CASSA FORENSE NEGA MATERNITÀ: AVVOCATA DI FORMIA VINCE ANCHE IN APPELLO

Dopo la vittoria in primo grado, l’avvocata di Formia ha incassato una nuova pronuncia favorevole in Corte d’Appello

La storia dell’avvocata di Formia che lotta per il diritto alla maternità, raccontata a marzo 2020 su Latina Tu, si è arricchita di un secondo capitolo.

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La protagonista della vicenda è una donna di 40 anni, originaria di Santa Maria Capua Vetere, che svolge la professione a Formia ed è iscritta all’Ordine degli Avvocati di Latina.

L’avvocato Daniele Lancia

Difesa dal collega Daniele Lancia, l’avvocata nel luglio 2011 chiede l’iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense. Passano anni, nello specifico tre, e la donna non riceve nessuna risposta dalla Cassa fino all’ottobre 2014 quando, finalmente, le rispondono comunicandole l’avventa iscrizione. Intanto, come è naturale che sia, la vita era andata avanti e la donna aveva dato alla luce due bambini, ad agosto 2011 e a febbraio 2013. Per tale ragione l’avvocata, nel 2014, dopo l’attesa estenuante di ben tre anni per avere la conferma di essere iscritta alla Cassa, chiede alla stessa ciò che le spetta di diritto: l’indennità di maternità. Una conquista che tutte le donne che lavorano hanno o dovrebbero avere. E, infatti, a non pensarla così è la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense che le risponde rigettando la domanda dal momento che la richiesta per l’indennità materna è stata presentata oltre il termine di 180 giorni dal parto (in questo caso dai due parti). Vero, con un “però” grosso come un intero Tribunale, almeno quanto quello di Santa Maria Capua Vetere Sezione Lavoro e Previdenza allorché, il 2 marzo 2020, il giudice Federica Ronsini pronunciò sentenza favorevole nei confronti dell’avvocata madre di due bambini.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Se è vero che la presentazione della domanda per fruire dell’indennità di maternità deve avvenire da parte delle libere professioniste entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data del parto (artt. 70 e 71 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151), e nel caso di specie l’avvocata ha presentato la relativa domanda il 20 novembre 2014, quindi a distanza di tre anni dal primo parto (avvenuto l’1 febbraio 2011), va tuttavia rilevato – si leggeva nella sentenza di primo grado – che la decadenza in cui è incorsa la ricorrente non è a lei imputabile: è agli atti che in data 21/07/2011 è stata inoltrata richiesta di iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, riscontrata da quest’ultima solo con nota del 24/10/2014, con cui è stata comunicata l’avvenuta iscrizione con delibera del 21/11/2013 e con decorrenza dal 01/01/2011.

È, infatti, la Cassa ad aver provveduto con notevole ritardo all’iscrizione dell’avvocata, né vale ad escludere tale tardività la circostanza che la Cassa avesse già provato precedentemente a notificare il provvedimento d’iscrizione alla ricorrente, senza buon esito tuttavia, atteso che la missiva ritornava al mittente per indirizzo errato: difatti, secondo quanto lo stesso Ente ammette in memoria, la prima lettera non notificata era del 25.11.2013, di data quindi comunque successiva a quella di entrambi i parti e comunque quando i 180 giorni da essi erano già decorsi, con la ovvia conseguenza che al momento delle nascite in questione, avvenuti in data 01/08/2011 e 08/02/2013, l’iscrizione della ricorrente non era stata neanche deliberata dalla Cassa Forense. Dunque, per il ritardo nella trasmissione delle domande di indennità, avvenute immediatamente dopo la comunicazione di iscrizione alla Cassa, l’avvocata non può che considerarsi incolpevole.

In soldoni, un avvocato chiede iscrizione alla cassa forense e, nel frattempo che l’ente previdenziale deliberasse l’iscrizione (3 anni di attesa), l’avvocata partorisce 2 figli.
Una volta ricevuta la comunicazione dell’avvenuta iscrizione con la richiesta di versamento dei contributi pregressi, ovvero dalla data della domanda di iscrizione, l’avvocata procede a richiedere l’indennità di maternità che la cassa forense ritiene di non poter accogliere poiché ormai tardiva. Talché l’avvocata è costretta a rivolgersi al Tribunale al fine di tutelare il diritto alla maternità che il medesimo Tribunale di Santa Maria Capua Vetere riconosce sulla base del presupposto che la Cassa non avrebbe potuto contestare la tardività della domanda quando è l’Ente previdenziale medesimo ad aver deliberato l’iscrizione con oltre due anni di ritardo.

L’epilogo positivo per l’avvocata/madre è il danno che il giudice del lavoro Federica Ronsini le ha riconosciuto per una cifra di circa 10mila euro.

Dopo questa pronuncia, la Cassa nazionale forense ha ricorso in Corte d’Appello a Napoli contro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sostenendo che l’avvocata avrebbe dovuto iscriversi alla Cassa quale praticante abilitata e proporre tempestivamente la domanda per conseguire la indennità di maternità. Per la Cassa il provvedimento di iscrizione, avendo natura dichiarativa e non costitutiva, non doveva necessariamente precedere la domanda di prestazione che soggiaceva all’unico termine perentorio di 180 giorni dal parto. Non poteva, dunque, configurarsi un errore scusabile dell’avvocata né poteva omettersi di rilevare la contraddittorietà della gravata sentenza che qualificava la iscrizione come costitutiva del rapporto previdenziale, quanto alla tempestività della domanda di maternità e come dichiarativa ai fini della configurazione del diritto.

Censure che venivano respinte dall’avvocata e dal suo legale Lancia poiché, tra gli altri motivi addotti, già il Tribunale di primo giudizio ha accolto il ricorso proposto rilevando la non imputabilità del ritardo nella proposizione della domanda poiché la professionista era stata iscritta alla Cassa tre anni dopo la domanda.

Il Presidente estensore della Corte d’Appello di Napoli Mariavittoria Papa ha respinto il ricorso in quanto “la condotta inadempiente della Cassa che non ha provveduto ad adottare in termini ragionevoli il provvedimento di iscrizione non può ridondare a carico della professionista che ha adempiuto i propri oneri né poteva incidere sui tempi del procedimento amministrativo di iscrizione e tanto a volersi tacere della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di una Cassa professionale che, dopo avere ingiustificatamente omesso di adottare i provvedimenti dovuti, ritiene di potersi giovare del proprio ritardo al fine di comprimere i diritti dell’assicurato”.

Sentenza di primo grado confermata e seconda vittoria dell’avvocata.


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