OMICIDIO NEL CARCERE DI VELLETRI: UCCISO A CALCI E PUGNI DA UN ALTRO DETENUTO

carcere di Velletri
carcere di Velletri

Tragedia nel carcere di Velletri, dove un uomo, al culmine di una lite, ha ucciso il suo compagno di cella

L’omicida, secondo quanto riportato dal segretario generale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) Donato Capece, avrebbe dei gravi problemi psichiatrici e nel recente passato si sarebbe macchiato di un’aggressione nei confronti di un poliziotto della penitenziaria. “Quanto accaduto – commenta Capece – deve far riflettere per individuare soluzioni a breve ed evitare che la polizia penitenziaria sia continuo bersaglio di situazioni di grave stress durante l’espletamento del proprio servizio. Il disagio mentale, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, è stato riversato nelle carceri”.

A uccidere Marcos Schinco, cittadino brasiliano di 43 anni, è stato l’altro detenuto: italiano di 26 anni, Federico Brunetti, con problemi psichiatrici, poi arrestato e messo in isolamento. Il 43enne è stato ucciso a calci e pugni. Schinco, prima dell’arresto, risultava residente da tempo a Latina: nel 2015 era stato arrestato per il furto in alcuni parcometri in via Fabio Filzi a Latina; nel 2016, alterato, aveva aggredito i poliziotti intervenuti per sedare una rissa con un altro tossicodipendente e pregiudicato.

Il brasiliano aggredì con calci e pugni gli agenti di polizia, inveendo contro di loro con frasi oltraggiose. Una volta bloccato, Schinco tentò con violenza, di liberarsi, colpendo uno degli agenti che lo aveva immobilizzato, causando anche danni all’autovettura di servizio.

“Il disagio mentale, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, è stato riversato nelle carceri, dove non ci sono persone preparate per gestire queste problematiche, mancano strutture adeguate e protocolli operativi” ha affermato Capece. “La polizia penitenziaria non ce la fa più a gestire questa situazione – continua il segretario – e nei prossimi giorni valuterà se indire lo stato di agitazione. L’effetto che produce la presenza di soggetti psichiatrici è causa di una serie di eventi critici che inficiano la sicurezza dell’istituto oltre all’incolumità del poliziotto penitenziario. Queste sono anche le conseguenze di una politica miope ed improvvisata, che ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari senza trovare una valida soluzione su dove mettere chi li affollava. Gli ospedali psichiatrici giudiziari devono riaprire, meglio strutturati e meglio organizzati, ma devono di nuovo essere operativi per contenere questa fascia particolare di detenuti. Da quando sono stati chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari, le carceri si sono riempite di detenuti affetti da gravi problemi psichiatrici. Ormai in ogni carcere decine e decine di detenuti con gravi problemi psichiatrici vengono ospitati normalmente nelle sezioni detentive, e spesso sono ubicati nelle celle con altri detenuti che non hanno le stesse difficoltà. Di conseguenza, i poliziotti penitenziari, oltre a essere costretti a gestire la sicurezza delle carceri in grave carenza di organico, come avviene nel Lazio, devono affrontare da soli questi squilibrati senza alcuna preparazione e senza alcun aiuto. Non è corretto soltanto ammettere l’esistenza della questione dei detenuti con problemi psichiatrici e poi far solo finta di aver risolto un problema che invece sta esplodendo sempre di più nella sua drammaticità”.

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