I TRAFFICI DEI DI SILVIO TRA NICOLOSI E CAMPO BOARIO: AD ACCUSARLI ANCHE UNO DEI FAMIGLIARI

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Operazione anti-droga tra Campo Boario e il Nicolosi: 11 misure cautelari, sono tutti appartenenti alla nota famiglia Di Silvio

Otto arresti in carcere e tre divieti di dimora per 11 persone appartenenti al cosiddetto terzo ramo dei Di Silvio, la famiglia dal punto di vista criminale meno in vista rispetto al clan di Campo Boario capeggiato da Armando Di Silvio detto “Lallà” e a quello retto da Giuseppe “Romolo” Di Silvio, di stanza al Gionchetto.

È questo il bilancio dell’operazione denominata “Nico 2022” (dal nome del quartiere Nicolosi) che questa mattina ha portato i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina, guidati dal tenente colonnello Antonio De Lise, insieme al NORM-Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Latina, coadiuvati nella fase esecutiva dal Raggruppamento Aeromobili Carabinieri di Pratica di Mare, dal Nucleo Cinofili di Ponte Galeria e dai Carabinieri competenti per territorio, ad eseguire l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Monica Ciancio, su richiesta del sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, Luigia Spinelli.

Il provvedimento rimanda all’operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo che a maggio 2022 individuarono in Via Farneto e nei pressi di Via Gorgoglicino, lato Pontina, gli abusi edilizi riconducibili a due degli arrestati odierni.

A giugno 2022, tramite due ordinanze, la numero 104 e la numero 105, il Dirigente del Suap del Comune di Latina, Stefano Gargano, aveva firmato i provvedimenti di demolizione dei due complessi abusivi che appartengono rispettivamente al cugino di Armando Di Silvio detto “Lallà”, Ferdinando Di Silvio detto Macciò (Via Gorgoglicino) e Salvatore Di Silvio (Via Farneto), figlio di Antonio Di Silvio detto Cavallo, anche noto per un attentato subito nella sua casa al Nicolosi.

Tutti e tre, come detto, non fanno parte delle famiglie più conosciute dei Di Silvio coinvolte in inchieste e processi di mafia, ma del ramo il cui capostipite è Carmine Di Silvio detto Lallo (il nome è riprodotto nella casa di Macciò a Campo Boario dove stamani i Carabinieri hanno effettuato il loro blitz). Lallo, per interderci, è il fratello Giuseppe Pasquale Di Silvio, ossia il padre di Armando Di Silvio detto “Lallà”, boss condannato a oltre 20 anni di reclusione per associazione mafiosa in merito al processo “Alba Pontina” (il giudizio pende in Cassazione).

Una famiglia, quella del cosiddetto terzo ramo, che si muoveva sulle stesse direttrici geografiche dello spaccio del clan di “Lallà” e, prima di loro, del clan Travali (almeno per quanto riguarda il quartiere Nicolosi). Partono da Campo Boario – Macciò risiede insieme a molti dei famigliari coinvolti in una casa intestata ad altra persona che si trova in Via Giulio Cesare – e arrivano al Nicolosi dove qualcuno di loro va a vivere. In questo caso furono due degli indagati a trasferirsi: Antonio Di Silvio detto Pippino e la compagna Stefania De Silvio detta Sunacà sono andati a vivere in Via Corridoni, nel quartiere Nicolosi. Una via dove, per intenderci, viveva, prima del suo arresto con l’operazione Alba Pontina, il defunto Samuele Di Silvio. E al Nicolosi viveva un altro degli arrestati odierni, Antonio Di Silvio detto Cavallo.

Destinatari del provvedimento di carcerazione sono otto: il promotore e capo del sodalizio, Ferdinando Di Silvio detto Macciò (46 anni), l’organizzatrice e moglie del capo, Giovina Di Silvio detta Anna o Piki (49 anni) e, a seguire, Antonio Di Silvio detto Cavallo (58 anni), fratello di Maccio e considerato in subordine rispetto a lui, Salvatore Di Silvio detto Piccolo (32 anni), Antonio Di Silvio detto Pippino (25 anni), Stefania De Silvio detta Sunacà (23 anni), Sabiuccia Di Silvio detta Cucca (24 anni), Sabiuccia Di Silvio detta Mammona (66 anni), sorella del capostipite della famiglia, Carmine Di Silvio detto Lallo. Tutti, tranne le ultime tre donne, sono di Latina. Mammona, Cucca e Sunacà sono rispettivamente nate a Frosinone, San Severo (Foggia) e Sora.

Risultano indagati anche Antonietta Di Silvio detta Mara (27 anni) ed il compagno Emanuele Sicignano detto Rurù (29 anni), fratello di Daniele Sicignano, già condannato con sentenza passato in giudicato per il processo “Alba Pontina”. Entrambi i fratelli risultavano essere pusher al servizio del clan di Lallà che, una volta indebolito dagli arresti di DDA e Squadra Mobile, ha lasciato il campo, almeno nelle zone di Campo Boario e Nicolosi (area che ha più spacciatori, anche cani sciolti, sopratutto di origine nordafricana), al sodalizio di Ferdinando detto Macciò. Due famiglie che ad ogni modo si sono sempre rispettate e aiutate tra di loro.

Ferdinando Di Silvio detto Macciò sotto un santino incorniciato di Mario Merola
Ferdinando Di Silvio detto Macciò sotto un santino incorniciato di Mario Merola

Applicato il divieto di dimora per la moglie di “Cavallo”, Ermana Pagliaroli alias Anna Agnaroli (54 anni), di Latina; Rubina Di Silvio detta Cerella (57 anni), di Latina; Giovina Di Silvio detta Paparella (48 anni), di Latina. Queste ultime due sono le sorelle di Macciò, chiamate anche le “zitelle”.

L’attività di indagine svolta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina, sviluppatasi tra il dicembre del 2021 ed il luglio del 2022, trae origine dalle dichiarazioni di un appartenente alla famiglia investigata che ha deciso di rendere dichiarazioni alla DDA di Roma. Si tratta del 33enne Carmine Di Silvio detto Belvo, le cui dichiarazioni hanno avuto riscontro in quelle rilasciate dal collaboratore di giustizia, Maurizio Zuppardo, legato ad Antonio Di Silvio detto Sapurò, figlio di Ferdinando Di Silvo detto Il Bello (ucciso nel 2003 con un’autobomba a Capoportiere), quindi riconducibile all’ala del clan retto da “Romolo” Di Silvio. A dichiarare sulla famiglia coinvolta oggi negli arresti anche i due collaboratori Agostino Riccardo e Renato Pugliese.

In particolare la figura di Carmine Di Silvio, figlio di Antonio Di Silvio detto Cavallo e nipote di colui che è considerato il capo del sodalizio, Ferdinando Di Silvio detto Macciò, è piuttosto particolare.

Non è la prima volta che il figlio di Antonio Di Silvio detto “Cavallo”, Carmine Di Silvio, finisce nelle cronache e all’attenzione delle forze dell’ordine. Lo scorso ottobre, il 33enne era stato arrestato dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile e della Compagnia di Latina, insieme ai colleghi del Nucleo Investigativo, per aver sottratto un’auto a un cittadino che passava per Via Milazzo. Davanti al giudice per le indagini preliminari, Carmine Di Silvio negò e per l’inattendibilità del riconoscimento fotografico fu scarcerato. Prima ancora, nel 2017, fu sorpreso a fingersi poliziotto così da rapinare ignari cittadini

Carmine-Di-Silvio
Carmine Di Silvio

A novembre 2023, la casa nel quartiere Nicolosi occupata illegittimamente dalla compagna fu restituita al proprietario dopo 12 anni grazie all’intervento dei Carabinieri del Nucleo Investigativo, guidati dal tenente colonnello Antonio De Lise. A rilasciare dichiarazioni utili anche la compagna di Carmine Di Silvio, per cui in un unico processo lo stesso è accusato di maltrattamenti e lei è imputata per falsa testimonianza, e la cognata.

L’attività investigativa si è articolata in servizi di osservazione, attività di indagine classica affiancata da attività tecnica di intercettazione, visione di immagini da telecamere appositamente installate e da mirati riscontri.

Gli episodi di traffico di sostanze stupefacenti ricostruiti nel corso delle indagini, per i quali il GIP Ciancio ha ravvisato la sussistenza di gravi indizi, si collocano nel contesto di un’associazione locale costituita allo scopo di acquistare, detenere e commercializzare, nella città di Latina, in particolare nei quartieri “Campo Boario” e “Nicolosi” ingenti quantitativi di stupefacenti, soprattutto hashish e cocaina.

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Le investigazioni hanno consentito di ricostruire l’esistenza di una consorteria dedita al traffico di sostanze stupefacenti ed operante nel capoluogo, cui hanno preso parte, tra gli altri, soggetti già recidivi nello specifico settore dei reati in materia di stupefacenti. Il sodalizio ha assicurato lo stabile approvvigionamento delle piazze di spaccio di Latina, quasi h/24, grazie ad una consolidata esperienza maturata nel settore,  ad una solida rete di soggetti dediti alla commercializzazione dello stupefacente ed utilizzando le donne della famiglia quali “vedette”. 

Una famiglia ramificata e molto numerosa quella del capostipite “Lallo” Di Silvio e della moglie Concetta De Silvio (estranea alle indagini) e che, praticamente, spacciava da sempre. Secondo i calcoli degli inquirenti, stabilmente dal 2010. Alcuni di loro si sono dedicati allo spaccio sin da minorenni (in uno dei capi d’imputazione partecipa allo spaccio una ragazza che è tuttora minorenne e che fa parte della famiglia), con ruoli ben definiti: chi spacciava, chi custodiva, chi confezionava, chi vigilava, chi portava la droga con macchinoni. E non mancavano, come si può vedere dai social network, l’esibizione della loro ricchezza, con feste condite di cantanti neo-melodici, un puro stile mutuato dai clan di camorra.

Importante, come accennato, la collaborazione di Carmine Di Silvio detto Belvo. Non un collaboratore di giustizia, ma un personaggio che, in rotta con i suoi parenti, ha deciso di confermare e raccontare gli intrecci e le dinamiche dello spaccio interni alla sua famiglia. Il 33enne ha spiegato che il padre, Antonio Di Silvio detto “Cavallo”, scampato peraltro a un tentato omicidio nel 2022, spacciava pur essendo ristretto ai domicilari dalla sua casa al Nicolosi, in Via Grassi. Quel tentato omicidio per cui è stato condannato Angelo Sinisi sarebbe derivato da un debito da 300 euro maturato dal figlio Carmine Di Silvio, in ordine ad un acquisto di hashish non pagato.

Cessioni di droga che “Cavallo” realizzava dalla finestra che si trovava sul retro della sua casa blindata, così da poter permettere all’uomo di gettare nel water la sostanza nel caso ci fosse stato l’intervento delle forze dell’ordine.

È sempre il 33enne Carmine a confermare che era Macciò a occuparsi dell’approvvigionamento e della custodia della cocaina. Il capo del sodalizio, pur essendo assegnatario di casa popolare, aveva comprato una terreno in via Gorgoglicino, a ridosso sulla SS Pontina, doveva aveva costruito una villa cin tanto di cavalli.

Sotto la famiglia di Macciò Di Silvio, c’erano anche alcuni pusher nordafricani (lo stesso schema del clan Di Silvio sponda Lallà e del clan Travali) che fungevano da vedette.

Carmine Di Silvio, convinto a parlare dai Carabinieri nel 2021, ha spiegato quindi tutti i ruoli del sodalizio, incriminando lo stesso padre Antonio Di Silvio detto Cavallo e il fratello Salvatore Di Silvio detto Piccolo. Secondo il 33enne, il volume dello spaccio ammontava a 300-400 grammi alla settimana per ciascuna casa della famiglia dedita allo spaccio. I pusher nordafricani pagavano una somma mensile al padre: una retta per non avere problemi.

Gli stessi famigliari avevano capito che Carmine “Belvo” Di Silvio potesse collaborare con le forze dell’ordine. Ecco perché si raccomandano con alcuni acquirenti, spiegando di dire allo stesso “Belvo” che non spacciavano più. E ancora, sempre rivolti ad un altro tossicodipendente, gli stessi famigliari dicevano in riferimento a “Belvo”: “Non dargli retta, non sta bene col cervello“.

D’altra parte, i dissapori tra “Belvo” e la sua famiglia sono confermati anche dalle dichiarazioni dei pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Secondo gli ex affiliati al clan Di Silvio, “Belvo” è sempre stato un tipo da spacconate e millanterie che avrebbero potuto disturbare gli affari dei famigliari.

Ad ogni modo, le indagini dei Carabinieri, come accennato, trovano riscontro anche nelle dichiarazioni della compagna di “Belvo” e nella cognata dello stesso, ossia la ex compagna di Salvatore Di Silvio detto Piccolo. Questa donna non si limita a spiegare i rapporti interni al sodalizio di Macciò, ma va oltre. Salvatore Di Silvio detto Piccolo, infatti, si sarebbe recato qualche volta ad Aprilia, almeno fino al 2020, per trafficare in armi con un uomo che lavorava al cimitero di Roma e la cui moglie frequentava appartenenti alla banda della Magliana.

Non solo. Lo stesso Piccolo si sarebbe approvvigionato di cocaina da “Patrizio” di Aprilia che, a meno di casi di omonimia, dovrebbe essere Patrizio Forniti, già descritto dai collaboratori come massimo broker del narcotraffico pontino e in rapporti con Sergio Gangemi, legato alla ‘ndrangheta reggina. Peraltro, un altro canale per la droga (mezzo chilo di cocaina a settimana) era quello di tal “Ermal” il quale gestiva un compro oro: anche in questo caso, a meno di casi omonimia, si tratterebbe di Ermal Arapaj, albanese in guerra con il temuto Elvis Demce (braccio destro di Fabrizio “Diabolik” Piscitelli) e di stanza tra Velletri e Giulianello.

Secondo Zuppardo, invece, la famiglia di Macciò – fantino fino al 2007, poi divenuto pusher – era organizzatissima (lui stesso dichiara di essere stato assiduo acquirente): le sorelle “zitelle” dovevano fare scudo contro le forze dell’ordine nel caso di controlli, in modo tale che gli uomini potessero disfarsi dello stupefacente. Il volume delle attività era di un chilo ogni 7-10 giorni e la vendita sarebbe avvenuta per anni dalle ore 8 alle ore 22, e fino a mezzanotte d’estate; uno dei componenti, Salvatore Di Silvio detto Mucca, spacciava a Cisterna. La droga veniva venduta come si fosse in un discount, nonostante la contrarietà del capostipite Carmine Di Silvio detto Lallo, prima attivo nello spaccio e poi recalcitrante a continuare: “Lo sa ma non vuole vedere”.

È Agostino Riccardo a spiegare chi Macciò: “È visto come un Dio nella famiglia Di Silvio, comanda tutta la sua famiglia e distribuiva cocaina a fratelli e nipoti“. Lallo, invece, si occupava di estorsioni e corse clandestine che avrebbero avuto luogo a Fossanova.

Secondo Riccardo, anche Macciò utilizzava gli stessi broker che le cronache hanno imparato a conoscere: Gianluca Ciprian, Patrizio Forniti e tale Maurizio detto Cocomero.

A confermare la caratura di Macciò, è anche Renato Puglise. Il figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio ha spiegato che è “uno dei più furbi perché poi non l’hanno mai arrestato, è sempre stato uno che viaggiava sottotraccia”. Gli acquirenti suonavano al cancello e venivano serviti, non prima di essere stati riconosciuti al video-citofono. Gli introiti, secondo il pentito, erano tra i 20mila e i 25mila euro al mese: soldi che Macciò pretendeva essere resi subito in modo da non avere problemi con i trafficanti di droga.

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