Omicidio Moro: nuova udienza del processo che contesta ad appartenenti del clan Ciarelli e Di Silvio l’aggravante mafiosa
Si è svolta oggi, 12 luglio, davanti alla Corte d’Assise presieduta dal Giudice Gian Luca Soana una nuova udienza del processo in cui sono imputati, per omicidio con l’aggravante mafiosa, Ferdinando Ciarelli detto “Macù” (figlio del capo-famiglia Carmine detto Porchettone), Antoniogiorgio Ciarelli (fratello di Porchettone), Simone Grenga (legato al clan del Pantanaccio per aver sposato la figlia del numero tre del sodalizio, Luigi Ciarelli) e Ferdinando Di Silvio detto Pupetto, già condannato con sentenza passata in giudicato per reati aggravati dal 416 bis (processo Alba Pontina) e figlio del capo-famiglia Armando Di Silvio detto “Lallà”.
Per ragioni di salute, erano assenti i testimoni che avrebbero dovuto essere esaminati dal Pm Luigia Spinelli e contro-esaminati dal collegio difensivo composto dagli avvocati Casciele, Farau, Nardecchia e Cardillo Cupo: si tratta dei poliziotti della Questura di Latina che hanno svolto le indagini. Il Pm Luigia Spinelli ha inoltre rinunciato, oggi, a esaminare l’unico testimone presente sul lato degli organi investigativi.
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È stata, invece, interrogata come testimone dell’accusa il medico legale che ha svolto le analisi sul cadavere di Massimiliano Moro, Maria Cristina Setacci. La dottoressa ha ripercorso le fasi degli accertamenti scientifici effettuati sul cadavere di Massimiliano Moro. Contattata il 25 gennaio 2010, ossia il giorno in cui Moro fu freddato a Latina nel suo appartamento ubicato a Largo Cesti in Q5, il medico legale ha svolto la sua prima diagnosi tra le 23,30 e le 24 del medesimo giorno, trovando il cadavere in una pozza di sangue e in una posizione prona sul pavimento.
Moro era stata ucciso intorno alle 21,30 e, come ha spiegato il medico Setacci, sanguinava in maniera rilevante dal capo e dal volto. È stato attinto da due colpi d’arma da fuoco: uno nell’area occipitale frontale sinistra e uno al collo. Colpi che sono partiti dal basso verso l’alto, da sinistra a destra e con modesta inclinazione.
È presumibile che, al primo colpo d’arma da fuoco, Moro fronteggiasse l’aggressore, avendo avuto successivamente, in una frazione di secondo, uno scatto repentino verso sinistra dopo aver visto la pistola che lo avrebbe ucciso. Colpito la prima volta, c’è stato un movimento nella caduta, nel corso della quale è stato attinto di nuovo, impattando sul pavimento e provocandosi una escoriazione sulla fronte. Non fu un colpo a bruciapelo, cioè dalla distanza sotto i 50 centimetri, ma lo sparo partì da poco più lontano, comunque sempre nel contesto del suo appartamento.
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Le immagini del cranio fratturato e delle condizioni del cadavere sono state depositate a favore della Corte da parte del Pm Spinelli.
Un’udienza veloce e molto tecnica. La prossima tappa del processo è stata fissata il prossimo 4 ottobre 2022. Saranno ascoltati i poliziotti che hanno condotto le indagini, i due condomini che avvertirono un tonfo sordo a Largo Cesti in quel lontano 2010, oltreché a Gianfranco Fiori colui che fu ritenuto dai clan rom l’esecutore dell’attentato a Carmine Ciarelli detto Porchettone di fronte al Bar Sicuranza nel quartiere del Pantanaccio (ma non dalla magistratura che lo ha assolto).
L’episodio, avvenuto sempre il 25 gennaio 2010, scatenò la mattanza della guerra criminale pontina tra clan rom – Di Silvio e Ciarelli uniti per l’occasione – e malavita latinense guidata da Moro e Mario Nardone. 24 ore dopo fu ucciso Fabio “Bistecca” Buonamano per mano di Giuseppe “Romolo” Di Silvio e Costantino Di Silvio detto “Patatone”. Successivamente, nel corso del 2010, una lunga scia di regolamenti di conti e gambizzazioni nell’ambito di una strategia stragista che non concretizzò tutti gli omicidi che i clan rom si erano messi in testa di compiere.