SISTEMA LOLLO: NEMMENO CON LA LEGGE SPAZZACORROTTI CI SARÀ IL CARCERE

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Tribunale di Latina
Tribunale di Latina

Era marzo del 2015 quando, a Latina, come titolarono tutti gli organi di stampa locali, ci fu un vero e proprio terremoto. Che non incideva sulla crosta terreste, ma decisamente sulla credibilità della giustizia e, in particolare, del Tribunale pontino.
Un “consolidato sistema corruttivo”, spiegò la Questura di Latina, che fece scattare l’operazione di polizia e conseguenti arresti (otto) nell’ambito di un’indagine coordinata dalle Procure di Latina e Perugia, poiché, quest’ultima, è competente per i reati afferenti ai magistrati di Latina. 
Il magistrato coinvolto, come noto, era Antonio Lollo, divenuto ormai, e immediatamente già da allora, il simbolo di un potere giudiziario malato.

Gianluca Tuma
Gianluca Tuma

Lo sdegno dei cittadini fu unanime, persino Gianluca Tuma, un pezzo grosso del mondo di sotto pontino, dichiara in un’intercettazione finita nell’indagine Don’t Touch (2015), in cui è stato condannato nel relativo processo per intestazione fittizia di beni, la sua indignazione per uno dei protagonisti dell’affaire Lollo, il commercialista Gatto il quale avrebbe dato cattive referenze sul suo conto a Ciavolella, il promoter infedele di Latina accusato da molti risparmiatori di aver sottratto somme ingenti di danaro che doveva essere invece investito, con cui il Tuma dice di aver costituito in passato una società.
Ebbene Gianluca Tuma, dopo che lo scandalo Lollo era finito su tutti i giornali (Don’t Touch, l’indagine che invece ha colpito lui è di pochi mesi dopo), dice che di Gatto non se lo sarebbe proprio immaginato ma che, in fondo, lo vedeva un “tipo strano“.
Al di là di questo giudizio che lascia il tempo che trova, sopratutto per la fonte di chi lo pronuncia, nel Lollogate di cose “strane” ne sono accadute fin troppe e, purtroppo, ne potrebbe accadere una che di strano e, sopratutto insopportabilmente ingiusto, ha tutti i crismi.
Ma andiamo con ordine.

IN BREVE LA STORIA DEL LOLLOGATE

Tra le le persone arrestate, quattro finirono in carcere e quattro ai domiciliari. Si trattava, per l’appunto, del giudice della sezione fallimentare del Tribunale, Antonio Lollo, dei commercialisti Marco Viola, Vittorio Genco e Massimo Gatto (su cui dopo torneremo). Ai domiciliari la moglie del magistrato Antonia Lusena, e sua madre, nonché cognata del giudice Lollo, Angela Sciarretta, già vice questore in servizio come dirigente nella Questura di Latina. Colpiti con i domiciliari furono anche un imprenditore, Luca Granato e, assestando altri due colpi all’autorevolezza delle Istituzioni, un sottufficiale della Guardia di Finanza in servizio in Procura, Roberto Menduti (indagato anche l’altro finanziere Franco Pellecchia, poi assolto), uno dei tanti esempi di infiltrazioni che agevolano la criminalità a Latina e pronvincia, e una cancelliera del Tribunale, Rita Sacchetti.

I reati contestati furono molti: dalla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all’induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d’asta, al falso e alla rivelazione di segreto nonché all’accesso abusivo a sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Inoltre, furono applicati ingenti sequestri relativi ai profitti di reato, come denaro cash e oggetti preziosi per un valore di oltre il milione di euro.

Tanti i professionisti citati, sia di Latina che della provincia, tra commercialisti, architetti, avvocati, poiché destinatari degli incarichi che il giudice distribuiva; tante le aziende penalizzate da un sistema dei fallimenti malato poiché pilotato: Cedis Izzi, Desca, Fratelli Olivieri, Eredi Mandara, Villa Gianna, Cantieri Navali Rizzardi Holding srl, Evotape Packaging srl, Casale Immobiliare, Costruzioni Paoloni, Electronics Italia, Mirasole, Copredil, Desca, Poseidon, Gaeta Itticoltura, Select Pharma, Frigomarket Pacifico ecc.

Le indagini coordinate dal Procuratore Aggiunto Antonella Duchini, della Procura di Perugia, e dall’allora Procuratore Aggiunto Nunzia D’Elia, della Procura di Latina, iniziarono in ragione di una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica di Latina, in cui si ventilavano notizie di reato inerenti a una bancarotta collegata a un procedimento di concordato preventivo.

Tommaso Niglio
Tommaso Niglio

Gli accertamenti della Squadra Mobile dell’allora ex vicequestore, il rimpianto Tommaso Niglio, fecero emergere quel “consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice (ndr: Lollo) nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest’ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso“.
Lollo, in soldoni (un’espressione che in questo caso non è vagamente metaforica), concedeva incarichi ai consulenti liquidando parcelle più alte e facendosi restituire, a seconda dei casi, una cospicua percentuale. 

Non meno gravi il sistema di illeciti che fu predisposto per influenzare lo svolgimento delle aste disposte dal Tribunale di Latina “per la vendita di beni oggetto di liquidazione nelle procedure concorsuali” e la manomissione del sistema informatico della Procura per eludere le indagini avendo scoperto, la Squadra Mobile di Latina che conduceva materialmente le indagini, le “reiterate attività di accesso abusivo al sistema informatico del Registro Generale della Procura della Repubblica di Latina, al fine di consentire ad alcuni soggetti sottoposti ad indagine di poter evitare le attività investigative a loro carico, attraverso la conoscenza di dati coperti da segreto istruttorio“. Un problema, quello di alcune opacità all’interno delle Istituzioni (in particolare della Procura, del Tribunale e delle Forze dell’Ordine) o malgrado esse, che Latina Tu ha già evidenziato per altri casi, sicuramente affini, e comunque gravi, come quelli raccontati in Latina, le verità nascoste e in Bastarda Pontina parte III.

Antonio Lollo
Antonio Lollo (foto da Il Messaggero)

In 4 anni, da quando fu resa pubblica la notizia dell’indagine e degli arresti, è successo di tutto e di più: retroscena grotteschi e servili (regalie a Lollo trattato dalla sua schiera come un Don Rodrigo de noantri), colpi di scena pindarici (uno degli indagati, l’imprenditore Davide Ianiri, coinvolto nel concordato del Consorzio Costruttori Pontini, restituì la somma di 400 mila euro recuperandola dal Brasile dove l’aveva trasferita), rese incondizionate (Lollo collaborò immediatamente rivelando le dinamiche e ulteriori nomi, alcuni dei quali omissati dagli inquirenti), vasi di Pandora non ancora del tutto scoperchiati, altri filoni di indagini (ad esempio quello che ha coinvolto di nuovo l’architetto Fausto Filigenzi per aver retrocesso a Lollo alcune somme nell’ambito di incarichi ricevuti come stimatore e Ctu, in dieci procedure differenti tra cui i fallimenti del gruppo Cedis Izzi e del caseificio Eredi Mandara) e, sopratutto, il patteggiamento (febbraio 2018) del maggiore imputato Antonio Lollo che ha limitato i danni, evitando il carcere (se si escludono i giorni di custodia cautelare), con una condanna a 3 anni e 6 mesi per il reato più odioso in capo a un appartenente alla magistratura (da cui prontamente e strategicamente Lollo si dimise a scandalo rivelato): la corruzione in atti giudiziari.

Circa un mese fa, a febbraio del 2019, è andata in scena al Tribunale di Perugia l’ultima (per ora) puntata del processo sui fallimenti pilotati. Il giudice del Tribunale di Perugia, Piercarlo Frabotta, ha condannato, per corruzione e per alcuni dei reati contestati, Fausto Filigenzi a 2 e 6 mesi di reclusione, con relativa interdizione dai pubblici uffici e confisca di quasi 175mila euro; Luigi Fioretti a 2 anni di reclusione (pena sospesa), con interdizione dai pubblici uffici e la confisca di 25mila euro; il finanziere Roberto Menduti a 1 anno e 2 mesi (pena sospesa).

Elvio Di Cesare, segretario nazionale dell’Associazione Antimafia Caponnetto

Assolti altri indagati come il commercialista Andrea Lauri, l’avvocato Vincenzo Manciocchi e, come detto, l’altro finanziere coinvolto Franco Pellecchia. Ai patteggiamenti, sono stati condannati i commercialisti Marco Viola, Massimo Gatto e Vittorio Genco e, poi, Antonia Lusena e Angela Sciarretta. 3 anni e 3 mesi per Viola, 3 anni e 8 mesi per Gatto, 3 anni per Genco, 1 anno e 6 mesi per Lusena e 1 anno e 4 mesi per Sciarretta. Fuori dagli esiti del Tribunale di Perugia, poiché hanno scelto di affrontare il processo con rito ordinario al Tribunale di Latina (si ipotizza abbiano commesso reati non in concorso con Lollo e quindi la competenza non è più di Perugia), i commercialisti Raffaele Ranucci e Marco Rini, l’imprenditore Gianluca Abbenda e la cancelliera del Tribunale di Latina, Rita Sacchetti. Accolte dal Tribunale perugino le domande di risarcimento della Fallimento Casale immobiliare e dell’Associazione Caponnetto di Elvio Di Cesare per circa 20mila euro.

TANTO RUMORE PER NULLA: NESSUNO ANDRÀ IN CARCERE PER SCONTARE LA PENA

Come riportato dai giornali locali, per alcuni imputati del processo di Perugia, le richieste di patteggiamento che hanno superato i tre anni dovrebbero portare i commercialisti Marco Viola, Massimo Gatto e Vittorio Genco in carcere, per via della nuova Legge Anticorruzione pubblicata come la numero 13 in Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2019 e intitolata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici“, al secolo il decreto Spazzacorrotti. 

Secondo la Spazzacorrotti non è più possibile l’assegnazione del lavoro all’esterno oppure ricevere permessi premio o misure alternative per chi ha subito una condanna per reati contro la pubblica amministrazione. Ossia il caso dei commercialisti Gatto, Viola e Genco che, nonostante abbiano impugnato la sentenza relativa alle pene accessorie, dovrebbero finire in carcere avendo patteggiato a febbraio del 2019 dopo l’entrata in vigore del decreto, a differenza di Antonio Lollo che invece ha scampato il pericolo avendo patteggiato nel febbraio 2018, prima dell’introduzione del nuovo regime legislativo. 

Ma è nei dettagli che il diavolo nasconde la sua coda. Infatti, la “legge Spazzacorrotti” voluta dal ministro della Giustizia Bonafede pare caratterizzarsi di quella che il giornalista del Corriere della Sera, Luigi Ferrarella, definisce “un’abborracciata tecnica legislativa“, non avendo previsto una disposizione transitoria per la nuova norma che “destina obbligatoriamente al carcere i condannati definitivi per reati contro la pubblica amministrazione dal 31 gennaio, non permettendo più a loro in stato di libertà di chiedere ai Tribunali di Sorveglianza di scontare la propria pena in una misura alternativa al carcere“. Per l’appunto proprio come i commercialisti pontini Genco, Viola e Gatto.

Roberto Formigoni
Roberto Formigoni, ex Governatore della Regione Lombardia per quattro consiliature consecutive

Sin qui nulla di nuovo. Della summenzionata mancanza di una disposizione transitoria se ne sta discutendo da qualche settimana. Ma c’è una novità.
Proprio la scorsa settimana è arrivato il primo caso che certifica concretamente i dubbi sulla disposizione transitoria
A Como, una giudice delle indagini preliminari, dr.ssa Luisa Lo Gallo, ha ritenuto la norma che punisce i condannati per reati contro la Pubblica Amministrazione non applicabile retroattivamente ai cosiddetti colletti bianchi che dovessero iniziare a scontare la pena per reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge peggiorativa (come ad esempio è toccato all’ex presidente della Regione Lombardia, Formigoni, dopo i 5 anni e mezzo definitivi per corruzione). In sede di incidente di esecuzione la gip Lo Gallo, accogliendo la lettura del professor Vittorio Manes e dell’avvocato Paolo Camporini, ha pertanto sospeso l’ordine di esecuzione e ordinato al pm Daniela Moroni di scarcerare tal Alberto Pascali, un avvocato condannato a 4 anni in via definitiva per peculato il 13 febbraio 2019, entrato giovedì in carcere a Bollate (Milano), e che ora avrà 30 giorni per provare (da libero) a chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Tribunale di LatinaCome riporta Luigi Ferrarella: “alle prese con la questione se le norme dell’ordinamento penitenziario, quando cambiano pesantemente le carte in tavola, abbiano natura processuale (e quindi si applichino nel momento in cui entrano in vigore) o sostanziale (e dunque non siano retroattive se sono più sfavorevoli), la giudice (ndr: Lo Gallo) non si nasconde che negli anni scorsi la giurisprudenza maggioritaria ha sposato la tesi processuale. Ma questa è una truffa delle etichette. Perché quelle che con interpretazione «ancorata a un approccio formalistico» vengono «considerate norme meramente processuali» (in quanto attinenti alla modalità di esecuzione della pena e non alla sua entità o alla cognizione del reato), «in realtà sono norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena» e «in modo significativo sulla libertà personale» del soggetto. Ambito nel quale la garanzia di non retroattività, indica la giudice richiamando una «efficace espressione» della Consulta nel 2010, «impone di non sorprendere la persona con una sanzione non prevedibile al momento della commissione del fatto.

Un provvedimento che appare tombale per chi avrebbe voluto ottenere giustizia e che, con tutta probabilità, servirà anche ai condannati del caso Lollo per evitare il carcere. Per carità sono le leggi e i diritti costituzionali a dover essere garantiti. A tutti. Eppure la vicenda del Lollogate è stata dirompente, per la gravità del coinvolgimento di un giudice, per la messa in mora da parte dei cittadini nei confronti della credibilità di uno dei tre poteri dello Stato, per la sensazione di avere a che fare con intere classi di professionisti (commercialisti, avvocati, architetti, imprenditori) squalificati e attenti solo al lucro. E rischiano di essere ancor più dirompenti gli esiti della stessa vicenda: la sensazione forte di aver sporcato indelebilmente con una macchia la tenuta della giustizia che, se così dovesse essere, è stata negata a una città e una provincia intere.
Solo sensazioni si dirà, come più che una sensazione che nelle sezioni fallimentari del centro sud il fenotipo Lollo non è una monade infettata, una mela marcia, piuttosto una regola.
Nessuna sensazione invece, piuttosto un’amara verità, vi sarebbe se si concretizzasse un tale vulnus di giustizia: nessuno dei cavalieri dell’apocalisse Lollo condannati sconterà un solo giorno di galera per la pena che hanno loro comminato.
E questa sì che sarebbe difficile da spiegare a un/a giovane adolescente che vuole fare il magistrato.

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