IL COMMIATO TERRESTRE DI SALVATORE CIANO A ITRI: UN VUOTO MATERIALE PER IL PAESE

Scritto e a cura di Orazio Ruggieri

Abbiamo atteso qualche giorno prima di dare forma ai pensieri tristi che sono albergati nell’animo alla notizia del decesso di Salvatore Ciano a Itri. Abbiamo atteso del tempo, un po’ perché l’emozione che ci fa profferire a caldo sentimenti e impressioni può giocare brutti scherzi nel preciso riferimento ai fatti che si intende portare alla comune rivisitazione , ma soprattutto perché riteniamo che il ricordo di una persona tanto speciale non vada metabolizzato solo nell’arco temporale delle attestazioni delle condoglianze, comunque sempre doverose e sentite verso i cari che ne piangono la perdita, al termine del rito esequiale.

La figura e l’esempio lasciatici da Salvatore, familiarmente salutato come “Cacciuotto” e giustamente conclamato “sindaco di sant’Angelo e della Tarita”, restano impressi nella mente di chi, itrano o meno, abbia avuto con lui anche un solo momento di incontro o di confronto.

E sì che di persone che imboccavano, proprio davanti l’ingresso del suo garage in via san Martino, diventato una specie di emiciclo dove la storia, il folclore, i costumi, l’arte culinaria e conservativa dei prodotti genuini della terra, oltre che i discorsi sulla quotidianità locale, nazionale o ecumenica tenevano banco, ne passavano tante, provenienti da ogni parte dell’orbe terrarum, per recarsi a visitare il monumentale castello medioevale da qualche lustro restaurato, al cui ingresso si accedeva iniziando il percorso delle scale di via Sant’Angelo antistante proprio il garage, quasi una novella scuola di Stoà Pecile, il portico dove Zenone di Cizio, 300 anni prima di Cristo, attivò una scuola filosofica.

E la filosofia che si respirava nel garage di  Salvatore, era quella della vita di chi poteva dire “confesso di essere vissuto”, in quanto erano lezioni di esperienza vera e non declamate con vanesia autoreferenzialità , come si è soliti oggi postulare, ma derivate dal racconto semplice e arricchito dal caratteristico intercalare di termini piacevolmente dialettali che infioravano il meraviglioso film, semplice e per nulla ermetico, delle tante stagioni del suo percorso terreno, come lavoratore, come figlio, fratello, marito, padre, nonno e interlocutore aperto e rispettoso di chiunque gli si trovava davanti. 

E quell’”Ape” collocata davanti la collegiata di San Michele Arcangelo, nell’impervia struttura urbanistica di Itri alta, il giorno del funerale, ha voluto testimoniare fino all’ultimo viaggio terreno lo strumento che ha quotidianamente accompagnato il laborioso impegno di Salvatore, unito, in casa e in campagna, con l’adorata Teresa, a nobilitare una esistenza che risuona a tutti come autentico modello di dignità tanto rara a trovarsi in giro nell’inquieta quotidianità deviata da fumose vacuità comportamentali e morali. E se quella paletta che lui usava per disciplinare, a titolo del tutto gratuito, il traffico nella stretta serpentina stradale del centro storico alto del paese, prima che venisse decretata la circolazione a senso unico, non comparirà più nelle sue mani, resterà comunque il segnale, per chi si trovi a  passare davanti alla serranda abbassata della sua scuola filosofica fatta di concretezze vissute, per far respirare a tutti il profumo che un uomo vero ha lasciato in quell’empireo di dignità esistenziale.

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