OMICIDIO MORO, RICCARDO CONFERMA: “GRENGA SPARÒ. MA FURONO FORTUNATI AD AMMAZZARLO”

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Agostino Riccardo
Agostino Riccardo

Omicidio Moro: nuova testimonianza nel processo, a parlare il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo

Si è svolta oggi, 19 giugno, a Latina, davanti alla Corte d’Assise presieduta dal Giudice Gian Luca Soana, una nuova udienza del processo in cui sono imputati, per l’omicidio di Massimiliano Moro con l’aggravante mafiosaFerdinando Ciarelli detto “Macù” (figlio del capo-famiglia Carmine detto Porchettone), Antoniogiorgio Ciarelli (fratello di Porchettone), Simone Grenga (legato al clan del Pantanaccio per aver sposato la figlia del numero tre del sodalizio, Luigi Ciarelli) e Ferdinando Di Silvio detto Pupetto, già condannato con sentenza passata in giudicato per reati aggravati dal 416 bis (processo Alba Pontina) e figlio del capo-famiglia Armando Di Silvio detto “Lallà”.

In programma c’era l’esame da parte dei Pubblici Ministeri della Procura/DDA di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, del collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo, dopo che, nella precedente udienza, era stato esaminato un altro “pentito”: Andrea Pradissitto, ex affiliato al clan Ciarelli in quanto marito di Valentina Ciarelli, figlia del numero due del sodalizio, Ferdinando “Furt” Ciarelli. Pradissitto, già condannato per l’omicidio Moro, aveva confermato la versione fornita anche da un altro collaboratore di giustizia, Renato Pugliese: a sparare materialmente contro “Massimo” Moro sarebbe stato Simone Grenga. Una testimonianza, la sua, di rilevante valore, dal momento che Pradissitto sarebbe stato presente nel commando che uccise Moro.

Come noto, l’omicidio Moro del 25 gennaio 2010 e quello seguente avvenuto il 26 gennaio dello stesso anno in cui fu ammazzato Fabio Buonamano detto “Bistecca” sono gli episodi centrali della cosiddetta guerra criminale pontina che videro scontrarsi due fazioni criminali: da una parte i clan rom uniti – Ciarelli e Di Silvio -, dall’altra la malavita non rom, ossia i gruppi di Moro, Nardone e Maricca. L’episodio che diede il là a una stagione di omicidi, gambizzazioni e violenze fu quello dell’attentato subito da Carmine Ciarelli detto Porchettone, presso il bar Sicuranza, nel quartiere roccaforte del clan Ciarelli “Pantanaccio.

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Tutti fatti e circostanze ripercorse in aula anche da Agostino Riccardo che, video collegato dal carcere, ha sostenuto un esame e un controesame lunghi e dibattutti, con un livello di scontro tra accusa e difesa che si è alzato notevolmente, tanto che il Pm della Procura/DDA di Roma Luigia Spinelli ha chiesto formalmente alla Corte d’Assise di mettere a verbale di aver ricevuto un’accusa dall’avvocato difensore Marco Nardecchia. Quest’ultimo gli avrebbe ricordato di essere a conoscenza di una estorsione da parte di Riccardo nei confronti di un giovane di Latina, Simone Di Marcantonio, coinvolto in più di una inchiesta e destinatario di una condanna recente nel processo antimafia denominato “Scarface”.

Il collegio difensivo, oltreché a Nardecchia, è composto da Emilio Siviero, Alessandro Farau, dal Promotore di giustizia in Vaticano, ovviamente in veste di legale, Alessandro Diddi e dall’avvocato Italo Montini, fresco di nomina da parte dell’imputato Ferdinando Ciarelli detto “Macù” il quale ha revocato l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo. Una “new entry” anche per Simone Grenga che ha nominato il suo nuovo legale, l’avvocato Daniele Braccia del foro di Vibo Valentia.

“Ho conosciuto Moro negli anni 2000 – ha spiegato Agostino Riccardo -. Nel 2006, sono uscito dal carcere di Viterbo e, dopo una discussione col nipote di Moro, Moro mi sparò il 12 agosto 2006, ossia il giorno dopo che ero uscito di galera“.

Riccardo – è un fatto notorio – fu gambizzato davanti al locale “I Gufi” di Latina nell’estate del 2006, quando quel luogo era il centro della movida giovanile pontina. “C’erano almeno 700-800 persone quella sera”, ha ricordato Riccardo.

L’ex affiliato ai clan Travali (dal 2010 al 2015) e Di Silvio (il ramo capeggiato da Armando Di Silvio detto “Lallà”, fino al 2016 quando fu arrestato) era uscito dal carcere Mammagialla di Viterbo grazie all’indulto voluto dal Governo Prodi e dal Ministro della Giustizia dell’epoca, Clemente Mastella.

“Quando ero affiliato al clan Travali, eravamo alle dipendenze di Cha Cha e Tuma. Per la prima volta fui arrestato con l’operazione Baby Gang nel 2004 insieme a Viola, Manolo Morelli detto Sabatino, Denis Cristofori”. Per quanto riguarda l’episodio che portò alla sua gambizzazione, Riccardo è stato chiamato a spiegarlo dettagliatamente. “Il nipote di Moro aveva aperto un negozio di abbigliamento per surf e snowboard. Io feci una scommessa con Manolo e dissi che sarei andato a rubare di mattina. Lo feci perché quello si riteneva intoccabile essendo il nipote di Moro e io volevo dimostrare che non mi femavo davanti a niente. Andai all’ora di pranzo nel negozio di Latina e rubai. Presi un computer e un portatile e poi glieli riconsegnai: era solo per vincere la sfida. Per questa ragione mi spararono ai Gufi: arrivò Moro insieme al nipote, mi chiamarono nella folla e sparò all’impazzata. Ci furono 3 feriti: me e altre due persone che non c’entravano niente. Io fui attinto alla gamba destra. Moro mi sparò indossando un casco semi integrale: io sapevo subito che era stato lui, ma non potevo dirlo e non lo dissi neanche alla Questura perché, nelle logiche criminali, se lo avessi detto sarei passato da infame”.

Ad ogni modo, la fama criminale di Moro, per Riccardo, era un fatto ben noto. “Sapevo chi era, era uno dei 7 uomini d’oro, ed era uno dei componenti dell’omicidio di Raffaele Micillo. Ai Gufi venne con un Sh nero. Prima degli spari, lo incontrai alle Streghe con Angelo Morelli detto Calo, che faceva parte del gruppo dei Travali. Moro passò col motorino, mi salutò, ma fu una mano finta. Si vedeva che aveva il boccone dentro la panza, cioè che aveva qualcosa in serbo per me“.

Riccardo fu tranquillizzato da Morelli ma poco dopo accadde l’esatto contrario con la sua gambizzazione. “Mi aspettavo il peggio da Moro, per via del suo curriculum criminale. Fu Angelo Travali a dirmi che Moro voleva fare un’azione contro di me. Dopo gli spari ci fu un incontro riparatore a casa di Ermanno D’Arienzo detto Topolino. Il mio gruppo con Angelo Travali e Francesco Viola si tirò indietro e non mi vendicarono, eravamo troppo piccoli all’epoca rispetto a Moro. Ci fu l’incontro da “Topolino”, il padre naturale di Angelo Travali, anche se io ero contrario. “Topolino” era un altro dei 7 uomini d’oro ed era più grande di Moro, era l’unico che poteva parlare. Andammo a Borgo San Donato da “Topolino”: c’eravamo io, Angelo Travali e Massimo Moro. D’Arienzo, su domanda di Moro, disse che nella stessa situazione (nda: ossia se qualcuno avesse fatto uno sgarbo a un suo nipote) lui avrebbe sparato in testa”. La storia si chiuse lì e il carisma criminale di “Topolino” fece cessare tutto.

Il racconto articolato di Agostino Riccardo è proseguito con altri particolari. “Io fui allontanato dalla provincia di Latina per la sorveglianza speciale e sapevo che Moro si era messo vicino un gruppetto di giovani per fare reati: Renato Pugliese, Andrea Pradissitto, Angelo Travali, Francesco Viola e altri. Moro diede una mano a Pugliese che aveva un debito di gioco da 20mila euro con Pasquale Ciarelli, figlio di Carmine Ciarelli. I soldi a Carmine li diedero un po’ Moro e un po’ Roberto Noce, collaboratore di Pasquale Maietta. L’intervento di Moro fu decisivo. Anche se io so cosa avrebbe fatto lui: Moro avrebbe sparato a tutti i Ciarelli, perché aveva debiti da 200mila euro con Carmine Ciarelli: si trattava di una partita di diamanti in cui fu coinvolta Donatella Amistà (nda: ascoltata come testimone in questo processo) che fu derubata, pur essendo all’epoca la compagna di Lello Gallo, migliore amico di Moro”.

A parlargli di questo fatto specifico fu Angelo Travali. Riccardo, infatti, dal 2006 fino al 2010 non stette quasi mai a Latina, dal momento che da sorvegliato speciale ebbe anche un provvedimento di divieto di dimora nella provincia pontina. E, in effetti, tutta la testimonianza di Riccardo si basa sui “de relato” di Angelo Travali e in parte di Costantino “Cha Cha” Di Silvio, oltreché ai racconti di Renato Pugliese (che a sua volta fu reso edotto delle fasi dell’omicidio Moro da Pasqualino Di Silvio, il figlio maggiore di Armando Di Silvio detto “Lallà”).

“Solo alla fine del 2010 tornai a Latina. Con Moro avevo avuto rapporti diretti prima degli arresti del 2004, voleva che facessi reati insieme a lui. Poi, intorno al 2006, ci fu una riunione da Moro e ci disse ammazziamoli tutti i Ciarelli: c’ero io, Angelo Travali, Francesco Viola, tutto il gruppo dei Travali insomma e c’era anche Bistecca. Ci disse piazzamogli le bombe a Pantanaccio, regno dei Ciarelli, per ammazzare i tre fratelli Carmine, Ferdinando detto “Furt” e Luigi. Tanti erano d’accordo, tanti però erano perplessi perché sarebbe stata una strage. Tutti ascoltarono Moro perché tutti avevamo problemi economici con i Ciarelli, essendo loro degli usurai”.

La valenza criminale di Moro, prima di essere ammazzato, è stata spiegata da Riccardo anche in riferimento a Maurizio De Bellis “che era diventato – a detta di Riccardo – uno dei più importanti narcotrafficanti di cocaina a Latina e Lazio almeno fino al 2016. Dopo la morte di Radicioli (nda: ucciso insieme a Tiziano Marchionne), si spartirono le zone per il narcotraffico tra Gianluca Ciprian, Fabio Nalin, Pietro Canori e Maurizio De Bellis”.

“De Bellis non voleva dare dei soldi a Moro e questo gli piazzò due bombe nella sua villa. Anche questo episodio mi fu raccontato da Angelo Travali. Con quel gesto, Moro voleva anche dimostrare chi era, oltre al fatto di aver chiesto a De Bellis di dargli 30mila euro al mese perché sapeva che con la droga guadagnava tanti soldi. Moro aveva disponibilità di armi e bombe al tritolo e De Bellis non poteva risponderli…so da Angelo che alla fine De Bellis gli diede dei soldi”.

E ancora, sempre nel proseguo della lunga escussione, Riccardo ha ricordato altri episodi in cui si evince la caratura criminale di Moro: dalla gambizzazione del gestore della cornetteria di Latina, Ciccio “Dolcenotte” Rossi: “Fu fatta da Moro e Corrado Giuliani”; al noto negozio di biciclette in Via Isonzo, a Latina, incendiato. Atti violenti compiuti al fine di estorcere le vittime.

“Di Moro – ha spiegato Riccardo – avevo paura, era una persona che o lo ammazzavi o ti ammazzava“. E sul delitto sono arrivate da Riccardo solo conferme rispetto al racconto degli altri collaboratori e rispetto all’ipotesi investigativa. “Moro è stato ammazzato il 25 gennaio 2010 a Largo Cesti, a causa dell’attentato a Carmine Ciarelli al Bar Sicuranza. Per quanto so a sparare a Carmine Ciarelli è stato Moro e Gianfranco Fiori detto il Ciccione. Dal racconto di Angelo Travali, ci furono riunioni all’ospedale Goretti ed erano presenti Macù, Pradissitto, Grenga e Pasqualino Di Silvio. Volevano capire da chi era stato fatto l’agguato. Carmine e il fratello “Furt” gestivano gli affari ed erano in vista, anche perché sin dagli anni 90 erano per gli ambienti criminali degli infami perché fecero arrestare Ettore Mendico e infatti, all’inizio, pensavano fossero stati i Casalesi a vendicarsi”.

“Poi, però, all’ospedale arrivò Moro che abbracciò Antonio Ciarelli (nda: il vecchio capostipite della famiglia) e questo gli disse a Moro: portami la testa di chi ha sparato a mio figlio, e Moro gli rispose che lo avrebbe fatto”. Proprio questa promessa fatta da Moro, costituì la sua condanna a morte. “Più tardi, sempre al Goretti, ci fu un’altra riunione nell’androne delle scale e fu Macù a dire che era è stato Moro a sparare al padre“.

La vendetta nacque lì, in quell’abbraccio considerato falso. Riccardo conferma tutto: “L’esecutore materiale fu Grenga che andò con Pradissitto e Macù a Largo Cesti. C’erano in tutto un commando di due macchine e uno scooter, ma non so chi fossero gli altri componenti. “Furt”, invece, avrebbe voluto aspettare. Mi disse tutto Angelo Travali nel 2011 e gli chiesi io chi era stato a ammazzare Moro. Travali mi disse che era stato Pradissitto a vendersi Moro. Ero contento della sua morte perché Moro mi aveva sparato. Fu Pradissitto ad aver citofonato e salirono in tre da Moro: secondo Angelo Travali, fu una cosa veloce, gli spararono e andarono via. Mi disse pure che Pradissitto era preoccupato perché aveva bevuto un bicchiere d’acqua e temeva di aver lasciato traccia”.

“Moro fu sparato con due colpi: una botta alle spalle e l’altra botta in fronte, dall’alto verso il basso mentre stava facendo un caffè o cmq stava per prendere una pistola perché forse aveva capito tutto. Un colpo dietro e uno davanti e, prima di andare via, fu preso a calci. La pistola che ha sparato era una calibro 9 semiautomatica e il primo proiettile fu esploso a distanza ravvicinata tra il collo e la testa. Per decidere quell’omicidio in quella sera non ci fu un summit, ma una riunione volante a Piazza Moro. Me lo disse Angelo Travali al quale gli fu raccontato in carcere da Costantino Di Silvio detto Patatone, informato perché all’epoca girava h24 con Carmine Ciarelli. Patatone è il figlio di Ferdinando Di Silvio detto “Il Bello”, ucciso con un’autobomba da da Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto”.

A confermare che l’omicidio fu compiuto materialmente da Simone Grenga è stato anche Renato Pugliese: “Mi disse queste cose anche Renato che mi raccontò che nel carcere fu abbracciato da Grenga. Renato gli disse: “Che fai? Prima mi abbracci e poi mi spari?. Ma Simone Grenga gli disse che a lui non glielo avrebbe mai fatto perché erano cresciuti insieme. Comunque anche Renato mi disse che era stato Grenga e con lui c’erano Macù e Pradissitto”.

Pugliese averebbe saputo tutto da Pasqualino Di Silvio, figlio maggiore di Armando Di Silvio detto Lallà e fratello dell’imputato nel processo odierni Ferdinando “Pupetto” Di Silvio.

Del ferimento a Ciarelli e della vicenda omicidaria gliene parlò Angelo Travali, ma anche Costantino “Cha Cha” Di Silvio fece un accenno a Riccardo: “Mi disse: hai visto, tanto tanto furbo e scaltro Moro e si è fatto ammazza’“.

Cha Cha mi disse che Carmine Ciarelli, dopo il ferimento, riuscì a dire chi gli aveva sparato e fece i nomi di Fiori e Moro che abitava nello stesso palazzo di un affiliato ai Travali, Giovanni Cuaravino. Cha Cha mi disse pure che avevano fatto bene ad ammazzare Moro perché era un “pezzo de merda”. Anche lui mi confermò i nomi di Pradissitto e Grenga. La mia opinione è che Moro è stato ammazzato perché sono stati fortunati, ha solo fatto qualche leggerezza“.

Finita la testimonianza di Riccardo, il processo è ripreso con l’escussione di un ex ispettore della polizia scientifica di Roma che verificò le celle telefoniche e i tabulati telefonici nella giornata del delitto Moro, in un arco temporale prima e dopo delle ore 20,37 del 25 gennaio 2010.

Alla fine, la Corte d’Assise ha rinviato il processo al 12 settembre prossimo. Previsto l’esame degli imputati e l’inizio delle escussioni dei testimoni del collegio difensivo.

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