PROCESSO A CETRONE: PUGLIESE INSULTATO DAI DI SILVIO. L’EX CONSIGLIERA PUNTA IL DITO SU IANNOTTA

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Gina Cetrone
Gina Cetrone

Processo Scheggia: sul banco degli imputati l’ex consigliera regionale Gina Cetrone che è intervenuta dopo la deposizione del collaboratore di giustizia Renato Pugliese

Costola dell’inchiesta Alba Pontina, il processo denominato “Scheggia” vede alla sbarra, a vario titolo, per estorsioneatti di illecita concorrenza e violenza privata, più gli illeciti connessi alle amministrative di Terracina 2016, aggravati dal metodo mafioso, l’ex consigliere regionale del Pdl Gina Cetrone, il suo ex marito Umberto Pagliaroli, Armando “Lallà” Di Silvio e i figli Gianluca e Samuele. Questi ultimi tre processati anche nel processo “centrale”, “Alba Pontina”. Come noto, i figli Gianluca e Samuele hanno già rimediato, col rito alternativo, condanne in Appello.

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Oggi, nella Corte d’Assise del Tribunale di Latina, di fronte al collegio giudicante presieduto dal giudice Francesco Valentini, parlava il pentito Renato Pugliese in collegamento da una località segreta.
E come prevedibile non sono mancate tensioni in Aula, se non veri e propri scontri verbali tra il figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio e i due Di Silvio di Campo Boario, Armando “Lallà” e Samuele Di Silvio.

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In realtà, più che di scontro, si può parlare di insulti ricevuti da Pugliese che aveva appena delineato il quadro del potere territoriale dei clan a Latina e, nello specifico, della famiglia di Lallà. Una famiglia, come ribadito in altre circostanze, che aveva la capacità di suggestionare persino un boss della mala latinense come Angelo Travali (imparentato con i Casamonica e dai molteplici rapporti con la camorra e i sodalizi albanesi e rumeni), costretto a pagare in soldi e droga il fatto che sua madre, Maria Grazia Di Silvio, aveva denunciato, anni prima, i Di Silvio di Campo Boario dopo l’episodio della “fuitina” tra una figlia di Lallà, Sara Genoveffa, e uno dei suoi figli Alessandro Anzovino.

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A far scattare Samuele Di Silvio, però, non è stato l’argomento centrale dell’udienza odierna raccontato da Pugliese – l’attacchinaggio dei manifesti per l’elezione di Gina Cetrone per farla eleggere come consigliere comunale a Terracina – ma il racconto, già menzionato nel processo Alba Pontina più volte, del violento litigio scoppiato il 26 febbraio 2016 quando la famiglia di Lallà Di Silvio si scagliò contro un non precisato componente della famiglia Ciarelli il quale aveva osato prendere in affitto una casa proprio a Campo Boario, territorio che i Di Silvio giudicano da sempre sotto il loro controllo e quindi inviolabile da altri appartenenti della “mala” pontina. Lo stesso Pugliese ha parlato di Campo Boario come zona off limits, scommettendo che anche ad oggi, novembre 2020, nessuno si permetterebbe, a Latina, di spacciarvi anche mezzo grammo di “fumo”.

Pugliese, nel ricordare l’episodio del litigio, dopo precisa domanda del sostituto procuratore Luigia Spinelli (l’inchiesta, come noto, è stata coordinata dalla DDA romana e portata avanti dalla Squadra Mobile di Latina), ha rammentato di come nascose una pistola e 10 grammi di cocaina, con l’aiuto di Agostino Riccardo e una delle figlie di Lallà, quando ad alterco in corso tra i Ciarelli e i Di Silvio, sul posto erano arrivate le Volanti della Polizia. Citati anche gli eventuali due colpi di pistola che sarebbero stati esplosi per una lite che era iniziata a Via Muzio Scevola ed era continuata al Pantanaccio, zona da sempre ritenuta dai Ciarelli “roba loro”. Circostanza che, però, fu smentita all’epoca anche dalla stessa Questura di Latina.

Al che Samuele Di Silvio, interloquendo via audio-video con una cadenza vagamente campana, ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee e, pieno di rabbia, non solo ha insultato Renato Pugliese definito, come disse Lallà durante l’interrogatorio del processo Alba Pontina, “un bugiardo e un malfattore“, ma ha rincarato la dose sostenendo che l’ex amico è un “drogato che va a transessuali“. Bugiardo e drogato come Agostino Riccardo, naturalmente, ci ha tenuto a precisare Samuele Di Silvio che ha inoltre cercato di denigrare i due, ricordando che li chiamavano, all’epoca, uno, Pugliese, “Er Pomata”, l’altro, Riccardo, “Er Mandrake”. Secondo il figlio di Lallà, che da tutti, e nei fatti processuali che lo hanno coinvolto negli anni, è sempre uscito fuori come un violento e aggressivo, l’operazione Alba Pontina avrebbe dovuto chiamarsi “Febbre da Cavallo” come il film comico del compianto Gigi Proietti.

Infatti, ha aggiunto Samuele Di Silvio, loro stessi al massimo sono dei “piccoli truffatori” (“lo abbiamo nel Dna”), “quattro zingarelli” e che lui si sta facendo il carcere “solo per quello stronzo di mio fratello“. Il riferimento è a Ferdinando Pupetto Di Silvio, già condannato nel processo romano di Alba Pontina in secondo grado, il quale, a detta di Samuele, avrebbe “fatto sesso con la moglie di Agostino Riccardo e c’ha provato con quella di Renato Puglese“. Per Samuele Di Silvio, quindi, il loro pentimento sarebbe una sorta di ritorsione scaturita dalla gelosia degli ex affiliati.

Ma al di là dei particolari, per così dire, apparentemente folcloristici della vicenda, ciò che ha tenuto a precisare Samuele Di Silvio è che il suo gruppo mai avrebbe sparato ai Ciarelli, essendo parte di una “stessa famiglia”: la sorella di Lallà, Rosaria Di Silvio, ha spostato uno dei figli del capostipite, Antonio Ciarelli, quel Ferdinando “Furt” Ciarelli condannato nel processo Caronte. Particolare che, seppur marginale, non può che costituire una novità poco credibile considerato che, almeno fino al loro arresto, i rapporti tra i due clan non erano per niente buoni con i figli di Lallà che progettavano di far del male al nucleo di Luigi Ciarelli (fratello di “Furt” Ciarelli), in particolare al figlio Marco (Luigi Ciarelli, condannato per narcotraffico di recente, è considerato il reggente attuale a Pantanaccio).

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Il padre Armando “Lallà”, invece, ha ribadito la sua lontananza da qualsiasi affare che tenesse conto della politica, prendendo le distanze da Pugliese ed esprimendo un concetto già dichiarato in un’udienza di Alba Pontina: “Pugliese si spaccia per zingaro…e dice che è figlio di Cha Cha ma a me non mi è niente“. Una cesura netta che va di pari passo con le dinamiche e l’orgoglio dei clan zingari, nonostante l’attuale pentito fosse cresciuto nella sua famiglia frequentando Pupetto Di Silvio sin dalla giovanissima età, e persino arrestato per la prima volta, da minorenne, nel 2003, con un altro figlio di Lallà, Giuseppe Pasquale Di Silvio.

Ma il momento clou del processo, dopo che Pugliese aveva sostanzialmente confermato quanto dichiarato nei verbali sull’attacchinaggio per Cetrone e la compravendita dei voti (“a Terracina, però, non ho comprato voti perché non ero in grado non avendo conoscenze“) – compreso un breve excursus della sua carriera criminale da Moro ai Travali (la madre di questi ultimi, Maria Grazia Di Silvio, è cugina del padre di Pugliese Cha Cha) fino a Lallà – è stato l’intervento di Aula dell’ex consigliera regionale del Pdl e imputata eccellente del processo.

Da premettere che, per Pugliese, il servizio dei manifesti elettorali attaccati da lui, Riccardo, i Di Silvio più i ragazzi che li aiutavano (tra cui Sicignano, coinvolto nel processo Alba Pontina), fu pattuito per un prezzo di circa 12mila euro: 40-50 centesimi a manifesto, affissi peraltro anche dove non potevano essere lasciati (fermate dell’autobus, bandoni destinati ad altri candidati). E ci sarebbe stato anche un prezzario per la compravendita dei voti (“più voti portavi, più il politico ti pagava”), così come a Latina dove Pugliese, Riccardo e i Di Silvio fecero la campagna elettorale per “Noi Con Salvini”.

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Gina Cetrone ha negato qualsiasi addebito, puntando sul fatto, ribadito anche da Pugliese, che gli accordi per la sua campagna elettorale furono presi tra l’ex marito Umberto Pagliaroli (con cui “eravamo separati in casa“) e Agostino Riccardo che si occupava, peraltro, anche della remunerazione – ecco perché Renato Pugliese ha spiegato che su 5, 6mila euro a lui dovuti per l’attacchinaggio dei manifesti a Terracina, ebbe “solo” tra i 1500 e i 2000 euro (“alcuni soldi che avanzavo li ho scalati in una camiceria…me l’aveva indicata Pagliaroli”): il resto l’aveva preso Riccardo (“mi aveva fregato ma non feci niente, eravamo abituati a lui”), non nuovo, a quei tempi, a sottrarre i proventi derivanti dalle attività illecite facendo la cresta.

L’ex consigliere regionale – candidata prima come sindaco con la lista “Sì Cambia” (tra i candidati consiglieri l’ex guardia carceraria Gianni Tramentozzi coinvolto in seguito nello scandalo – processo Astice/Petrus – di cibo e droga che arrivavano sin dentro il carcere di Latina) e poi semplice candidata al Consiglio comunale di Terracina nel 2016 – ha voluto parlare, quasi sfogarsi, ha urlato, pianto fino alla disperazione di essere finita in un processo per mafia – “allora se è così” – ha detto – “bisogna rivedere tutti i processi per mafia” – senza aver fatto niente.

Secondo Cetrone, lei, per quella campagna elettorale dove alla fine si ritrovò ad appoggiare il candidato sindaco, poi risultato perdente, Corradini, perse interesse una volta che era venuta a sapere – ha sostento in Aula – dell’accordo politico tra il senatore di Forza Italia Claudio Fazzone e il leader nazionale di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni i quali, a detta sua, trovarono un compromesso per far vincere il candidato sindaco Nicola Procaccini. Vistasi scavalcata da quell’accordo, Cetrone avrebbe rinunciato a competere: una circostanza che negherebbe quindi la sua voglia di apparire e vincere alle elezioni, tanto da rivolgersi ad Agostino Riccardo, tramite l’ex marito Pagliaroli (presente in Aula e definito da Pugliese “un uomo buono dal cuore grande che ha subito tanto”), Renato Pugliese e i Di Silvio. Al che, l’avvocato Angelo Palmieri del collegio difensivo ha chiesto di poter escutere i due politici – Meloni e Fazzone – senza aver successo poiché il Tribunale ha rigettato la richiesta.

Non sono una delinquente e una mafiosa, ho passato cinque mesi in carcere senza avere commesso alcun reato – ha urlato Cetrone piangendo – quella campagna elettorale non l’ho praticamente seguita tanto che ho preso solo 170 voti. Riccardo mi ha estorto qualche soldo per i manifesti dicendomi che doveva comprare da mangiare per sua figlia ma non ho mai speso tutti quei soldi. Pugliese non è mai stato nel mio ufficiomi vogliono fuori dalla politica“.

Dichiarazioni contrarie a quanto detto da Pugliese che ha sostenuto di essere andato nell’ufficio a Terracina in cui lavorava Gina Cetrone e di aver visto svariate volte l’ex marito Pagliaroli con cui Riccardo aveva concluso l’accordo per la campagna elettorale. Un rapporto quello tra Pagliaroli e Riccardo che, come ha dichiarato Pugliese, durava da anni, sin almeno dalla campagna elettorale del 2013 per Gina Cetrone (anche quella andata male) quando a organizzare l’attacchinaggio e la visibilità dei manifesti furono Francesco Viola, il capo tifoso Giancarlo Alessandrini e il gruppo dei Travali (per intenderci il sodalizio smantellato dal processo Don’t Touch).

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Ma, al di là, di un batti e ribatti piuttosto prevedibile su fatti ormai cristallizzati in verbali, articoli e deposizioni, non è sfuggito, nella sua accalorata difesa, il rimando di Cetrone all’imprenditore sonninese, al centro di un intrigo tra servizi segreti, affari e criminalità organizzata: Luciano Iannotta, arrestato lo scorso settembre nella nota operazione “Dirty Glass”.

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Cetrone lo ha menzionato per difendersi dall’estorsione che gli inquirenti le imputano in questo processo, rimandando alla situazione, per la verità evidenziata da inquirenti e investigatori dell’inchiesta “Dirty Glass“, secondo cui Iannotta si sarebbe introdotto nelle società della famiglia Pagliaroli, svuotandole, fino a estrometterli dalla gestione.

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L’ex consigliere regionale ha parlato dell’episodio estorsivo a lei imputato come qualcosa di riconducibile a Luciano Iannotta, all’epoca (siamo nel 2018) vero “padrone” delle società dei Pagliaroli. “Per trent’anni ha fatto quello che ha voluto, come mai non gli è stato fatto niente?” – ha detto, alle lacrimne, in Aula, Gina Cetrone.

Un contesto, quello dell’influenza di Iannotta, che era uscito fuori anche dalle carte d’indagine di “Dirty Glass”: è in un’intercettazione tra Iannotta e Altomare che i due parlano di Cetrone e Pagliaroli come pieni di debiti e “aiutati” dall’intervento dell’imprenditore sonninese. Per gli investigatori, infatti, sia Cetrone che l’ex marito erano finiti di fatto alle dipendenze di Iannotta che aveva spolpato e fatto sue le società, a tal punto che Pagliaroli è stato intercettato mentre chiedeva a Iannotta, in merito alla sua attività delle vetrerie a Terracina, che genere di sconti avrebbe dovuto applicare.

Uno spunto che sicuramente la difesa di Cetrone utilizzerà per l’ex consigliera nel Processo Scheggia la cui prossima udienza è stata fissata dal Tribunale il 19 gennaio 2021 alle ore 9,30.

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