‘NDRANGHETA, 65 ARRESTI: LA LOCALE DI ANZIO-NETTUNO TRA DROGA E RIFIUTI

‘Ndrangheta tra Anzio, Nettuno e il litorale sud capitolino: secondo la DDA il capo della locale è un uomo affiliato ai Gallace, l’altro fa parte della famiglia di Guardavalle

Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, con l’ausilio dei Comandi Provinciale di Reggio Calabria, Latina, Rieti, Viterbo e dello Squadrone “Cacciatori Calabria”, nella mattinata di oggi 17 febbraio, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale Livio Sabatini, nei confronti di 65 persone (39 in carcere c 26 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata at traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.

Più in particolare – come spiga la nota diffusa agli organi d’informazione -, nel corso della attività di indagine, avviata nel 2018 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma con il coordinamento della DDA della Procura capitolina, sono stati raccolti elementi gravemente indiziari in ordine alla esistenza, nell’ambito della ‘ndrangheta – operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria e delle altre province calabresi, sul territorio di diverse altre regioni italiane (Lazio, Lombardia, Emilia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta) e sul territorio estero (Svizzera, Germania, Canada, Australia), costituita da molte decine di locali e con organo collegiale di vertice denominato “la Provincia” – di una articolazione operante sul territorio dei comuni di Anzio e Nettuno (denominata locale di Anzio e Nettuno, “distaccamento” dal locale di Santa Cristina d’Aspromonte, ma composto in gran parte anche da soggetti appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle), avvalendosi della forza di intimidazione che scaturisce dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che si sono create sul territorio.

Gli scopi della locale tra Anzio e Nettuno erano molteplici: acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche nei più svariati settori (ad esempio ittico, della panificazione, della gestione e smaltimento dei rifiuti, del movimento terra); commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuate, contro la pubblica amministrazione e in materia di armi e stupefacenti; affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe e mediante infiltrazioni nelle amministrazioni comunali; infine, di procurarsi ingiuste utilità.

Gravemente indiziato di essere a capo della locale struttura criminale è Giacomo Madaffari e farebbero parte di essa anche diversi soggetti appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Guardavalle (Catanzaro): Gallace, Perronace, Tedesco. Il nome Madaffari, peraltro, rientrò indirettamente in un arresto eseguito a dicembre 2020 dal Reparto Territoriale dei Carabinieri di Aprilia. In quell’occasione fu arrestato il compagno della figlia con tre chili di hashish, armi e contanti. Madaffari, peraltro, finito nel mirino dell’Antimafia anche per alcuni suoi rapporti con ex assessore e consigliere comunale di Anzio: Patrizio Placidi e Marco Maranesi a cui avrebbe prestato soldi poi restituiti in nero. Il consigliere Maranesi disse ai cronisti che riportavano la notizia di fare sciacqui orali con l’acido muriatico.

Era così descritto dal Gip del Tribunale di Velletri in un’ordinanza del 2018: “Noto pregiudicato di origine calabrese, già sottoposto a misura di prevenzione personale, nonché gestore di fatto del bar Scarcella conosciuto come il bar dei calabresi, e della concessionaria di auto usate sita in via delle Cinque Miglia”. Un collaboratore di giustizia, Paolo Bacchiani, ne delineava un importante aspetto che lega i Madaffari ai Gallace: ”Il punto di incontro dei Gallace quando li frequentavo io era il bar Scarcella di tale Giacomino”.

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Tornando alle indagini odierne, emergerebbero gravi indizi dell’esistenza di due associazioni finalizzate al narcotraffico, una capeggiata, per l’appunto, da Giacomo Madaffari e l’altra da Bruno Gallace, dotate di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, nonché delle capacità di approvvigionare e importare dal Sud America ingenti quantitativi di cocaina. Bruno Gallace, a novembre 2020, fu coinvolto in un’indagine che abbracciò anche il territorio di Aprilia interessando anche sei persone della seconda città della provincia.

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Gli sviluppi investigativi che hanno portato agli arresti odierni hanno consentito di ricostruire in termini di gravità indiziaria due aspetti più rilevanti tra gli altri. Il primo è l’importazione dalla Colombia e l’immissione sul mercato italiano di 258 kg di cocaina, avvenuta nella primavera del 2018, tramite un narcotrafficante colombiano, disciolta nel carbone e successivamente estratta all’interno di un laboratorio allestito per la circostanza nel territorio a sud di Roma. Parte della sostanza stupefacente, pari a circa 15 kg, è stata rinvenuta, a seguito di una perquisizione domiciliare, all’interno di una valigia che era stata occultata presso l’abitazione della sorella di uno degli appartenenti al sodalizio, la quale è stata in seguito arrestata.

Il secondo è il progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 kg di cocaina occultata a bordo di un veliero: a tal fine il sodalizio aveva avviato i lavori di ristrutturazione all’estero del natante (che in origine era utilizzato per regate transoceaniche) per poi concordare le operazioni di carico portuale in acque sudamericane e pianificare le attività di scarico e custodia della sostanza stupefacente in Italia. Tuttavia, l’operazione non fu portata a termine perché erano venuti a conoscenza di attivitò investigative in corso nei riguardi di appartenenti al sodalizio (tra gli arresti odierni anche due militari dell’Arma ritenuti infedeli).

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Le misure cautelari di oggi sono state adottate anche per il reato di traffico organizzato di rifiuti, in relazione all’abusiva gestione di ingenti quantitativi di liquami che sarebbero stati scaricati nella rete fognaria comunale attraverso tombini, alcuni dei quali realizzati ad hoc all’interno della sede di attività imprenditoriali facenti capo agli indagati sul territorio di Anzio. Le quote, l’intero patrimonio aziendale, i conti correnti e le autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali sono state sottoposte a sequestro preventivo.

Dalle attività di indagine – sottolinea la nota della DDA di Roma – sono emersi elementi circa il reperimento di informazioni riservate da parte di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine. Come accennato, infatti, le indagini svolte dai Carabinieri su due militari, appartenenti ad una delle caserme del litorale, hanno evidenziato gravi indizi in ordine alla rivelazione di informazioni riservate a favore del sodalizio di tipo mafioso. Entrambi destinatari della misura cautelare (uno agli arresti domiciliari e l’altro in carcere), sono gravemente indiziati di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, nonché, uno dei due, di concorso esterno in associazione mafiosa.

Sono attualmente in corso anche attività di perquisizione presso gli uffici comunali di Anzio e Nettuno tese a ricercare documentazione utile alle indagini.

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