Processo Scheggia: oggi ascoltato in Aula come testimone il Dirigente della Squadra Mobile di Latina Giuseppe Pontecorvo
Si è arrivati all’ultimo testimone dell’accusa del processo Scheggia che vede sul banco degli imputati per estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, più gli illeciti connessi alle amministrative di Terracina 2016, tutti aggravati dal metodo mafioso, Gina Cetrone, l’ex marito Umberto Pagliaroli, e i tre Di Silvio – Armando detto Lallà e i figli Gianluca e Samuele. Più l’attuale collaboratore di giustizia Agostino Riccardo il cui ruolo, nelle accuse, è stato decisivo per indagine e processo. E le cui interlocuzioni con gli accusati, come si vedrà, costituiscono tuttora motivo di scontro tra difesa e accusa.
Ad essere escusso dal Pm Luigia Spinelli, come detto, il Dirigente della Squadra Mobile Giuseppe Pontecorvo che ha guidato i suoi uomini nell’indagine, originata dall’inchiesta madre denominata “Alba Pontina”, la quale ha portato a contestare l’abbraccio d’interessi incrociati tra l’allora esponente politica del centrodestra Gina Cetrone, il suo ex marito Umberto Paglliaroli e il Clan Di Silvio; una definizione, quella di Clan, che, in Aula, è stata contestata dall’avvocato di Armando “Lallà” Di Silvio, Oreste Pamieri, non essendoci ad oggi sentenze passate in giudicato che definiscano la famiglia rom un’associazione mafiosa. Se non fosse che c’è almeno una sentenza definitiva che riguarda i due collaboratori di giustizia Agostino Riccardo e Renato Pugliese e una di secondo grado che, almeno nel merito, ha condannato i figli di “Lallà”.
Tornando all’udienza odierna, Pontecorvo, interrogato dal Pm Spinelli, ha spiegato la genesi dell’indagine che si basa su due informative (2019 e 2020), sulle dichiarazioni dei “pentiti” Pugliese e Riccardo, oltreché a quelle dell’ex indagato per “Alba Pontina” Gianluca D’Amico, alle sommarie informazioni della persona offesa (l’imprenditore pescarese che sarebbe stato estorto) e ai riscontri di tabulati telefonici e chat Facebook.
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Ed è proprio sulle chat Facebook che, oggi, si è consumato lo scontro in Aula tra accusa e difesa. L’avvocato di Pagliaroli, Domenico Oropallo, ha obiettato che gli screenshot scaturiti dalle chat Facebook di Riccardo (è stato lui a fornire agli investigatori user e password) non potevano essere utilizzate in dibattimento. Secondo l’avvocato Oropallo, vi sarebbe una circostanza per cui il 6 settembre 2021, ossia il giorno prima che il Dirigente della Mobile Pontecorvo avrebbe dovuto essere escusso (in seguito la testimonianza è slittata a oggi 28 settembre), il materiale delle chat è stato prodotto dalla Squadra Mobile di Latina con una nota di trasmissione inviata alla Procura. Secondo il legale, si è trattato di una violazione del diritto di difesa, anche perché il materiale delle chat suddette, in cui Riccardo parlava con Pagliaroli e Gina Cetrone, non sarebbe stato presente nel fascicolo del Pm. In sostanza, Pontecorvo, in questo modo, avrebbe interloquito con l’accusa e, secondo l’avvocato, non avrebbe potuto farlo: era il Pm che avrebbe dovuto rifiutarsi.
Al che il Collegio presieduto dal giudice Caterina Chiaravalloti (a latere i giudici Valentini e Villani) si è ritirato per decidere sull’opposizione che, alla fine, dopo più di mezz’ora, è stata rigettata così che il Pm Spinelli ha potuto continuare a interrogare il Dirigente della Mobile Pontecorvo.
Ma perché la diatriba sulle chat Facebook? Il motivo è desumibile dal fatto che, in quelle chat, Riccardo interloquisce sia con Pagliaroli ma soprattuto con Cetrone e lo fa sia per quanto riguarda l’estorsione nei confronti dell’imprenditore pescarese eseguita, secondo la DDA, per conto di Cetrone, sia per l’organizzazione della campagna elettorale laddove, come ha ricordato in Aula Pontecorvo, Cetrone spiegava a Riccardo, persino un anno prima delle amministrative di Terracina nel 2016, che si sarebbe candidata. Un’elezione che, secondo gli investigatori, ha visto Cetrone, servita dietro compenso nell’attacchinaggio dei manifesti e nelle minacce nei confronti di coloro i quali osassero occupare spazi elettorali, dal boss Armando “Lallà” Di Silvio il cui referente a Terracina, nel 2016, era proprio Riccardo che coordinava la campagna elettorale per le Comunali di Terracina 2016.
Imbarazzante il contenuto di alcune intercettazioni lette in Aula, nonostante almeno una sia un paradosso e senza dubbio una battuta. Cetrone, a giugno 2015 (un anno prima delle elezioni), infatti, scrive a Riccardo che “è meglio che mi candido io e la famo finita“. E, ancora, rivolta a Riccardo: “Nomino te come assessore alle politiche sportive…così Maietta deve vedersela con te“. Letture delle intercettazioni da parte di Pontecorvo contestate anch’esse dal collegio difensivo secondo il quale non potrebbero essere citate. Da parte sua, il Dirigente della Mobile ha ricordato, insieme al Pm Spinelli, che la lettura serviva per far capire il contesto e i rapporti di interlocuzione tra Cetrone e appartenenti al Clan Di Silvio. Rapporti che si evincono anche dai riscontri dei tabulati telefonici e dalle celle che sono state rilevate a Pescara quando il sodalizio Di Silvio, insieme a Pagliaroli, si reca in Abruzzo per far sì che il bonifico riferibile all’estorsione contro l’imprenditore del luogo si concretizzi.
Non mancano altre circostanze per quanto riguarda la campagna elettorale come quando, secondo quanto riportato dal Dirigente della Mobile, Pagliaroli invia una foto del manifesto elettorale dell’allora moglie ad Armando Di Silvio detto “Lallà”. E i rapporti sono dimostrabili, secondo l’accusa, da un’altra chat in cui lo stesso Pagliaroli, rispondendo a Riccardo, sostiene che il bonifico – frutto dell’estorsione che si sarebbe consumata -, eseguito in una filiale della Bper dall’imprenditore pescarese, non era ancora arrivato.
Dopo circa tre ore di udienza, il processo è stato aggiornato al prossimo 9 novembre (ore 14,30). Il Pm Spinelli continuerà a interrogare il Dirigente Pontecorvo e in seguito sarà la volta della difesa che contro-interrogherà il Capo della Mobile di Latina.