TERRE CONTESE TRA DEMANIO E SPERLONGA, LA SPUNTA IL COMUNE

Sperlonga
Sperlonga

Contenzioso per il territorio tra l’Agenzia del Demanio e il Comune di Sperlonga. La Corte d’Appello dà di nuovo ragione all’ente

Una sentenza da cui discendono diversi interessi e parecchi milioni di euro. Si tratta della pronuncia della Corte d’Appello di Roma, emessa lo scorso 17 giugno. dalla seconda sezione specializzata in materia d’impresa, composta dai giudizi Zannella-Romandini-Papoff.

Da una parte l’Agenzia del Demanio, difesa dall’avvocatura di Stato; dall’altra il Comune di Sperlonga, assistito dall’avvocato Vincenzo Macari. A ricorrere è stata proprio l’Agenzia del Demanio che chiedeva la riforma di una vecchia sentenza del 2017 disposta dal Tribunale di Roma che riteneva il Comune di Sperlonga legittimo proprietario a titolo di uso civico delle aree del territorio sperlongano che vanno dal lungomare fino a Lago Lungo. Un importante pezzo di territorio che l’Agenzia di Stato rivendicava.

Era stato il Comune di Sperlonga a fare causa presso il Tribunale capitolino nel 2017, chiedendo che fosse accertato il confine tra la sua proprietà e il pubblico demanio marittimo, secondo la condizione dei luoghi. Anche sulla base delle risultanze di un consulente tecnico d’ufficio, il Tribunale aveva affermato che le aree di lite appartenevano al Comune di Sperlonga, per provenienza dagli ex usi civici, e più precisamente, le aree costiere comprese nei Fogli 6, 7 ed 8, con esclusione della particella 222 del Foglio 6 (Lago Lungo, inserito nel quarto elenco suppletivo delle acque pubbliche della Provincia di Roma) e delle particelle del foglio 11 n.142 e derivate, tra cui aree individuate come ricadenti nella nell’area portuale di Sperlonga.

Ritenuta non attendibile né decisiva la dividente demaniale del 1930, il Tribunale capitolino aveva ritenuto che le ulteriori particelle per le loro caratteristiche oggettive non potessero essere considerate demaniali, tranne che per una porzione di due particelle, appartenenti per la parte che si estende verso l’entroterra al Comune di Sperlonga e per la parte che si estende lato mare al demanio marittimo.

Al che l’Agenzia del Demanio ha ricorso alla Corte d’Appello, spiegando che il giudice si era erroneamente adeguato alle risultanze del C.T.U. il quale aveva rilevato che nel tempo il tratto di territorio in contestazione aveva perso le caratteristiche che ne consentivano l’utilizzo per fini marittimi, nonostante si trattasse di spiaggia. Inoltre, l’avvocatura di Stato aveva eccepito sulla circostanza per cui il Tribunale aveva accolto le valutazioni del C.T.U. circa l’appartenenza delle aree al Comune di Sperlonga in quanto provenienti dagli ex usi civici e ancora prima dal demanio feudale o ex feudale.

La Corte d’Appello, però, sulla scorta della difesa dell’avvocato Macari, che ha consegnato ai giudici una perizia di parte, ha convenuto che il C.T.U. non si è discostato immotivatamente dalle valutazioni dell’ausiliario geologo, ma ha semplicemente tratto delle conclusioni autonome che non si pongono in contrasto con le risultanze della relazione del geologo e in particolare della parte in cui la duna viene descritta come parte di un ecosistema marino o dove si fa riferimento alla composizione sabbiosa del terreno.

Lo stesso consulente tecnico, secondo la Corte d’Appello, ha correttamente confermato la titolarità in capo al Comune di Sperlonga dei terreni rivieraschi confinanti col demanio marittimo, sulla base di una ricostruzione storica dell’origine dei terreni, a partire dalla legge sull’eversione della feudalità (legge 2 agosto 1806, n. 130) e dalla creazione del catasto Murattiano.

Inoltre, la Corte d’Appello, citando la Cassazione a Sezioni Unite, ha sottolineato che essendo oggettivi i caratteri della demanialità del bene, il verbale di delimitazione si risolve in un atto di mero accertamento con cui si dichiara la demanialità di un’area riconoscendole intrinseca attitudine, anche solo potenziale, a realizzare i pubblici usi del mare e, pertanto, può essere disapplicato a fronte di un diverso accertamento fattuale dei caratteri obiettivi con i quali il bene si presenta al momento della decisione.

Ecco perché il ricorso dell’avvocatura di Stato è stato rigettato, peraltro condannando l’Agenzia del Demanio al pagamento delle spese di lite quantificate in 6mila euro.

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