GIANLUCA TUMA, CONFISCA BENI ANNULLATA: CORTE D’APPELLO CHIAMATA A DECIDERE

Corte di Cassazione, Roma
Corte di Cassazione, Roma

Confisca del patrimonio di Gianluca Tuma: la Cassazione ha annullato la misura disposta da Tribunale di Latina e confermata dalla Corte d’Appello di Roma

Si torna indietro in Corte d’Appello. A distanza di due anni da quando pareva che il sequestro del patrimonio di Tuma, nome di un certo peso nella malavita di Latina, fosse stato acquisito dallo Stato, arriva la decisione degli ermellini del Palazzaccio.

I giudici di Cassazione, infatti, hanno deciso che dovrà essere di nuovo la Corte d’Appello di Roma a valutare la misura di sequestro e sorveglianza speciale nei confronti di Tuma, così come richiesto dalla Divisione Anticrimine della Questura di Latina secondo il codice Antimafia. Una richiesta che fu accolta, per la prima volta, nel 2017 dal Tribunale di Latina.

I ricorsi in Cassazione sono stati presentati da Gianluca Tuma e da coloro che sono ritenuti da investigatori e inquirenti i prestanome dello stesso: la moglie, la madre, il fratello Gino Grenga e il sodale Gianpiero Di Pofi.

Coinvolto nel processo Don’t Touch dal quale ha rimediato una condanna a 3 anni e 2 mesi per intestazione fittizia di beni, Tuma è tuttora sotto processo per il secondo filone del medesimo giudicato le minacce rivolte al giornalista de Il Messaggero Vittorio Buongiorno. All’inizio, quando scattarono gli arresti dell’indagine denominata Don’t Touch, nel 2015 Tuma era stato tratteggiato come il capo del sodalizio che vedeva ai vertici anche l’amico di sempre, Costantino “Cha Cha” Di Silvio (poi condannato per associazione per delinquere a 11 anni e ad oggi indagato per mafia nell’inchiesta Reset); a seguire, come sottoposti, nelle ipotesi investigativi, c’erano i fratelli Travali, gli attuali pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo (non indagati in Don’t Touch e poi affiliatisi al Clan Di Silvio di Campo Boario) e tutti gli altri della banda. Un’ipotesi in seguito caduta poiché a Tuma è stato contestata in sede dibattimentale solo l’intestazione fittizia di beni.

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Il patrimonio confiscato – secondo la Questura anche attraverso interposte persone – per un ammontare di circa 3 milioni di euro, si concretizza nei seguenti beni: 5 immobili, di cui un appartamento e 3 locali commerciali e un laboratorio industriale, 3 autocarri e un rimorchio, 2 autovetture, 2 motocicli, nonché quote societarie e rapporti bancari di 13 società il cui settore operativo spazia dall’edilizia, alla gestione di immobili, all’impiantistica edile civile fino alla produzione di alimenti. Tra i beni confiscati si segnalano anche le quote di partecipazione alla proprietà dell’A.S. Campoboario ed il marchio verbale e figurativo dell’allora Società Sportiva Calcio U.S. Latina quando ai vertici c’era l’ex deputato di Fratelli d’Italia Pasquale Maietta.

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“Emerge dal decreto impugnato che il proposto (ndr: Tuma) è stato assolto dall’accusa di partecipazione alla associazione per delinquere capeggiata da Costantino Di Silvio. Secondo la Corte di Appello – scrivono gli ermellini nel provvedimento che annulla il decreto di confisca – la motivazione di detta assoluzione evidenzia che vi era stata una carenza di prospettazione accusatoria che in maniera sbrigativa aveva indicato quale prova dell’appartenenza di Tuma all’associazione esclusivamente due specifici episodi, mentre, invece, quelli da segnalare avrebbero potuto essere molti di più. In sintesi, detti episodi non venivano ritenuti indicativi della partecipazione al sodalizio criminale, mentre secondo la Corte in sede di prevenzione dimostrerebbero la sussistenza quanto meno di un concorso esterno ad esso. Il Collegio osserva che quello appena esposto costituisce un caso evidente di indebita rivalutazione di un dato probatorio la cui valenza era stata espressamente esclusa dal giudice della cognizione”.

Secondo la Cassazione “il decreto pecca dell’omissione di una esatta delimitazione temporale della pericolosità sociale del soggetto proposto ai fini dell’applicazione della misura patrimoniale e della mancanza di più specifiche indicazioni quanto all’attualità della pericolosità”.

La Corte d’Appello è chiamata ora a giudicare di nuovo il decreto di misura personale (sorveglianza speciale) e patrimoniale (confisca dei beni) tenendo conto dell’attuale pericolosità sociale di Tuma, della sua condizione penale e dell’esito delle precedenti e rigettate richieste di applicazione della misura nei confronti del proposto.

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