GANGEMI: INIZIA IL PROCESSO PER L’UOMO VICINO ALLE ‘NDRINE E I SUOI “PRESTANOME”

Sergio Gangemi
Sergio Gangemi

Riciclaggio e intestazione fittizia di beni: parte a Latina il processo che vede alla sbarra Sergio Gangemi e i suoi “prestanome”

Si è svolta la prima udienza davanti al collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Laura Morselli, che vede alla sbarra Sergio Gangemi (48 anni) più altri imputati. Riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e intestazione fittizia di beni, i reati contestati dalla Procura di Latina, rappresentata in aula dal Pm Claudio De Lazzarto.

Il processo per diversi difetti di notifica, in riferimento al decreto di rinvio a giudizio risalente al gennaio 2022, è stato aggiornato alla data del 15 giugno prossimo.

Sul banco degli imputati oltreché a Sergio Gangemi, al momento detenuto, è da anni considerato come un imprenditore, trapiantato tra Latina, Aprilia e Roma, vicino alla ‘ndrangheta delle famiglie reggine De Stefano e gli Araniti. A luglio 2022, un nuovo arresto nell’ambito dell’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia denominata “Planning”, in cui si faceva esplicito riferimento a un vero e proprio “gruppo Gangemi” in affari con le ‘ndrine.

Due mesi prima, a maggio 2022, la condanna definitiva per estorsione ai danni di due imprenditori di Aprilia e Pomezia per cui Gangemi è stato chiamato a risarcire i due Comuni di Aprilia e Pomezia.

Insomma, un curriculum criminale rilevante, costellato anche di altre indagini, processi, sequestri e confische. Il procedimento odierno, invece, prende le mosse dal maxi sequestro avvenuto a novembre 2019 con l’operazione “Gerione” guidata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. La Guardia di Finanza di Latina, coordinata dalla DDA, sequestrò a Gangemi un patrimonio per un valore di circa 10 milioni di euro. Nello specifico: 53 immobili, tra terreni e appartamenti, 1 opificio industriale, 5 autoveicoli, 1 imbarcazione, conti correnti, quote societaria e l’intero compendio aziendale di 10 società. Il provvedimento fu disposto dal Tribunale di Roma – Sezione misure di Prevenzione.

Le società sequestrate furono nell’ordine: C.C.I. srl, G.R.I. srl, Beam srl, Nrt spa, La Dani srl, Esse Gamma srl, Ride srl, I.E.S. srl, Light for Life s.r.l. (con sede in Romania) e Forum Casear LTD (società di diritto maltese). Società, quasi tutte srl, con cui, secondo la Guardia di Finanza di Latina, Sergio Gangemi è riuscito a occultare un ingente patrimonio immobiliare tramite l’utilizzo dei succitati prestanome, alcuni dei quali legati affettivamente a lui come l’ex moglie e la compagna.

Sergio Gangemi, d’altra parte, è ritenuto pericoloso dalle Forze dell’Ordine sin dal 1993, e con un cognome che in certi mondi ed equilibri pesa (“Si sapeva che era calabrese e aveva un cognome alle spalle” – disse a verbale l’ex affiliato ai clan rom e ora collaboratore di giustizia Renato Pugliese).

A giugno 2021, il sequestro da oltre 10 milioni di euro divenne definitivo con la confisca per via del respingimento del ricorso presentato al Tribunale di Sorveglianza da coloro che sono considerati “prestanome” di Gangemi.

E la maggior parte di loro si trova alla sbarra nel processo odierno: si tratta di Francesco Lauretti, Gioia e Maria De Santis, Giuseppe Milasi, Vittorio Gavini, Daniela Terranova, Matteo Morgani e Simone Di Marcantonio. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Dell’Anno, Fevola, Farau e Nardecchia. Matteo Morgani è il fratello di Mirko Morgani, processato (presso il Tribunale di Velletri) per gli stessi fatti di estorsione che hanno visto condannare a giugno 2022 Sergio Gangemi.

Simone Di Marcantonio, invece, merita un discorso a parte: non solo è considerato dagli inquirenti un prestanome di Gangemi, ma fu, come noto, piazzato dall’attuale sottosegretario al Lavoro del Governo Meloni, Claudio Durigon, alla dirigenza dell’Ugl Lazio. Una carica che ricoprì dal 2018 fino al 2019. Per inciso, Di Marcantonio è stato condannato in primo grado a 4 anni di reclusione nel processo “Scarface” che, proprio ieri, 25 gennaio, è arrivato a conclusione con una sentenza esemplare nei confronti del clan Di Silvio capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto “Romolo”. Di Marcantonio è stato condannato con l’accusa di essere stato mandante di un recupero crediti affidato al rampollo del clan rom, Marco Ciarelli, e all’affiliato Manuel Agresti. La vittima era Emilio Pietrobono, ex contiguo al clan Di Silvio, ora collaboratore di giustizia e parte civile nel processo “Scarface”.

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