“DON’T TOUCH 2”: NEL PROCESSO LE MIRE IMPRENDITORIALI DI TUMA

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Gianluca Tuma
Gianluca Tuma

Processo Don’t Touch 2: interrogato un agente di Polizia che fece le indagini, al centro dell’attenzione gli affari di Gianluca Tuma

Nel primo pomeriggio, davanti al II collegio penale del Tribunale di Latina presieduto dal Giudice Francesco Valentini, è ripreso il processo il processo scaturito dall’indagine denominata “Don’t Touch 2“, la seconda parte del processo Don’t Touch che smontò il sodalizio criminale dell’organizzazione che faceva capo a Costantino Cha Cha Di Silvio e ai fratelli Angelo e Salvatore Travali. Tutti e tre sono al momento sotto processo nel procedimento derivante dall’inchiesta antimafia chiamata “Reset” che contesta loro non più l’associazione semplice, come in “Don’t Touch”, ma il 416 bis (associazione mafiosa).

Nel processo odierni, invece, sul banco degli imputati ci sono 19 persone tra cui, per l’appunto, Costantino Cha Cha Di Silvio accusato di aver minacciato il cittadino di Latina, Matteo Palombo, per un commento su Facebook che il giovane aveva scritto per sottolineare la presenza del boss a spasso per la città con l’allora onorevole Pasquale Maietta nel giorno in cui la città di Latina manifestava in favore del magistrato Lucia Aielli, vittima di alcuni messaggi macabri indirizzati nei suoi confronti.

Oltre a Cha Cha, alla sbarra i fratelli Travali, Angelo e Salvatore per spaccio, detenzione di arma da fuoco e per un cruento pestaggio ai danni di Benvenuto Toselli, vittima ma al contempo accusato di falsa testimonianza. Salvatore Travali, nello specifico, è accusato di spaccio di marijuana, della detenzione illecita delle armi insieme al fratello Angelo e alla signora Listo (di una certa età, accusata di “tenere la retta” poiché in casa sua furono trovate due armi e munizioni: ha già patteggiato la pena) e, sempre insieme al fratello Angelo “Palletta” e ad Angelo Morelli, di aver picchiato violentemente Benvenuto Toselli.

Riccardo Pasini, invece, è accusato del porto illegale di una rivoltella, mentre Giancarlo Alessandrini, più noto negli ambienti ultrà come “Giancarlone”, di aver portato nel 2014 su un autobus della tifoseria del Latina Calcio nerazzurra alcuni grossi tondini in ferro, in caso di eventuali scontri con i tifosi del Pescara.

Poi, ci sono i due carabinieri di Aprilia, Giuseppe Almaviva e Fabio Di Lorenzo, accusati di aver ricevuto denaro da Francesco Falco (imputato per spaccio di cocaina insieme agli altri apriliani Gino Rampello, Anna Maria Giammasi e Vincenzo Scala) per alcune soffiate durante le indagini di Don’t touch.

E, infine, c’è il ramo in cui si adombra il salto di livello che questo sodalizio potrebbe aver compiuto: quello dell’intestazione fittizia di beni, al fine di eludere eventuali sequestri e confische, di cui sono accusati Gino Grenga (fratello di Gianluca Tuma), Vincenzo Guerra, Giuseppe Travali (ormai deceduto), Angelo Travali, Francesco Viola (ritenuto responsabile di detenzione illecita di una Magnum 357 e di una pistola mitragliatrice), Angelo Morelli e Stefano Ciaravino.

Per comprendere questo ambito dell’inchiesta è opportuno rimandare alla figura di Gianluca Tuma, noto negli ambienti malavitosi di Latina sin dagli anni Ottanta, e capace di aver costruito un universo di società srl che gli sono state sequestrate e confiscate, per poi ottenere un annullamento con rinvio dalla Cassazione. La crescita imprenditoriale di Tuma, però, non fu bloccata dalla condanna di Don’t Touch, ma dalla proposta di sequestro dei suoi beni accolta, nel febbraio 2017, dai magistrati e avanzata dalla Divisione Anticrimine della Polizia di Latina che fece valere, dopo anni di provvedimenti respinti o andati a vuoto (per carenza legislativa, in primis), il D.lgs 159/11, vale a dire il Codice Antimafia.

E proprio oggi, nel corso della testimonianza di uno dei poliziotti che portarono avanti l’inchiesta, è stato ripercorso anche il proposito di Tuma di imporsi nel settore commerciale, rivolgendo i suoi interessi al marchio bolognese di Sigma, un’azienda della grande distribuzione organizzata italiana, aderente a Confcooperative ossia una delle tre maggiori centrali cooperative d’Italia insieme a Legacoop e l’AGCI. Tuma, secondo l’accusa, si sarebbe servito di un prestanome, ossia uno dei co-imputati: Vincenzo Guerra.

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Altra accusa nel processo che pende sulla testa di Gianluca Tuma (già condannato per intestazione fittizia di beni nel primo filone di Don’t Touch) è per le minacce rivolte al giornalista che dirige la redazione pontina de Il Messaggero, Vittorio Buongiorno che si è costituito parte civile insieme all’associazione stampa romana e alla Federazione nazionale della stampa.

Assente nell’udienza odierna un altro investigatore che all’epoca dell’indagine faceva parte della Squadra Mobile di Latina e che avrebbe dovuto rendere la sua testimonianza. Il processo è stato rinviato al prossimo 2 dicembre 2022.

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