LE RIVALITÀ TRA CLAN A LATINA E LA PAURA DEGLI ARRESTI: “PARLATE IN SINTI”

Conflitti tra clan di Latina: dall’operazione Scarface emergono le rivalità e la paura degli arresti. Alcuni degli spaccati più inquietanti di una storia criminale senza fine

È da Rebibbia che Romolo Di Silvio, parlando con il fratello Carmine detto Porcellino, numero uno e due del Clan del Gionchetto, discorrono riguardo agli amici/nemici del Clan Ciarelli. L’argomento è il sequestro di Emilio Pietrobono (leggi al link di seguito), affiliato al clan di Romolo, e fermato per strada da Marco Ciarelli insieme a un sodale, armati, per un assegno di migliaia di euro che il predetto Pietrobono aveva sottratto da un contro di una società riconducibile a Simone Di Marcantonio, ex Ugl e Lega.

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Ad ottobre 2019, Romolo dice al figlio Antonio detto Patatino, che ha sposato la figlia del reggente del clan del Pantanaccio, Luigi Ciarelli, che sul caso Pietrobono non avrebbe mai dovuto intervenire se non con i dovuti modi. Patatino sostiene che sarebbe stato anche in grado di uccidere il suocero per la sua famiglia, al che il padre Romolo gli intima di tenersi fuori dal confronto tra Marco Ciarelli e Fabio Di Stefano poiché ha spostato la figlia di Luigi.

Patatino Di Silvio
Patatino Di Silvio

Dalle conversazioni captate, è chiaro che Di Stefano aveva un contenzioso aperto con Di Marcantonio poiché quest’ultimo viene additato dai Di Silvio come il responsabile del suo arresto di qualche anno prima. Ecco perché, sapendo che adesso Di Marcantonio si rivolgeva ai Ciarelli per recuperare i crediti, il clan di Romolo si sarebbe rivalso su di loro. I Di Silvio pretendevano, secondo un’informativa di polizia, la cifra monstre di mezzo milione di euro per l’arresto de Il Siciliano, al secolo Fabio Di Stefano marito della figlia di Romolo e vero reggente del Clan del Gionchetto.

Infatti, il Siciliano è quello che punta agli affari a differenza di Antonio detto Patatino, figlio di Romolo ed erede designato, che si dimostra aggressivo persino con gli acquirenti della droga. Una testa troppo calda.

Tuttavia, Romolo dà una lezione dal carcere, in uno dei colloqui col figlio, di come si starebbe al mondo. Ovviamente, nel mondo criminale.

Per farlo, Romolo cita l’episodio avvenuto in carcere dove ha affrontato Ferdinando detto Macu’ (arrestato per l’omicidio di Massimiliano Moro), figlio del “reuccio del Pantanaccio, Carmine Ciarelli detto Porchettone. Ecco allora che Romolo dice ad Antonio di riferire ai Ciarelli – responsabili dell’affronto col sequestro Pietrobono – che lui “ha dato la vita per voi…si sta facendo trent’anni di carcere per voi…ma quale rispetto date a mio padre e date a me? dove sta questo rispetto?“.

È chiaro che Romolo si riferisce ai fatti delineati nel processo Caronte in cui lui è stato personaggio decisivo per vincere quella stagione di rivalsa nei confronti del gruppo della mala non rom, senza contare le condanne tra cui quella per l’omicidio di Buonamano. Per Romolo, i Ciarelli sono in debito con lui e devono rispettarlo e questo concetto lo chiarisce a Macu’ il quale, invece, aveva in odio Armando Di Silvio detto Lallà: “Sono problemi tuoi gli ho detto – riferisce Romolo al figlio Patatino – io per voi ho dato la mia vita”. E che la rivalità tra il gruppo di Campo Boario e i Ciarelli fosse al limite, se ne hanno evidenze anche nelle indagini di “Alba pontina”. La guerra criminale del 2010, seppur vinta, ha lascito scorie e molteplici vulcani che non rendono più così ferrea la legge rom dei clan a Latina.

Romolo sembra un leone in gabbia e non guarda in faccia nessuno arrivando anche a litigare con la moglie del fratello Carmine: “Io la prendo tua moglie e le do un calcio in fica“. È un capo incattivito dal carcere e che sente la debolezza del suo comando.

Ma le preoccupazioni sono anche per le armi che si trovano fuori. È il genero Di Stefano, a maggio 2019, a dire al suocero Romolo che non ha potuto andare nel luogo dove è custodito il loro arsenale a causa delle attenzioni investigative. Per Romolo le armi sono una fissazione, ne vorrebbe acquistare altre e la sua famiglia è sempre stata la vera potenza militare dei clan rom di Latina. È il collaboratore di giustizia Maurizio Zuppardo a raccontare un episodio in cui Patatone Di Silvio si introdusse, grazie alla soffiata di una terza persona, nella casa di un Carabiniere di Latina che possedeva diverse armi. Un colpo andato a segno, come dimostra la denuncia che pochi giorni dopo il militare presentò per il furto subito in casa quando lui, ovviamente, non c’era. A tal proposito, sempre in tema di armi, vale la pena di ricordare che Pietrobono, tramite le sue dichiarazioni, indicò in località Boschetto, a Priverno, il deposito di armi della famiglia di Romolo. Ne seguì una perquisizione alla villa del soggetto indicato che parrebbe non aver portato ai risultati previsti.

I timori di Romolo però sono altri due e ben più frustranti: il mantenimento dello status quo criminale della sua famiglia e i possibili arresti che potrebbero arrivare in ragione del pentimento dei nuovi collaboratori di giustizia.

Non di meno è Romolo a volere che il suo gruppo non perda carisma criminale a causa di qualcuno che non sa comportarsi in mezzo alla strada. Ecco perché dice esplicitamente ai suoi di non far entrare più in casa Andrea Sarrubbi, genero di Carmine detto Porcellino, responsabile di aver bruciato un’auto spendendo il nome della famiglia Di Silvio e, successivamente, di aver avuto problemi con un gruppo di uomini armati che si erano presentati nella roccaforte dei Di Silvio stessi.

Patatone, Romolo e Sapurò
Costantino “Patatone” Di Silvio, lo zio Giuseppe “Romolo” Di Silvio e Antonio “Sapurò” Di Silvio (fonte: Facebook)

Ad alimentare gli incubi del fratello di Romolo, infatti, ossia Carmine detto Porcellino, è quel genero “scapestrato”, Andrea Sarrubbi, che ha avuto un litigio con Enzo, fratello di quel Carlo Maricca additato dai Di Silvio come il mandate dell’omicidio de Il Bello. E Sarrubbi, come riportato dall’altro genero, Mirko Altobelli, continua a subire vessazioni rischiando di diminuire il peso criminale dei Di Silvio del Gionchetto. Insomma, un affronto per la sua famiglia che ha perso un fratello e che ora vede un parente di nuovo messo sotto dai Maricca. Ecco perché Carmine Porcellino dice anche all’altro genero, Daniele Alessandrini, di spargere la voce che “lui ha sparato a tutta Latina, ha messo il cazzo in bocca a tutti“. Un tentativo che sembra disperato. Alessandrini infatti gli racconta di come Sarrubbi mentre stava ai Gufi (noto locale di Latina) fu “spappolato…la testa l’ha spaccata proprio addosso al tavolino”.

La paura più grande rimane, invero, quella degli arresti. E a tenere banco è l’ombra delle dichiarazioni di Agostino Riccardo, insultato pubblicamente ma temuto per ciò che può raccontare. Senza menzionare i nuovi verbali resi dal quinto pentito di mafia pontina Andrea Pradissitto, genero del boss Ferdinando Ciarelli detto Furt, il quale ha confermato la struttura da clan della famiglia di Romolo Di Silvio e l’interessamento nelle fasi calde dell’omicidio Moro.

È Costantino Di Silvio, detto Patatone, componente del gruppo di Romolo seppur con margini di indipendenza, sepolto da anni in carcere, a dire la sua su Riccardo (i due un tempo erano molto legati): “Vi spaccano…io so’ convinto che per Natale – dice ad Alessandrini in un colloquio nel penitenziario datato 2019 – o l’anno nuovo ce sarà na bella batosta per tutti quanti, a coi vi ammazzano proprio, a noi male che va…che potrà essere qualche altra cazzatella…almeno io da quello che dice Agostino questi qua…però…a voi ve dilaniano proprio…mo’ per cazzate poi“.

Successivamente, sempre nello stesso colloquio carcerario, alla presenza aggiunta dello zio Carmine detto Porcellino, Patatone rincara la dose e stigmatizza la collaborazione con lo Stato di Riccardo: “La cazzatella, la sceneggiata con il mio socio, la sceneggiata con quello lì…quello è un infame…quello è un infame…quello la’ se erano 10 anni indietro, quando se so’ litigati l’altro giorno…volevo vede’ se Fabio, il padre, il cognato e quello ce la facevano loro…lascia perdere mo so pure finiti, dovevi vedere qualche anno fa, domandalo a tuo suocero se là qualcuno ha mai potuto fare qualcosa, mio padre e il povero nonno….se rispettavano“.

Infine, per ovviare agli arresti, Patatone suggerisce: “non parlate, parlate in sinti, non vi ammucchiate mai…ve fanno secchi, ve distruggono”.

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