaggi di Campo Boario anche loro coinvolti in inchieste e nella malavita locale

Processo Scarface, al via il rito abbreviato per i componenti del clan capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto Romolo e gli altri imputati

Si è svolta oggi il primo round dell’udienza preliminare, dinanzi al Giudice del Tribunale di Roma Angelo Giannetti, che vede alla sbarra tutti i principali imputati del procedimento “Scarface”. A luglio scorso, il Gup Giannetti aveva respinto le richieste degli imputati che chiedevano il rito abbreviato condizionato. Tutti sono giudicati con il rito abbreviato secco, tranne Massimiliano Del Vecchio accusato di un reato senza l’aggravante mafiosa.

Oggi, era la volta della requisitoria del pubblico ministero della Procura/Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli, che ha ripercorso tutte le fasi dell’indagine, spiegando la storia criminale del clan capeggiato da Giuseppe “Romolo” Di Silvio: l’altro ramo del sodalizio rom di Campo Boario, rispetto all’altro capeggiato da Armando Di Silvio detto “Lallà”. In realtà, quello che è considerato il capo del clan, per l’appunto “Romolo”, non era tra gli imputati odierni pur avendo chiesto il rito abbreviato. Per tale ragione, verrà giudicato a parte.

Il Pm Spinelli, al termine della requisitoria, ha chiesto formulato le richieste di condanna per gli imputati: 20 anni per i figli di “Romolo”, Antonio Di Silvio detto Patatino, Ferdinando Di Silvio deitto Prosciutto e il genero Fabio Di Stefano detto il Siciliano; 16 anni e 8 mesi per il fratello di “Romolo” e numero due della famiglia, Carmine Di Silvio detto Porcellino; 12 anni per un altro fratello di “Romolo”, Costantino Di Silvio detto Costanzo; 8 anni e 8 mesi per Riccardo Mingozzi;  8 anni e 4 mesi per Costantino Di Silvio detto Cazzariello  e Daniel Alessandrini; 8 anni per Michele Petillo e Mirko Altobelli; 7 anni e 4 mesi per Marco Ciarelli e Manuel Agresti; 6 anni e 8 mesi per Alessandro Di Stefano; 6 anni per Simone Di Marcantonio; 5 anni per Alessandro Zof; 5 anni per Simone Ortenzi e Anna Di Silvio; infine 3 anni per Salvatore Di Stefano e il figlio Franco Di Stefano.

A ottobre, si esprimerà nutrito collegio difensivo e, successivamente, dovrebbe arrivare la sentenza: probabilmente il 21 ottobre.

Nel processo sono parte civile l’Associazione antimafia “Antonino Caponnetto”, assistita dall’avvocato Licia D’Amico, il Comune di Latina e di un’altra associazione contro il crimine organizzato. Parte civile anche il collaboratore di giustizia Emilio Pietrobono, ritenuto vittima di estorsione e sequestro di persona aggravati dal metodo mafioso (leggi al link di seguito la vicenda). Per questo capo d’imputazione sono a processo gli imputati Simone Di Marcantonio, Marco Ciarelli e Manuel Agresti.

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Rimangono, al momento, nel processo con rito ordinario, presso il Tribunale di Latina, Ferdinando Di Silvio detto Pescio (ristretto in carcere), figlio di Costantino “Patatone” Di Silvio; Casemiro CioppiDaniel De NinnoGiulia De Rosa detta “Peppina” (moglie di “Patatone” Di Silvio); Domenico RenziRomualdo MontagnolaYasine Slimani detto “Stefano”; Roberto Di Silvio e Marco Maddaloni.

La maxi operazione anticrimine risalente all’ottobre 2021, coordinata dal Procuratore aggiunto della DDA romana Ilaria Calò, portò all’esecuzione di 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.

L’indagine, imponente, confermava l’esistenza di un sodalizio di matrice mafiosa ed origine autoctona riconducibile al gruppo di etnia Rom di Giuseppe Di Silvio detto Romolo, organizzazione strutturata su base familiare e territoriale, già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina, che si è nel tempo sempre più radicato sul territorio di Latina, sia con riguardo al settore criminale dello spaccio di stupefacenti, sia con riguardo alle attività estorsive. In sostanza, l’altra famiglia dei Di Silvio, quella del quartiere latinense del Gionchetto, imparentata ma diversa dai Di Silvio di Campo Boario capeggiati da Armando detto “Lallà”, cui molti tra gli esponenti sono stati già condannati con sentenza passata in giudicato per reati aggravati dal metodo mafioso. Al boss Armando sono stati invece inflitti 24 anni in primo grado per associazione mafiosa.

Ecco perché la sentenza di primo grado, che arriverà col rito abbreviato, potrebbe essere di portata storica se confermasse l’impianto accusatorio: vale a dire, anche l’altra famiglia dei Di Silvio di Latina, il ramo più militarizzato e potente, coinvolta pesantemente nei fatti della guerra criminale pontina del 2010 (il boss Romolo e Costantino “Patatone” Di Silvio scontano la condanna per l’omicidio Buonamano avvenuto nell’ambito di qualla mattanza), sarebbe considerata da una sentenza della magistratura come mafia.

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