C’è da stare attenti a scrivere di un evento, alcune volte si rischia di dare l’impressione di volerlo promuovere, sopratutto se chi ti legge ha l’intenzione di colpire a piacimento con schizzi di fango misti a merda. Quindi, cominciamo subito col chiarire una cosa: della Meloni a Latina potevamo fare a meno.
Giorgia Meloni sarà qui, nel capoluogo di provincia, ad aprire la campagna elettorale di Fratelli d’Italia in vista delle elezioni europee e delle elezioni amministrative del 26 maggio 2019 – sì perché si vota anche in alcuni comuni dell’agro come Sermoneta, Roccagorga, Spigno Saturnia ecc.
L’appuntamento con la leader di Fratelli d’Italia, anche lei candidata alle Europee (ma dove lo troverà il tempo per fare la deputata, la leader in campagna elettorale permanente come tutti i capi partito in Italia e la candidata a Bruxelles?), è fissato per mercoledì 10 aprile alle ore 18 presso il Teatro Moderno di Latina insieme al senatore, coordinatore provinciale e consigliere comunale Nicola Calandrini (ha tante cariche che il Duca Conte di Fantozzi in confronto è un pivello), il deputato e coordinatore regionale Paolo Trancassini, il vice coordinatore regionale Enrico Tiero, e il sindaco di Terracina Nicola Procaccini.
Dalle parti di Fratelli d’Italia, i due capataz del circondario pontino – il neo-senatore “abruzzese” Nicola Calandrini ed Enrico “Fratone” Tiero, entrambi ex di Forza Italia – conducono le danze in tripudio di festa, eccitati nell’ospitare la Giorgia nazionale, l’ex ministra berlusconiana che anni fa, magari qualcuno non se lo ricorda, era talmente benvoluta da Silvio B. da ricevere anche appellativi che se non stupiscono pronunciati dal Caimano, colpiscono invece se accolti senza batter ciglio dalla ruggente e “molto romana” Meloni (video a seguire).
Quasi che un tempo la Meloni, non ancora indossati i panni leonini della sovranista “de casa nostra”, fosse disposta, pur di apporre nel curriculum politico la tacca di Ministra per la Gioventù, ad accettare supinamente anche il percolato pecoreccio dell’allora impero di Arcore.
Ma, per ora, torniamo al presente, anche se più in là un altro tuffo nel passato dovremo farcelo. È improcrastinabile.
Così, ad oggi, anche il neo senatore Calandrini si dimostra entusiasta dall’arrivo in patria pontina della sua leader.
E lo ricordiamo ancora tutti quanti a Latina esplodere di felicità, solo un paio di mesi fa, quando il 10 febbraio 2019 è diventato senatore della Repubblica. C’è voluto un po’, a quasi un anno dall’inizio della legislatura parlamentare Calandrini era rimasto fuori per un pelo, o meglio per un marsilio. Infatti, dopo che glielo aveva soffiato per gerarchie di liste alle Politche 2018, è proprio grazie all’elezione a Governatore della Regione Abruzzo dello stesso Marco Marsilio che, scalando di un posto, Nicola Calandrini è diventato scrannista di Palazzo Madama. E per l’occasione, in quei mesi di campagna elettorale, Marsilio, a cavallo tra gennaio e febbraio, si è visto piombare a casa sua Calandrini vestito all’occorrenza da pastore abruzzese, trasmigrando proprio nella terra dei lupi marsicani. E tra chitarrine e arrosticini nel cuore dell’Abruzzo, Nicola, dal suo balcone social, ci ha tenuto a dire che no, lui non lo faceva per interesse di un posto al sole in Parlamento, piuttosto andarsi a prendere il freddo aspro degli Abruzzi era per passione.
D’altra parte l’Abruzzo val bene una messa, o forse un altro stipendio da politico insieme a quello, sicuramente molto stitico, che percepisce da consigliere comunale dopo aver perso, alle amministrative del 2016, il ballottaggio come sindaco di Latina con Damiano Coletta. E, magari, quella passione per l’Abruzzo è stata dovuta anche al fatto di aver apprezzato il libriccino che Marsilio scrisse qualche anno fa, dal titolo “Razzismo. Un’origine illuminista” edito da Vallecchi, dove si sosteneva che la cultura occidentale, non volendo più essere razzista, abbia cercato di non esserlo mai stata, scaricando ogni responsabilità sul nazismo in particolare, come se fosse un accidente della storia. Come a dire che quei bischeri dei nazisti erano sì razzisti ma non si poteva dare la colpa tutta a loro, con tesi del tipo: non c’è solo la Shoah, parliamo degli altri razzismi. Un benaltrismo in salsa cameratesca che dovrebbe essere non accettabile. Ma eravamo nel 2006, oggi siamo nel 2019 e Fratelli d’Italia ambisce ad essere una destra vicina agli italiani, inseguendo Salvini sui temi dell’immigrazione che da un pezzo li ha fatti suoi e non li molla manco fosse un molossoide con un pezzo di cotenna.
L’altra sentinella della destra meloniana a Latina è, come detto, Enrico Tiero di cui tutto e di più si può dire tranne che sia di destra. Il suo passaggio a Fratelli d’Italia è avvenuto a dicembre, insieme al suo Sancho di Borgo Sabotino che Fratone si porta appresso in ogni sua impresa politica quasi fosse un gadget da esibire al gran mercato dei giravoltisti della politica, al secolo Gianluca Di Cocco. Entrambi smaterializzatisi dal partito dei Cuori Italiani, smaterializzandolo a sua volta manco fosse la DeLorean in Ritorno al Futuro, così, da un giorno all’altro. Tanto “che ce ne fotte”, direbbero il gruppo web-comico The Jackal, sempre Tiero e Sancho Di Cocco siamo, che ci troviamo con il Pdl o con i Cuori di Quagliariello o i Fratelli d’Italia non interessa a nessuno! La gente vuole bene loro, le veline sui giornali fioccano, e la critica al loro camaleontismo paravento la fanno solo quelli che sono carta conosciuta: due sfigati e mezzo al bar, e un altro e mezzo sui siti web.
Pare che qualcuno di quei quattro sfigati nel non riconoscere più in quale partito si trovino Tiero e Di Cocco siano incappati in una brutta malattia: il labrintismo politico, e pure qualche ufficio stampa abbia dovuto correggere gli archivi perché un giorno prima da Cuori che erano si son trasformati in Fratelli. E qualcuno non raccapezzandosi più è finito diritto diritto dall’analista.
Eppure la Meloni è una politica seria, di respiro nazionale, piaccia o non piaccia, buca il video e ha tanti fan, anche inaspettati, come ad esempio in quel mondo moderato di sinistra, che scombussolato da una sinistra che in Italia non esiste più, estinta come il ratto gigante di Tenerife o il rinoceronte lanoso, si ritrova nella prosopopea pop e nazionalista della Le Pen italiana, un po’ spiccia nella retorica, da buona madre di famiglia, e un po’ gggiovane per attirare l’elettorato meno incistato nelle pecche del passato (essere stata Ministra di Berlusconi viene tenuto nell’anfratto dell’oblio da lei stessa come fosse una reliqua puzzolente) e sopratutto nel vizio di quelli un po’ più vecchi: la memoria.
E allora, come anticipato sopra, facciamolo questo salto indietro nella memoria, e non si dispiacerà Nicola Procaccini, il sindaco di Terracina candidato alle Europee del 2019, di cui vediamo già sparsi per l’agro i faccioni gigantografici a illuminare le nostre strade mal ridotte, se non ci soffermiamo su di lui.
Solo l’anno scorso, la Meloni venne a Latina per la campagna elettorale delle Politiche 2018 poiché era capolista nel collegio uninominale della Camera dei Deputati qui a Latina. Insomma, Giorgia è una di noi, ci rappresenta, anche se bisogna dirlo che, tra una ospitata da Giletti e un’altra dalla Gruber, non è che l’abbiamo vista molto presente in un anno nell’agro pontino. Né fisicamente né con atti parlamentari riguardanti il territorio pontino.
Ma nel 2018, la Meloni, pur essendo leader indiscussa e indiscutibile di Fratelli d’Italia, riuscì nell’impresa di far incazzare tre quarti di centrodestra latinense. Direte voi, ma come? Forse perché venendo qui fece ammenda dell’errore di aver dato fiducia a Pasquale Maietta, il fondatore a Latina di Maiettopoli, ex tesoriere di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati, finito alla sbarra per diverse inchieste/processi, e dietro le sbarre per uno di essi (ora è agli arresti domiciliari), Arpalo, che ad aprile dell’anno scorso lo vide spedito in un carcere a Roma per la custodia cautelare a causa di robette come associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e altro che per uno che faceva il commercialista e pure il tesoriere di un partito politico dovrebbe essere quantomeno una diminutio, ma magari in Italia è un plus di esperienza nei conti e nei bilanci, sopratutto di un gruppo parlamentare. Macché, comunque, nessun cenno dalla Meloni, mai, nemmeno sotto tortura, a Pasquale il Presidente, riuscito nell’impresa di condensare in un solo colpo tutti i luoghi comuni che attanagliano il calcio: portare al fallimento una società, il Latina Calcio, e avere dentro la stessa un conclamato criminale come Cha Cha Di Silvio, appartenente al gruppo facente capo a lui e Gianluca Tuma, oltre a tutto un giro di sottobosco criminale sempre legato ai due succitati che la facevano da padrone in curva al Francioni e nella sede della società calcistica dove più che essere un covo di passioni era un centro di spaccio. Ma Giorgia, un’attenuante ce l’ha: nessuno mai le chiede cosa pensa di Maietta, cosa pensa di Maiettopoli, ossia una città, Latina, che era completamente sottomessa, dentro le Istituzioni comunali, ai voleri dell’ex deputato, con dipendenti e funzionari e dirigenti che avevano quasi timore a contraddire l’ex reuccio del Latina Calcio, nonché assessore al Bilancio del Comune.
Acqua passata si dirà, e allora perché la Meloni fece arrabbiare quelli di Latina? Ci scommettiamo che questa volta, la Giorgia, memore di aver fatto imbufalire un politburo intero lo scorso anno, non pronuncerà il 10 aprile al Teatro Moderno, neanche un altro nome, quello di Vincenzo Zaccheo.
Lei, circa 12 mesi fa, noncurante di quanto l’ex sindaco di Latina è inviso ai capataz Calandrini, e ora pure Tiero, per non parlare di quelli di Forza Italia, con cui probabilmente saranno destinati ad allearsi per riprendersi Latina nel 2021, non solo lo ricordò incensandolo ma persino lo incoronò come possibile ed eventuale leader su cui ricostruire un centrodestra unito in città. Apriti cielo. Non potendolo dire apertamente, perché l’ipocrisia in certi ambienti politici cittadini è pari sia a destra che a sinistra, quelle dichiarazioni gelarono talmente tanto Calandrini e gli altri luogotenenti del centrodestra che Giorgia, stavolta, siamo certi che si terrà ben alla larga dal pronunciare quel nome, nonostante l’altro possibile alleato per il 2021, la Lega di Salvini a Latina, non abbia così in puzza l’ex sindaco, sopratutto dal lato Adinolfi-Tripodi in aperto contrasto con il coordinatore regionale della Lega Francesco Zicchieri (che vede come uno spauracchio Zaccheo e i suoi uomini) e il vero braccio forte in provincia, Claudio Durigon, plenipotenzario di Matteo Salvini al Ministero del Lavoro retto da Luigi Di Maio, e punto di riferimento indiscusso nel sindacato UGL.
Tessere, voti, rapporti di potere, tutto si gioca così nel terreno del centrodestra e guai a parlare di passato.
Eppure qualche appunto l’avremmo da porgere alla Meloni. È o non è la rappresentante di Fratelli d’Italia alla Camera per il collegio di Latina?
In qualità di ministro del governo Berlusconi la Meloni si oppose alla richiesta di scioglimento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale di Fondi, presentata a settembre del 2008 da parte dell’allora prefetto di Latina Bruno Frattasi; nel 2013 ha avuto un ruolo determinante nell’elezione alla Camera dei Deputati di Pasquale Maietta, imponendo a Rampelli (eletto in entrambi i collegi del Lazio) di scegliere quello di Roma per far posto proprio a Maietta; quando Maietta è stato travolto dalle inchieste giudiziarie della Procura della Repubblica di Latina (Olimpia, Starter, Don’t Touch, Arpalo), accusato di reati particolarmente gravi, tra cui il riciclaggio di denaro, Giorgia Meloni è rimasta in silenzio, indifferente al fatto che il suo protetto fosse nel frattempo diventato addirittura tesoriere del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia.
Insomma Giorgia Meloni ebbe proprio una bella faccia tosta a candidarsi all’uninominale proprio a Latina. Forse non le sembrava di aver già fatto abbastanza e, quindi, ha voluto completare il suo “capolavoro politico” eleggendo a testimonial della sua campagna elettorale l’ex sindaco Vincenzo Zaccheo.
Probabilmente la “patriota” Meloni, nonostante si sia candidata a Latina, si è dimenticata del disastro amministrativo di cui si è reso responsabile il suo testimonial, di cui le rammentiamo pertanto alcuni episodi:
metropolitana leggera – project financing farlocco, basato su un piano economico finanziario contenente dati inventati e con un contratto tutto a favore dei privati, che ha generato due contenziosi contro il Comune di Latina di circa 35 milioni di euro;
cimitero – anche in questo caso project financing con un contratto tutto a favore dei privati ed invenzione della cosiddetta “tassa sul morto”, che ha generato un contenzioso contro il Comune di Latina di circa 20 milioni di euro;
operazione immobiliare con il Fallimento I.C.O.S. s.r.l – in modo spregiudicato e avventato sono stati bruciati nel 2003 più di 3 milioni di euro per acquistare un immobile diroccato che ancora oggi possiamo vedere in tutta la sua imponente fatiscenza lungo la fascia urbanizzata della strada Pontina, più o meno all’altezza dei cosiddetti Palazzoni e della vecchia sede dell’Università;
la misteriosa scomparsa negli uffici del Comune del decreto ingiuntivo di 4.500 milioni di euro contro la società partecipata Terme di Fogliano S.p.A., circostanza che ha impedito a quest’ultima di opporsi e far valere quindi le sue fondate ragioni, e ne ha determinato il fallimento.
Insomma, un cahiers de doléances che sicuramente il 10 aprile nessuno le snocciolerà. E già conosciamo l’obiezione: questo è il passato! Siamo sovranisti, nazionalisti, dobbiamo cambiare l’Europa infingarda e usurpatrice, siamo per le infrastrutture, i porti, i controporti, le autostrade, lo spazio e Plutone. E allora, sì, obiezione accolta per una volta. Anche noi di Latina Tu, la carta conosciuta del web, quelli che sono più moralisti e moralizzatori de Il Moralista impersonato da Alberto Sordi o di un frate trappista vergine, l’accettiamo. Dunque, cancelliamo il passato, Maietta e Zaccheo non esistono, e domandiamoci allora di Nicola Calandrini, in pompa magna nel ruolo di leader dell’opposizione in Comune (a onor del vero, l’uomo è stato capace di attorniarsi di ottimi collaboratori che qualche buon punto glielo hanno fatto conseguire: vedi critiche all’azienda speciale Abc di Coletta/Lessio e il contrasto al biometano di Latina Scalo) e senatore della Repubblica. Che a leggere alcune cronache locali, come lo raffigurano, pare gli manchi solo la tiara papale.
Ebbene cosa ci faceva, signora Meloni, il signor senatore Calandrini nelle carte di Alba Pontina, l’inchiesta che ha contestato per la prima volta, dal 1997, il 416bis a un’ala del clan latinense Di Silvio?
Premesso che il nostro non risulta imputato né tantomeno indagato, perché viene citato da uno degli estorti di Gianfranco Mastracci e Ismael El Ghayesh? Quest’ultimi, in giro a raccattare voti per conto dei Morelli (legati ai Travali, coinvolti nel processo Don’t Touch), che a loro volta, come detto dal pentito Renato Pugliese, li compravano per Roberto Bergamo e l’attuale consigliere regionale Angelo Tripodi, si videro rispondere da uno delle vittime estorte, ai quali ordinavano di votare per i due politici succitati, Bergamo come consigliere comunale, Tripodi come sindaco, che non poteva prendere i 30 euro per il voto. Il motivo? La vittima, sotto le grinfie di Mastracci e El Ghayesh, lo aveva già promesso in cambio di 50 euro che avrebbe ottenuto da un certo Simone Di Marcantonio, definito come uno di Piazza Moro (Latina). Nel 2016, in piena campagna elettorale per il Comune di Latina, Di Marcantonio, a detta della vittima estorta, promise 50 euro a quest’ultimo in cambio di una preferenza. Indovinate per quale candidato sindaco? Nicola Calandrini.
Ecco, questo è il presente. E a scanso di equivoci, vorranno Calandrini e sopratutto Giorgia Meloni sgomberare il campo da ogni equivoco e spiegare queste dinamiche elettorali. Di Maiettopoli ne abbiamo già avuta una e il troppo, come si dice nei rioni popolari che dicono di avere a cuore i nuovi patrioti italiani, stroppia.