PROPAGANDA RAZZIALE CONTRO I ROM DI CASTEL ROMANO: TUTTO DA RIFARE PER IL PROCESSO A LATINA

La Polizia di Roma Capitale nel campo rom di Castel Romano
La Polizia di Roma Capitale nel campo rom di Castel Romano

Insulti social a sfondo razziale sotto il post sul campo nomadi di Castel Romano: tutto da rifare per il processo a carico di cinque persone

Era stata rinviata a oggi, 12 gennaio, l’udienza del processo che vede alla sbarra cinque persone accusate dall’allora sostituto procuratore di Latina, Claudio De Lazzaro, di aver commesso il reato 604 bis del codice penale. Si tratta della fattispecie di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa.

Le cinque persone – tre uomini e due donne, rispettivamente di 55, 69, 52, 58 e 74 anni, tutti del capoluogo di provincia – sono state individuate dalla Polizia Postale di Latina come gli autori dei commenti a sfondo razziale scritti sotto un post pubblicato sulla pagina Facebook “Latina Degrado Urbano (versione non politicizzata)”. I cinque haters avevano infatti commentato un articolo, postato sul gruppo Facebook pontino, dal titolo del sito d’informazione locale “Latina Quotidiano”: “Campo Nomadi a Castel Romano, si attendeva l’esercito ma arriva lo sgombero. La Regione incalza”.

Violenti e di questo tenore i commenti degli accusati: “Bruciateli e buttategli il napalm”, in riferimento al campo nomadi di Castel Romano. Frasi aggressive che sono state poi girate contro, anche nei confronti di un’altra utente che ha provato a stigmatizzarle, tanto che quest’ultima è ritenuta parte offesa dalla Procura di Latina.

Fatto sta che il processo, che era già alla seconda udienza, poiché vi erano stati difetti di notifica nei confronti degli imputati, non è neanche partito. Uno degli avvocati difensori, Cannatelli, ha fatto notare al giudice monocratico del Tribunale di Latina, Daniela Puccinelli, che il reato contestato, per l’appunto quello del 604 bis, non può essere giudicato che da un tribunale in composizione collegiale. È il codice a prevederlo.

In sostanza, il tipo di reato di cui sono accusati i cinque soggetti deve essere contestato dalla Procura non tramite un decreto di citazione diretta a giudizio, ma attraverso una richiesta di rinvio a giudicio che prevede prima una udienza preliminare e, in seconda istanza, se mai dovessero esserci rinvii a giudizio, un collegio di tre giudici e non di un monocratico.

Ecco perché, dopo una non breve e difficoltosa verifica, il giudice monocratico ha dovuto convenire con il collegio difensivo – composto dagli avvocati Santi, Leonardi, De Simone, Gullì, Abballe, Cannatelli e Faralli – e rinviare così di nuovo gli atti al Pubblico Ministero che, per la cronaca, non è più in servizio presso Via Ezio.

Tutto da rifare, insomma, in attesa che la Procura chieda il rinvio a giudizio, si svolga una udienza preliminare e poi l’eventuale processo a carico degli accusati (sempre che il giudice per l’udienza preliminare ritenga che vi siano gli estremi). Con buona pace della lotta alla propaganda razzista.

Un caso molto simile a quello che ha interessato Valerio Catoia, il ragazzo con sindrome di down raggiunto dagli insulti degli haters. Anche in quel caso, solo dopo qualche udienza, ci si è accorti che il procedimento non poteva essere di competenza di un giudice monocratico, ma deve passare necessariamente da una udienza preliminare e, solo dopo, nell’eventuale processo davanti a un collegio di tre magistrati.

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