L’assonanza con Mafia Capitale non è ancora compiuta, ma poco ci manca. La corte d’Appello di Roma non ha ritenuto di confermare l’aggravante del metodo mafioso nei confronti dei fratelli Di Silvio, Samuele e Ferdinando detto “Pupetto” (difesi dall’avvocato Oreste Palmieri), quelli che, per orientarci nell’universo variegato dei clan sinti, sono considerati ai vertici del clan capeggiato da Armando “Lallà” Di Silvio sgominato con l’operazione Alba Pontino (giugno 2018).
Condannati per estorsione con l’aggravante mafiosa nel gennaio 2019, Samuele a 8 anni, Pupetto (in realtà, nonostante il soprannome, uno “zingaro alto due metri” come ebbe a definirlo Agostino Riccardo alla DDA di Roma) a 9 anni, oggi l’Appello quasi dimezza loro la pena diminuendola fino a 5 anni di reclusione per entrambi, ponendo le basi per un ridimensionamento, oltreché delle contestazioni dei sostituti procuratori Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro, anche delle future sentenze di secondo grado per il processo principale “Alba Pontina”, di cui proprio qualche giorno fa sono state depositate le motivazioni.
Ma che cosa c’entra questo processo per estorsione ai danni di un ristoratore di Sermoneta con l’impianto di Alba Pontina? C’entra eccome poiché da questa estorsione, che definimmo “estorsione madre”, partì poi, a catena, tutta l’indagine poi comunemente conosciuta come Alba Pontina. E non solo: da questa estorsione, consumatasi tra l’agosto e il settembre 2016, iniziò ufficialmente la collaborazione con le forze dell’ordine di Renato Pugliese (il figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio), il primo pentito della storia di Latina città, e quella del suo ex sodale Agostino Riccardo.
A Sermoneta, in quel tempo, i quattro estortori erano Riccardo, Pugliese, Pupetto e Samuele Di Silvio, che furono effettivamente arrestati per il reato ai danni del ristoratore di Sermoneta/Monticchio, nonostante l’indagine rischiasse seriamente di saltare a causa di una inquietante soffiata che vi abbiamo raccontato e che sinistramente partì dal centralino della Guardia di Finanza di Palazzo M. A chiamare fu Antonio Fusco, detto Zi Marcello, un personaggio che è rimasto nell’oscurità anche nel proseguo del processo che ha visto alla sbarra il clan di Lallà Di Silvio.
È chiaro che le dinamiche giuridiche non sono matematica e non possiamo dire con certezza che la sentenza odierna inficerà certamente sulla conferma o meno dell’aggravante mafiosa dei condannati di Alba Pontina – tra cui gli stessi Samuele e Pupetto – ma quella che all’inizio abbiamo chiamato una quasi assonanza con Mafia Capitale/Mondo di Mezzo non può escludersi che si muti in una rima vera e propria.
Un rospo difficile da mandar giù per gli inquirenti, ma sopratutto per i tanti cittadini del capoluogo di provincia che, finalmente, dopo anni, avevano visto porre all’attenzione un tema cruciale per Latina: i Di Silvio sono mafia, che lo dica una sentenza o meno.