PESTATA UNA DONNA INCINTA: ARRESTATO CHRISTIAN LIUZZI, UNO DEI SOLDATI DEI DI SILVIO

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Giardinetti
Giardinetti, la frazione di Roma, dove è avvenuto il pestaggio da parte di Liuzzi contro la sua ex compagna incinta

A volte ritornano. E questa volta parrebbe più grave del previsto. Il pregiudicato Christian Liuzzi, 35 anni, si è reso protagonista di un fatto vergognoso: è uscito dalla galera meno di un anno fa e ieri sera ha aggredito la sua ex compagna. Un calcio dritto al ventre a una donna incinta e di cui conosceva lo stato interessante. 

Affiliato ai Di Silvio, Liuzzi fu utilizzato come killer, alla stregua di quelli che sparano nel napoletano, nella guerra criminale del 2010, quando i due maggiori gruppi di origine sinti del capoluogo, i Ciarelli e i Di Silvio all’epoca uniti per l’evenienza, misero a ferro e fuoco parte della città per rivalersi su un altro gruppo di Latina retto da Mario Nardone, Massimiliano Moro, Ermanno D’Arienzo ecc. che voleva sfidarli al fine di sottrarre loro l’egemonia criminale e di conseguenza i rami più ambiti: estorsioni, recupero crediti, spaccio (anche se nel processo Caronte che è scaturito da quei fatti, il narcotraffico trova una spazio marginalissimo) ecc. Tanto tempo è passato ormai, le alleanze e i nemici sono cambiati ma la matrice ferina è sempre la stessa.

Come riportano le prime voci, Liuzzi si è scagliato come una furia contro la donna incinta, un gesto tanto più odioso considerata la condizione di gravidanza e il fatto che qualche anno fa la donna era andata via da Latina per trasferirsi a Roma proprio per sfuggire alle continue angherie dell’uomo che la terrorizzava, attraverso i suoi “degni” compari, anche quando stava in carcere.

Christian Liuzzi
Christian Liuzzi (foto da Radioluna)

Liuzzi, accompagnato dall’attuale compagna (anche lei pare scioccata da quanto accaduto), avrebbe visto visto scendere dall’auto la donna, a Giardinetti, nella periferia Est della Capitale, e non lasciandole neanche il tempo di accorgersi della situazione di pericolo le ha tirato un calcio in pancia.
La donna, che ha 29 anni, è caduta dentro l’auto ma Liuzzi non ha avuto pietà e ha fatto quello che gli riesce più facile: l’ha pestata con cazzotti e botte da orbi sul viso, mentre la figlia di 10 anni, avuta da Liuzzi e dalla medesima donna, guardava la scena. Una vergogna, non c’è che dire. Dopo il caso di Gustavo Bardellino che ha pestato la sua ex compagna a Formia, un’altra vicenda molto simile e che non può che produrre sdegno. Gesti da guappi senza dubbio ma efferati ancor più se si considera che Liuzzi pratica la boxe, uno sport nobilissimo che è spesso convertito in cieca violenza da chi invece di recepirne l’alta tradizione lo utilizza per il proprio ego o, peggio ancora, per farsi strada nel mondo del crimine. E a Latina, e non solo, sappiamo bene che molte palestre negli anni sono state veri e propri centri di incontro, alla stessa stregua di un carcere, e fucina di criminali. È proprio lì, in alcune palestre frequentate dalla buona borghesia, che li hanno allenati a pestare e a dimostrare con la brutalità ciò che non riuscirebbero mai a fare con la testa.

D’altra parte, Liuzzi non è uno preso a caso dai Di Silvio. Fu scelto per lanciare un messaggio ben preciso nell’aprile del 2010 durante la mattanza di Latina con due morti (Massimiliano Moro e Fabio “Bistecca” Buonamano) e un numero importante di aggressioni con arma da fuoco e gambizzazioni.
Una delle gambizzazioni fu quella ai danni di Alessandro Zof (condannato recentemente in primo grado per la vicenda degli spari del Circeo), anch’esso facente parte del mondo criminale pontino, e all’epoca visto come uno da colpire nell’ambito della disfida tra due bande per dimostrare a tutti chi avesse dovuto comandare.
Liuzzi, all’epoca 26 anni, sparò con una Beretta cal. 7,65, e colpì a freddo Zof gambizzandolo. L’arma fu ritrovata a Via Moncenisio. A guidare il motorino rubato che lo portava a sparare c’era un altro pregiudicato, ad ora accusato persino di associazione mafiosa, Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, figlio di Armando “Lallà” Di Silvio, coinvolto l’anno scorso nell’ambito dell’inchiesta Alba Pontina.

Anche nello storico Quartiere Nicolosi, il racket degli stupefacenti dei Di Silvio imponeva le sue direttive ai pusher del luogo
Anche nello storico Quartiere Nicolosi, il racket degli stupefacenti dei Di Silvio imponeva le sue direttive ai pusher del luogo

In primo grado i due ebbero pene severe e furono condannati per tentato omicidio ma, già in Appello e poi in Cassazione, il fatto si ridimensionò e il gesto grave fu derubricato in lesioni. Condannati a 7 anni Liuzzi e 6 anni e mezzo Pupetto. Ecco perché, appena uscito dal carcere, Pupetto ha avuto gioco facile a riunirsi alla sua famigghia, l’ala dei Di Silvio facente capo al padre Lallà e ai fratelli Samuele e Gianluca, per gestire la piazza di spaccio di Campo Boario e, sopratutto, quella più remunerante e ambita del momento: il quartiere Nicolosi e la zona Autolinee nuove.
La gambizzazione di Zof, considerato il peso che ancora aveva questo personaggio nel mondo di sotto pontino, veniva utilizzata come un vanto da Pupetto. Anzi, quell’azione del 2010 era considerata come fosse il suo distintivo da sventolare in faccia alle vittime che ha continuato a estorcere, prima di finire di nuovo in galera per un arresto molto particolare avvenuto nel dicembre del 2016.
È da quei fatti del 2016, per cui fu ristretto in carcere insieme a suo fratello Samuele, suo cugino Renato Pugliese e Agostino Riccardo, che qualcosa iniziò a cambiare negli equilibri criminali dei Di Silvio di Campo Boario (vedi Bastarda pontina parte I, parte II e parte III). Da tale estorsione ai danni di un ristoratore di Monticchio (Sermoneta), dove Pupetto per spaventare l’estorto gli ricordava di essere stato quello che aveva sparato a Zof, Pugliese, il figlio di Cha Cha Di Silvio, e poi Agostino Riccardo decisero di collaborare con la Direzione Distrettuale Antimafia. Quel crimine, che in Bastarda Pontina chiamiamo estorsione madre, diede il via all’irrobustimento delle indagini che poi hanno portato a giugno del 2018, con Alba Pontina, a contestare per la prima volta (se si eccettua un’operazione della DDA del lontano 1997) il reato del 416 bis a un clan autoctono del capoluogo: i Di Silvio di Campo Boario.

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