“LIBERA” NON È POI COSÌ LIBERA: L’ANTIMAFIA CHE CAMBIA ROTTA TRA FORMIA E LATINA, SE NE VANNO A DECINE

Libera Formia
La manifestazione del 21 marzo scorso

Sono trascorse tre settimane dalla consueta celebrazione nazionale della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera e arrivata alla 24esima edizione, in questa provincia andata in scena a Formia, dove 6mila persone da Comuni diversi si sono riunite per sfilare in corteo. E la scelta di Formia non è stata chiaramente casuale, così come non lo era la presenza del Prefetto di Latina, Maria Rosa Trio, del presidente dell’Osservatorio sulla Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, Gianpiero Cioffredi, dell’arcivescovo di Gaeta, Luigi Vari e di tanti sindaci del comprensorio, compreso chiaramente quello di casa, Paola Villa, protagonista della commissione regionale antimafia andata in scena appena un mese prima nella quale ha denunciato la massiccia presenza di organizzazioni criminali in città, raccontando fatti e nomi, mentre per altri è stata solo una semplice passerella nella quale mostrare la consueta, anche questa, antimafia di facciata.

La manifestazione del 21 marzo scorso

E in effetti il sudpontino, meglio nota come la Provincia di Casale – con i suoi cognomi pesanti, la presenza fissa nelle relazioni antimafia, un passato oscuro, i collegamenti diretti con il clan dei Casalesi, le decine di famiglie ai vertici del crimine organizzato di stampo camorristico residenti in città, i rapporti con la politica non solo locale, gli arresti, i sequestri e una lunga scia di fatti di cronaca isolati ma violentissimi, dai chiari connotati di matrice camorristica -, è stato negli ultimi anni il palcoscenico ideale dove organizzare dibattiti pubblici nelle piazze, manifestazioni a tema, flash-mob di protesta, attività di incontro nelle scuole, in particolare tra Formia e Itri, dove Libera è stato il principale soggetto ideatore e promotore di confronti ormai del tutto ridimensionati e ridotti all’osso, non ce ne voglia chi oggi continua a mettere il proprio impegno nell’associazionismo e nel volontariato, come ad onor di cronaca fatto pure pochi giorni prima del corteo formiano dal locale presidio – oggi allargato e che abbraccia tutto il sudpontino e dedicato a don Cesare Boschin – quando ha organizzato la Festa del Tesseramento 2019, presso la sala Falcone e Borsellino alla presenza del vice Questore di Latina Cristiano Tatarelli. Al netto di questa doverosa premessa, però, è chiaro a tutti che qualcosa è successo.

Annibale Mansillo e Fabrizio Marras, e i presidi di Itri, Formia, Aprilia, Latina e Frattamaggiore nel 2014

Perché sono bastati pochi mesi per assistere allo smantellamento delle due sezioni più numerose e operative di Libera in provincia di Latina e probabilmente in tutto il Lazio. Circa un centinaio di persone hanno abbandonato l’attivismo, perlomeno all’interno dell’organizzazione di don Luigi Ciotti, privati delle guide e dei referenti, fuoriusciti poco prima, che sul territorio erano stati capaci di aggregare l’interesse per l’adesione di cittadini contro le mafie e coltivare un largo consenso grazie a numerose iniziative. Basti pensare che a pochi mesi dal loro primo appuntamento pubblico nel luglio del 2016 (per parlare di beni confiscati e di criminalità in città), i numerosi ragazzi della sezione di Itri (capaci in poco tempo di farsi approvare dal Comune un regolamento per la gestione dei beni confiscati), si sono sciolti contestualmente ai fatti che raccontiamo lasciando anche la propria pagina Facebook immortalata tristemente a quei primi mesi del 2017. In particolar modo, l’esodo è stato generato dalla fuoriuscita del referente provinciale Fabrizio Marras e del referente di Formia Annibale Mansillo, due veri e propri punti di riferimento e promotori per le iniziative della rete provinciale. Oggi sono rimasti meno di una decina di associati a Formia, attorno alla figura di don Alfredo Micalusi nella parrocchia di Sant’Erasmo nel quartiere di Castellone (negli anni scorsi erano almeno sei volte tanti), mentre Itri è scomparsa, così come Latina. Il ruolo che prima era di Marras oggi è in capo a don Francesco Fiorillo del Monastero di San Magno a Fondi. E paradossalmente la realtà della sezione del sudpontino, nonostante lo smembramento, resta tra le più numerose del Lazio.

Ma qualcosa è successo e non solo a livello locale. Gli abbandoni di Marras e Mansillo, arrivati a poca distanza l’uno dall’altro, non sono forse del tutto scollegati tra loro. E in effetti c’è un fatto che ha spaccato il presidio territoriale, ovvero la chiamata all’elezione del nuovo referente provinciale tra le fine del 2016 e l’inizio del 2017, dopo i due mandati di Marras. I componenti dei presidi pontini erano stati riuniti a Roma per eleggere il nuovo coordinatore provinciale, ma per ben due volte i referenti nazionali dell’Ufficio di presidenza di Libera non si sono presentati all’appuntamento, per sopraggiunti motivi di forza maggiore. A quel punto i presidi e i componenti, chiamati a eleggere il nuovo referente provinciale, hanno proceduto autonomamente all’elezione che, ancora una volta, ha visto prevalere, pur senza una candidatura ufficiale, Fabrizio Marras. Lo stesso Marras non si è tirato indietro e per la terza volta (limite massimo di mandati secondo lo statuto dell’organizzazione) non si è opposto alla “chiamata alle armi” della sua fanteria, compatta e concorde sul suo nome, probabilmente per premiare il lavoro e i numeri prodotti sui territori (ad esempio, nel 2014, il corteo organizzato a Latina per la medesima celebrazione in ricordo delle vittime della mafia ottenne l’adesione e la partecipazione di più di 100mila persone, oltre che del fondatore don Luigi Ciotti e di numerosi esponenti delle istituzioni parlamentari). La decisione di rieleggere Marras, però, non venne ratificata dai vertici dell’organizzazione che l’annullarono con la motivazione secondo la quale l’elezione non poteva avvenire senza la presenza di rappresentanti “superiori”.

Fabrizio Marras e Annibale Mansillo

Una scelta “strana“, se possiamo definirla così, perché infatti lo Statuto non prevede una simile condizione se non nei casi in cui l’elezione avvenga a seguito della sfiducia nei confronti del referente uscente e non era questo il caso. Si apre perciò una spaccatura e così, alla presenza stessa del fondatore don Luigi Ciotti, si tenta di ricomporre la frattura in un incontro informale proprio presso il Monastero di San Magno a Fondi dove, però, tutto resta com’è. Marras non viene riconosciuto come vincitore. E questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Marras e Mansillo lasciano e anche i presidi di Latina, Cisterna, Anzio e Nettuno fanno lo stesso perché “in questo ultimo periodo – si legge in una nota stampa di allora degli attivisti di Libera nel sud del Lazio – i rapporti tra la dirigenza dell’associazione e gli iscritti di questi territori si sono profondamente deteriorati a fronte di una linea di chiusura verso il nostro territorio non motivata e delegittimando il lavoro svolto da tutti noi. La centralizzazione autoritaria delle decisioni, l’incapacità di riconoscere gli errori, il permettere alla dicotomia fedele/infedele (e infedele è chi non la pensa come l’Ufficio di presidenza o osa porre problemi o obiezioni) di predominare dentro l’associazione, il ricondurre tutti i problemi che nascono ad aspetti personali e non politici, nascondendo il tutto dietro un generico e velleitario ‘va tutto bene’ o un altrettanto generico ‘vogliamoci bene’ generalizzato, sono alcuni dei sintomi di questa deriva dell’associazione”.

Ma perché non si è fatto nulla per sanare la spaccatura? E perché è stata impedita la rielezione di Marras? Il quale aveva nonostante tutto proseguito negli anni la sua attività di coordinatore provinciale di Libera, sebbene colpito da un attentato incendiario di natura intimidatoria alla propria automobile, e a quella del cognato Antonio Chiusolo, ex assessore al Bilancio a Cisterna di Latina. Domande alle quali non sappiamo rispondere. C’è però un fatto che accadeva nel marzo del 2017, sul palcoscenico nazionale, quindi contestuale a questa piccola “rivoluzione di provincia” e che forse può spiegarci qualcosa in più. È il 21 marzo del 2017 quando il grande capo di Libera don Luigi Ciotti, da un’altra Giornata della memoria, in quell’occasione organizzata in una roccaforte nota alle cronache purtroppo per il predominio ndranghetista, Locri, in Calabria, afferma: “Oggi ci sentiamo tutti calabresi e sbirri, siamo qui per sostenere quella Calabria che non accetta di essere identificata con la ’ndrangheta, la massoneria, la corruzione”.

Un’affermazione chiara e forte che solo un personaggio dello spessore di don Luigi può pronunciare dinanzi all’Italia intera, tanto più che solo pochi giorni prima, il primo marzo, era stata la commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi a chiedere e ottenere da parte della Guardia di Finanza, addirittura il sequestro delle liste degli iscritti delle logge massoniche italiane, con particolare riguardo a quelle siciliane e calabresi, dopo varie richieste di trasmissione delle liste degli associati rivolte ai vertici delle massonerie e rimaste lettera morta. Quindi il legame tra criminalità organizzata e massoneria riceve finalmente l’attenzione che merita, anche se la stessa Massoneria non la prende affatto bene. Eppure, ciò nonostante, torniamo all’intervento di Locri di 20 giorni dopo, perché nemmeno 48 ore passano dall’invettiva di don Ciotti, che lui stesso compie un clamoroso dietro-front, scusandosi di fatto per l’irruenza delle sue parole in particolar modo offensive per la massoneria e rivolgendosi al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi al quale spiega di “Uno spiacevole equivoco” e di “una mancata precisazione dettata dalla concitazione del momento”. Una correzione immediata che Ciotti non esita a rendere pubblica e che arriva dopo le veementi proteste di Bisi per le parole espresse dal palco di Locri, “ricordando” come la Massoneria fosse protagonista assoluta dei finanziamenti per le opere di bene del mondo cattolico. Nel frattempo però da quegli elenchi escono migliaia di nomi non identificabili.

Rosy Bindi, ex presidente della commissione parlamentare antimafia e Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

Ora, osservando i bilanci che Libera pubblica sul proprio sito internet è possibile comprendere come l’organizzazione di Don Ciotti, che ingloba circa 1600 organizzazioni nazionali e internazionali, sia strettamente legata al mondo delle istituzioni. “Libera – si legge da Wikipedia – è riconosciuta come associazione di promozione sociale dal Ministero del Lavoro, della Salute e della Solidarietà Sociale. Inoltre è riconosciuta come associazione con Special Consultative Status dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc). Nel 2008 è stata inserita dall’Eurispes tra le “eccellenze italiane”. Nel 2009 è stata premiata dal Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) fra le migliori esperienze di società civile organizzata. Nel 2012 è stata inserita nella lista delle cento migliori ONG del mondo dalla rivista The Global Journal: è l’unica organizzazione italiana in tale classifica, dedicata alle “community empowerment” e all’universo del no-profit”. E in effetti a guardare i Bilanci si può notare come i soldi arrivino dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, da tanti ministeri del Governo italiano, ci sono molte Regioni e pure moltissimi Comuni, ci sono Camere di Commercio, tanti istituti scolastici, le Province e la Banca d’Italia, senza dimenticare i lauti introiti dell’8 per mille provenienti dalle dichiarazioni dei redditi dei professionisti. E sappiamo che sono tutte categorie ben rappresentate nelle decine di migliaia di persone che sono iscritte in quegli elenchi così interessanti per la commissione parlamentare antimafia. Insomma è più che comprensibile che un tale eterogeneo sostegno finanziario esterno possa poi confliggere con le attività di Libera sui territori. Un conflitto insuperabile, che non può quindi permettere di operare sul territorio senza prima o poi pestare i piedi sbagliati rischiando di restare senza fondi per sopravvivere (un pericolo di infiltrazioni che anche Libera corre come riconosce lo stesso Don Luigi Ciotti) e gestire una macchina così grande, i volontari, i beni confiscati, le manifestazioni e molto altro ancora. 

Il magistrato Catello Maresca a sinistra e a destra Don Luigi Ciotti

E non lo sanno solo Ciotti – e Bisi – ma lo sa addirittura il noto magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Catello Maresca, autore della cattura di super latitanti come Michele Zagaria (il quale disse poi di volerlo fare fuori) e per questo da molti anni sotto scorta, il quale Maresca, in una intervista del gennaio 2016 a Panorama, affermava: “Libera è stata un’importante associazione antimafia. Ma oggi mi sembra un partito che si è auto-attribuito un ruolo diverso. Gestisce i beni sequestrati alle mafie in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale. Personalmente sono contrario alla sua gestione: la ritengo pericolosa. Oggi – prosegue – per combattere la mafia è necessario smascherare gli “estremisti dell’antimafia”, i monopolisti di valori, le false cooperative con il bollino, le multinazionali del bene sequestrato. Registro e osservo che associazioni nate per combattere la mafia hanno acquisito l’attrezzatura mentale dell’organizzazione criminale e tendono a farsi mafiose loro stesse. Purtroppo queste associazioni hanno esasperato il sistema. Sfruttano beni che non sono di loro proprietà, utilizzano risorse e denaro di tutti. Vedo insomma l’estremismo dei settaristi e non di un’associazione ogni qual volta sento dire che ‘si deve fare sempre così’. Libera – conclude – gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili. Io ritengo che questa antimafia sia incompatibile con lo spirito dell’antimafia iniziale”. Affermazioni che provocarono una lunga controversia mediatica e giudiziaria fatta di repliche, litigi, denunce, scuse e rivelazioni scottanti, prima della definitiva pace tra i due.

Esiste quindi un grosso problema di conflitto di interessi che rende Libera non così Libera, pur restando una delle più importanti, se non la più importante, realtà associativa e di sensibilizzazione di contrasto alle mafie sui territori. Eppure nel sudpontino abbiamo assistito in scala a ciò che è accaduto a livello nazionale, un appiattimento sul mondo cattolico e un giro di vite contro l’intraprendenza e la libertà sconfinata di combattere ogni forma di mafia e di mafiosità. Da quella stagione di cortei, manifestazioni, dibattiti, incontri e molto altro è rimasto ben poco, anzi, solo le sfilate. Non abbiamo sentito pronunciare nemmeno una parola a Libera sulla pesante intimidazione lasciata da un membro della famiglia Esposito al titolare del Caffè Tirreno a Formia. Non gli abbiamo sentito dire una parola sull’assenza e peggio sulla presenza negazionista di alcuni sindaci riguardo al fenomeno mafioso in commissione regionale antimafia, oppure sull’arresto di Gustavo Bardellino a seguito della brutale aggressione nei confronti della ex fidanzata e ancora nulla sullo spavaldo affronto allo Stato e al ministero dell’Interno da parte della troupe di produzione del film e del libro di Antonella D’Agostino e Angelo Bardellino contro il divieto di svolgere la presentazione a Spigno, che hanno aggirato spostandosi a Gaeta. O alla richiesta di scioglimento dei Comuni di Gaeta e Sperlonga del deputato Trano o alle preoccupanti circostanze raccontate dalla sindaca di Formia Villa. Oltre alle decine di vicende e indagini tuttora aperte sul territorio. Insomma Libera è Libertà contro le mafie,  evviva Libera, ma anche Libera di scegliersi, come tutti, le proprie battaglie.

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