“Tritone”, nel processo che si celebra al Tribunale di Velletri e che vede sul banco degli imputati gli appartenenti delle cosche di ‘ndrangheta sul litorale di Anzio, arrivano le conferme sulle soffiate da parte del colonnello Massimiliano Vucetich
Sul banco degli imputati ci sono gli appartenenti alla locale di ‘ndrangheta che l’anno scorso è stata colpita dall’operazione di Direzione Distrettuale Antimafia e Carabinieri di Roma. L’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e dai sostituti Giovanni Musarò e Francesco Minisci, raggiunse il suo culmine a febbraio 2022 quando a finire arrestati nell’operazione “Tritone” dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma, con l’ausilio dei Comandi Provinciale di Reggio Calabria, Latina, Rieti, Viterbo e dello Squadrone “Cacciatori Calabria”, furono in 65 persone (39 in carcere e 26 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata at traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
Ai vertici di ben due sodalizi legati alla ‘ndrangheta di Santa Cristina d’Aspromonte in provincia di Reggio Calabria e di Guardavalle in provincia di Catanzaro, secondo l’ipotesi della magistratura, vi sono Giacomo Madaffari, Bruno Gallace e Davide Perronace. Gli scopi della locale tra Anzio e Nettuno erano molteplici: acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ad esempio ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra); commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuate, contro la pubblica amministrazione e in materia di armi e stupefacenti; affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe e mediante infiltrazioni nelle amministrazioni comunali; infine, di procurarsi ingiuste utilità.
In una delle udienze di fine settembre, il colonnello dei Carabinieri di Roma, Massimiliano Vucetich, che svolse le indagini sul litorale di Anzio e Nettuno, interrogato come testimone dal Pm Giovanni Musarò, ha ricostruito le fasi dell’indagine, evidenziano di come le stesse sono state molto delicate perché su altre inchieste vi erano state soffiate. Praticamente le indagini di Carabinieri e anche Polizia sulla ‘ndrangheta del litorale capitolino e soprattutto nel territorio di Aprilia sono state spesso bucate dalle vocine di qualcuno che ha avvertito in tempo i vari sodalizi criminali. Un particolare peraltro già emerso nelle carte dell’inchiesta.
A domanda precisa sui rapporti tra indagati e forze dell’ordine, sia Carabinieri che Polizia di Stato, per il reperimento delle informazioni sulle indagini in corso, il colonnello ha detto chiaramente: “Sì, abbiamo dedicato più paragrafi dell’inchiesta”. Ci sono diverse intercettazioni e conversazioni e uno dei casi più importanti ha riguardato l’omicidio di Luca Palli.
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Il colonnello ha menzionato Patrizio Forniti, 51 anni, nato a Roma ma gravitante tra Aprilia e il litorale di Anzio. Forniti per cui non è stata emessa nessuna misura cautelare viene citato in un episodio della corposa indagine. Forniti – attualmente sotto processo per estorsione con l’aggravante mafiosa ai danni di due imprenditori di Aprilia e Pomezia, nell’ambito di un procedimento che ha visto giudicare separatamente Sergio Gangemi, l’uomo ritenuto dalla DDA a contatto con la ‘ndrangheta e condannato a oltre sette anni – viene menzionato dai collaboratori di giustizia pontini Agostino Riccardo e Renato Pugliese come punto di riferimento ad Aprilia per i loro ex clan rom. Sempre nell’ambito dello smercio di droga.
La vicenda ricordata dal colonnello ha come protagonista uno dei “capi” del sodalizio di ‘ndrangheta, Giacomo Madaffari, che ha contattato Forniti in un’occasione per dirimere una questione tra il suo gruppo e “certi di Pomezia” avendo dissuaso il medesimo e Ivan Casentini, anche lui di Aprilia, dall’attuare la loro vendetta contro Massimiliano Sparacio, ritenuto responsabile dell’omicidio di Luca Palli avvenuto ad Aprilia il 31 ottobre 2017.
adaffari affermava che il “a me Stefano, il maresciallo, qua di Aprilia, mi ha chiamato, digli a Patrizio di fermarsi immediatamente perché sanno tutto…sanno tutto, digli di non muovere…Patrizio io ho parlato con questo qua, mi ha detto di lascia’ perdere, stai lontano perche se lo andate a toccare vi arrestano a tutti, ci hanno tutto in mano loro…“. Al che Casentini sosteneva di essere stato fermato anche da tal Almaviva (che parrebbe rimandare al nome del carabiniere di Aprilia rinviato a giudizio col collega Fabio Di Lorenzo nel processo Don’t Touch 2 sempre in ordine ad alcune soffiate) il quale gli avrebbe intimato di lasciar perdere con l’atto di ritorsione contro Sparacio.
Una vendetta che secondo gli investigatori sarebbe stata alla fine fermata anche da un altro personaggio ritenuto di peso nel quadro degli ambienti: Luca De Luca, il quale parimenti a Madaffari avrebbe stoppato Forniti dal proposito di recarsi da Sparacio. D’altra parte il legame tra Fornti e Madaffari sarebbe di mutuo e reciproco soccorso: il 50enne di Aprilia, infatti, secondo diverse intercettazioni trascritte dai Carabinieri, avrebbe passato una notizia di una indagine in corso sul gruppo di ‘ndrangheta Gallace/Madaffari (Giacomo Madaffari spiega che associando a lui il nome di Gallace “vogliono aggravare pure me“). Lo si evidenzia chiaramente in una conversazione tra Giacomo Madaffari stesso e il suo uomo più fidato, Gregorio Spanò; peraltro, nei loro dialoghi, si fa cenno a un’indagine della DDA su Aprilia.
Non mancano soffiate anche da parte della Polizia di Stato. Quando il Pm Musarò glielo domanda direttamente, Vucetich risponde senza tentennamenti: “Sì”. Nel senso che ci sono stati problemi anche con la Polizia di Stato, in particolare con Via Genova, sede della Squadra Mobile di Roma. A confermarlo una intercettazione del marzo 2019 tra Gregorio Spanò e Giacomo Madaffare. Sarebbe stato Patrizio Forniti, che si presentò travisato per non farsi riconoscere, a parlare delle indagini in corso, in cui lui stesso, Forniti, era dato per associato al clan Gallace/Madaffari. “Il dentista ha un amico suo che lavora in Polizia”: sarebbe stato questo poliziotto a fornire informazioni sulle indagini anti-ndrangheta. Nel corso di un’altra conversazione avvenuta a maggio 2019, sempre Spanò sostiene che quelli di Via Genova stavano indagando sulla ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno.
I Carabinieri di Roma hanno dovuto svolgere una indagine complicata, non potendo avanzare richieste per non far trapelare notizie sopratutto a favore delle squadre delle forze dell’ordine territoriali. Fu l’ex Comandante provinciale di Latina, Lorenzo D’Aloia, ad arrivare con la delega delle indagini e a spiegare ai colleghi romani che l’indagine avrebbe dovuto essere tombata per evitare l’acquisizione di notizie di indagine. Ecco perché anche nelle fasi d’indagine, sul lato materiale del posizionamento di cimici, le forze dell’ordine territoriali, come accade di solito, non furono avvertite. Nessuno doveva sapere dell’indagine, se non coloro che la stavano compiendo.