Claudio Durigon si è dimesso da sottosegretario al Ministero dell’Economia: in serata la decisione dopo un confronto con il leader della Lega Matteo Salvini
“Ho deciso di dimettermi dal mio incarico di governo che ho sempre svolto con massimo impegno, orgoglio e serietà. Gli Italiani da noi e dal governo si aspettano soluzioni, non polemiche. Quindi faccio un passo a lato, per evitare che la sinistra continui a occuparsi del passato che non torna, invece di costruire il futuro che ci aspetta” – ha scritto Durigon aggiungendo di sentirsi “disgustato da alcuni media che mi hanno addirittura accostato ai clan rovistando nella spazzatura al solo scopo di infangarmi”. Inoltre ha spiegato che sulla “proposta toponomastica sul parco comunale di Latina, pur in assoluta buona fede, ho commesso degli errori. Di questo mi dispiaccio e, pronto a pagarne il prezzo, soprattutto mi scuso. Mi dispiace che mi sia stata attribuita un’identità “fascista”, nella quale non mi riconosco in alcun modo. Non sono, e non sono mai stato, fascista. E, più in generale, sono e sarò sempre contro ogni dittatura e ogni ideologia totalitaria, di destra o di sinistra: sono cresciuto in una famiglia che aveva come bussola i valori cristiani. Mi dispiace soprattutto che le mie parole, peraltro lette e interpretate frettolosamente e superficialmente, abbiano potuto portare qualcuno a insinuare che per me la lotta alla mafia non sia importante. È infatti vero esattamente il contrario: la legalità, e il contrasto alle organizzazioni criminali, sono per me dei valori assoluti, nei quali credo profondamente. Per questo, anche se le mie intenzioni erano di segno opposto, mi scuso con quanti, vittime di mafia (o parenti di vittime di mafia), possono essere rimasti feriti dalle mie parole. O, per essere più precisi, da una certa interpretazione che è stata data alle mie parole”
La scelta era diventata obbligata dopo le parole degli ultimi giorni sia di Salvini che di Giorgetti (Ministro dello Sviluppo Economico e numero due del Carroccio), che avevano aperto alle dimissioni del deputato pontino.
La causa è ascrivibile, come noto, alle parole proferite il 4 agosto scorso a Capo Portiere, nel capoluogo pontino, quando Durigon, in un incontro pubblico alla presenza di Salvini, aveva proposto di intitolare i Giardinetti al fratello di Benito Mussolini, Arnaldo, con la conseguenza di eliminare i nomi di Falcone e Borsellino dal parco comunale. Una nuova intitolazione che fu decisa dall’attuale amministrazione Coletta nel 2017.
Parole che hanno generato polemiche e prese di posizione, a partire da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico, oltreché al mondo dell’associazionismo antifascista e antimafia e a un petizione online promossa da Il Fatto Quotidiano.
Giorni durissimi per Durigon, uomo di punta della Lega a Latina e nel Lazio, il quale paradossalmente arriva alle dimissioni per una frase che denunciava, in realtà, come ha avuto modo di dichiarare il deputato della Regione Sicilia e figlio del grande giornalista antimafia Pippo Fava, Claudio Fava, un “vuoto atmosferico”. Durigon paga la mancanza di idee, non tanto il suo essere nostalgico del fascismo, poiché ha creduto di essere ancora nel 2017 quando Coletta, invitando l’allora Presidente della Camera Boldrini, fu subissato di critiche da una minoranza rumorosa di neo-fascisti. In fin dei conti, il deputato leghista pensava in questo modo di essere popolare, ma mal gliene è incolto.
Ancor più paradossale che Durigon ha dovuto rispondere a una frase sicuramente grave e sconsiderata, e non invece dei suoi rapporti mai chiariti con l’uomo ritenuto prestanome di Sergio Gangemi (una famiglia che per la Dia è vicina alla ‘ndrangheta di Reggio Calabria, sponda De Stefano), Simone Di Marcantonio; oltreché a quelli con il faccendiere Natan Altomare, personaggio dalle tante sfaccettature, vicino ad un tempo a soggetti come Costantino “Cha Cha” Di Silvio e Gianluca Tuma, e in seconda battuta all’imprenditore al centro dello scandalo “Dirty Glass” Luciano Iannotta; infine, a quelli che paiono essere diretti col medesimo Iannotta che gli avrebbe pagato un appartamento durante la campagna elettorale del 2018. Senza contare, l’affermazione portata in evidenza dall’inchiesta primaverile di Fanpage quando Durigon disse a un interlocutore che la Lega aveva nominato un generale della Guardia di Finanza (ndr: Zafarana) in risposta a una possibile preoccupazione per le indagini su soldi e investimenti opachi del Carroccio.
Insomma, rapporti indicibili o comunque mai spiegati per cui né da lui né dalla Lega nazionale e locale, né dal suo sindacato di riferimento è arrivato non una dichiarazione ma nemmeno un sibilo di chiarezza e trasparenza. Sindacato, ossia l’Ugl, che nel Lazio ha rappresentato per Durigon la sua roccaforte e ipoteca per una scalata politica che lo ha condotto prima allo scranno parlamentare, e poi a quello di sottosegretario al Lavoro nel Governo Conte I (ai leghisti piace definirlo “padre di quota 100”) e, un anno dopo, a quello di sottosegretario al Mef. Carica ricoperta fino alle dimissioni odierne.
Da oggi, però, è finita. Solo nel prossimo futuro si capirà se e quale sarà stata la contropartita, fermo restando che il veneto-pontino ha avuto, sia a Roma che a Latina e in tutte le province laziali, autorevole voce in capitolo per la decisione dei posti nelle liste che si presenteranno alle prossime amministrative.