Nella notte del 5 dicembre scorso, gli agenti della squadra Mobile di Milano hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 11 persone, nove albanesi e due italiani appartenenti a una rete criminale dedita al traffico internazionale di cocaina. Sequestrati circa 40 kg. L’operazione, denominata Braveheart, è stata coordinata dalla Procura milanese.
Due distinte consorterie importavano la droga dall’Olanda, organizzando il trasporto a bordo di vetture con sottofondo modificato, il cosiddetto “imbosco”. Al fine di poter comunicare tra di loro, i narcotrafficanti avevano inventato un complicato sistema di crittografia, usando una parola di 10 lettere tutte diverse, ad ogni lettera era associato un numero, in questo modo si passavano informazioni e contatti: la parola era “Berlusconi”.
A differenza di quanto avviene frequentemente nelle lande pontine dove la “manodopera” straniera viene utilizzata per i lavori più “umili” come il trasporto – da ultimo, la vicenda (3 dicembre) di due marocchini e un’italiana arrestati dai Carabinieri di Aprilia sulla Sr Pontina con 230 kg di hascisc -, lì, nel meneghino, i capi albanesi incaricavano alcuni corrieri italiani di viaggiare attraverso il Belgio o la Germania, al fine di portare i carichi verso la piazza di spaccio di Milano. E, quasi sempre, si trattava di autotrasportatori anziani e insospettabili, che avrebbero passato indenni i controlli alle frontiere.
Di simile se non identico alle terre pontine non è, come detto, la catena di gerarchie malavitose, quanto il codice di comunicazioni tra narcotrafficanti che presenta in questo caso sovrapposizioni inquietanti per il crimine. Quasi che il circuito dello smercio abbia ormai codificato alcune modalità che sono talmente evergreen da andare bene a ogni latitudine e a distanza di diversi anni.
Siamo nel maggio 2007 quando i carabinieri del comando provinciale di Latina, agli ordini del colonnello Rotondi, e coordinati dalla Procura pontina, arrestano i due fratelli Giordano nel corso dell’operazione antidroga Lazial Fresco insieme a personaggi molto conosciuti della malavita pontina: Giuseppe Travali detto Peppe Lo Zingaro (condannato in Don’t Touch e padre dei fratelli Angelo e Salvatore a loro volta condannati nello stesso processo), Guerrino Di Silvio, Cha Cha e un’altra trentina di indagati.
L’operazione summenzionata nella quale fu arrestato Giovanni Giordano, il padre spirituale del crimine per Costantino Cha Cha Di Silvio e Gianluca Tuma, fu il secondo tempo di quella di pochi mesi prima eseguita dalla Polizia di Latina e che vide coinvolti uomini legati alla mala del sud pontino come Fabio Bartolomei, Gianfranco Simeone, Vincenzo Magliulo, originario di Torre del Greco, Gino Stravato, Donatella Saturnino, Fabio Criscuolo (narco-broker di Cisterna), Armando D’Alterio e il più noto Giuseppe D’Alterio, detto O’Marocchino, da sempre giudicato dalla magistratura e dagli inquirenti come contiguo ai clan camorristici campani.
I carichi di droga venivano importati dall’Argentina e giungevano in aereo a Roma o via nave a Gaeta per poi essere trasportati a Fondi da dove, grazie soprattutto alla ditta di trasporti “Lazial Frigo” della famiglia D’Alterio che operava nel Mof di Fondi, venivano smerciati. Secondo l’accusa, i contatti tra narcotrafficanti si concretizzavano attraverso una particolare e complessa comunicazione in codice, la medesima del gruppo italo-albanese sgominato a Milano, in cui si utilizzavano parole che dovevano avere al massimo dieci lettere diverse tra loro, il cosiddetto sistema “Berlusconi”. All’epoca, cocaina e hashish arrivavano sui camion frigo di frutta e verdura al mercato ortofrutticolo di Fondi e spesso, prima di arrivare in Italia, triangolavano in Spagna o Germania. Un modello di smercio che molti cartelli utilizzano, e di cui la nostra provincia, è ormai inzuppata.
Peppe ‘O Marocchino aveva assunto con i suoi uomini il controllo del traffico merci in entrata e in uscita dal Mercato ortofrutticolo di Fondi. Attraverso minacce, intimidazioni e incendi dolosi perpetrati ai danni delle aziende operanti all’interno del Mof erano riusciti ad ottenere il monopolio di interi settori commerciali. L’attività d’indagine fu coordinata dal pubblico ministero Luigia Spinelli, e iniziò nel periodo a cavallo tra il 2004 e il 2005 quando la Polizia, in sinergia con la Procura della Repubblica di Latina, tracciò un resoconto di tutti gli incendi avvenuti negli ultimi anni a Fondi. Dal lavoro sviluppato dagli inquirenti è emerso un comune denominatore: tutti gli episodi avevano riguardato aziende operanti nel Mof.
I punti di riferimento di quelle due operazioni, tra 2006 e 2007, erano Costantino Cha Cha Di Silvio a Latina e Giuseppe ‘O Marocchino D’Alterio a Fondi. Basti pensare che in ragione di questa alleanza, in anni più recenti, il figlio di Cha Cha, l’attuale collaboratore di giustizia Renato Pugliese, riuscì a intascare, non pagandolo, circa un kg di stupefacente da alcuni corrieri dell’area romana, che lavoravano per conto di Peppe ‘O Marocchino D’Alterio. La storia, che è rientrata nell’inchiesta del giugno 2018 Alba Pontina, testimonia la forza dei clan autoctoni di Latina città. Pugliese, come racconta lui stesso, non subì alcuna vendetta, ma solo una richiesta di chiarimenti da parte del medesimo O’ Marocchino, da sempre compare di narcotraffico di Cha Cha Di Silvio (da tre anni in carcere). Nonostante avesse avuto indicazioni da D’Alterio su come restituire il maltolto (avrebbe dovuto pagare a rate e lasciare i soldi a un banchista del Mercato del martedì di Latina), Pugliese non sborsò un euro: un fatto piuttosto eloquente del peso che i clan latinensi hanno raggiunto in provincia. Se trenta anni fa, le consorterie del Leone Alato erano sotto il cappello delle cosche del sud pontino come gli stessi D’Alterio o i Tripodo ecc., oggi hanno “credibilità” e autonomia per via di crediti e fedeltà del passato.
Il codice “Berlusconi” che serve a comunicare agilmente tra narcotrafficanti documenta la resistenza di alcuni aspetti che puntualmente si ripresentano tali e quali a più di dieci anni di distanza. Tra Latina, Fondi e Milano la distanza è azzerata, ma ciò che fa riflettere è che il know how malavitoso è talmente rodato che gli stessi criminali sanno dove attingere come se esistesse un unico vocabolario. Una Treccani del crimine che testimonia un’incapacità dello Stato, per via di percorsi giudiziari (Lazial Fresco si concluse sostanzialmente in una bolla di sapone) e norme sugli stupefacenti che invece di attutire il fenomeno del traffico di stupefacenti hanno reso il mercato ancor più scalabile da qualsiasi batteria che si metta in testa di far carriera. Non è augurante che, dopo più di dieci anni, nel sud della provincia pontina, solo di recente a settembre 2018, è stato oggetto di misura cautelare per mafia, ancora lui, Peppe ‘O Marocchino D’Alterio, insieme ai figli, nell’operazione della DDA denominata Aleppo. La famiglia D’Alterio, peraltro, fu colpita anche da un’altra operazione della DDA chiamata Sud Pontino (2010), che vide 68 arresti e che confermò, insieme alle altre due indagini dei Ros Damasco I e Damasco II, il grado di infiltrazioni dei clan al Mercato Ortofrutticolo di Fondi. Nonostante le inchieste e i processi, ’O Marocchino è sempre ‘O Marocchino, forte dei suoi legami con i clan camorristici, e capace di imporre il suo canone criminale, fatto di incendi e balzelli arroganti, ad alcuni imprenditori e trasportatori del Mof.
Purtroppo, dal codice Berlusconi al Mof di Fondi, in una decade tutto è restato immutato e, ora, oltre ad essere un territorio infiltrato da Aprilia a Castelforte, il crimine della provincia pontina fa scuola persino in una piazza così importante quale è quella del capoluogo lombardo.