Dalle dichiarazioni dei pentiti di Latina e dalle domande dei pm la traccia di nuove inchieste sulla malavita e sui rapporti col mondo dei professionisti pontini
Sono tanti i punti interrogativi aperti dalle ultime inchieste, alcune delle quali già sviluppate in processi, che hanno riguardato il mondo dell’imprenditoria e della criminalità pontine mischiate alla politica.
Il filo di alcune ulteriori dichiarazioni di uno dei due primi pentiti della storia di Latina città, insieme alle domande che gli sono state fatte dagli organi inquirenti, rivela ancor di più che i fascicoli d’inchiesta nel combinato disposto Procura di Latina/DDA di Roma sono tanti. A tal punto che le rivelazioni dei pentiti e ciò che confermano nelle Aule di Tribunale costituiscono una cartina di tornasole che proviamo a costruire.
Ci riferiamo, ad esempio, all’ultima deposizione del collaboratore Agostino Riccardo, ex affiliato al Clan Travali e, poi, al Clan rivale dei Di Silvio di Campo Boario, terminata il 10 giugno 2020.
In quella testimonianza, resa all’esame dell’accusa e al controesame del collegio difensivo, spuntano fuori alcuni riferimenti, domande e risposte che si profilano essere spia di altre indagini in corso.
ESTORSIONI E COMMERCIALISTI – Innanzitutto, ma questo lo sapevamo già, Riccardo ha continuato a raccontare, sia nei verbali resi agli investigatori dal 2018 in poi, che nelle udienze in cui è stato ascoltato in questi due anni, che lui di estorsioni ne faceva anche 3,4 al giorno. Il pentito si auto-accusa di circa 400 estorsioni consumate a Latina e provincia (e anche oltre, persino fino a Roma Capitale), la maggior parte delle quali non gli sono contestate nel processo Alba Pontina che si celebra nel Tribunale del capoluogo. E non può passare inascoltato quanto sostenuto da Riccardo rispondendo alle domande degli avvocati del collegio difensivo.
“Lei ha detto – chiede un avvocato del collegio difensivo di Alba Pontina a Riccardo – Io avevo il compito di bruciare auto, fare estorsioni e intimidazioni”, volevo sapere quale auto ha bruciato, quali estorsioni ha fatto e quali intimidazioni ha fatto, e come, e nei confronti di chi“.
La risposta di Riccardo è eloquente: “Avvocato, io le estorsioni non le posso dire, io me ne sono accusate circa un centinaio, oggi non mi vengono contestate. Ci sono indagini in corso“.
Ancora più chiaro, in un altro passaggio, è il pentito. E l’argomento si fa ancora più scottante perché riguarda ciò che si vocifera da tempo e da anni.
Le cosiddette “storie”, quelle recuperate da Agostino in riferimento a persone che avevano qualche credito da esigere o qualche debito da pagare, venivano passate all’ex affiliato dei clan zingari da persone del ramo professionistico, in particolare da commercialisti. In quelle storie, c’erano nuove persone da vessare ed estorcere.
Un aspetto che squarcerebbe un velo su un certo mondo del professionismo pontino di cui la politica tout court non é che riflesso speculare. Un certo ambiente, a sentire ciò che dicono i pentiti, inzuppato in rapporti putrescenti con la criminalità, anche quella più bassa, da strada. Non solo vittime tra i professionisti a Latina, come emerge nel processo Alba Pontina, ma anche uomini insospettabili che sfruttavano sgherri dei Di Silvio
Un avvocato, sempre nell’udienza del 10 giugno, chiede a Riccardo: “Chi sarebbero questi commercialisti e che cosa significa avere contatti con i commercialisti per le estorsioni?“. E il collaboratore di giustizia: “Avvocato, i nomi dei commercialisti non so se li posso dare, Presidente, ci sono le indagini aperte. Io conoscevo commercialisti, erano loro che mi passavano i recuperi crediti e le estorsioni da fare tra commercianti che avevano dei debiti pregressi di dare e avere da commercianti. Io la storia la passavo ad Armando (ndr: Di Silvio detto Lallà, considerato il boss della famiglia di Campo Boario) e gli dicevo “Arma’ guarda ho questo recupero qua, ho questa estorsione qua da fare”, e lui decideva quale figlio mandare“.
Al che, dopo un batti e ribatti in Aula, tra avvocato che voleva sapere, pentito recalcitrante per via delle “indagini aperte” e Presidente del collegio che alla fine lascia la scelta di fare nomi e circostanze a Riccardo, è intervenuto il pm di Alba Pontina Claudio De Lazzaro (ndr: il magistrato che insieme all’altro pm Luigia Spinelli ha condotto le indagini e rappresenta l’accusa al processo) a bloccare chiaramente la possibile testimonianza: “Ribadisco che essendo sottoposto al segreto di indagine le dichiarazioni relative ad ulteriori estorsioni sulle quali il collaboratore ha reso dichiarazioni ritengo che lo stesso non possa riferire su questo perché sottoposto a segreto d’ufficio, e che quindi non possano essere oggetto della odierna testimonianza“.
Ci sono indagini in corso, questo è pacifico, sia su altre estorsioni commesse da Riccardo, in autonomia o con gli altri due clan zingari di cui ha fatto parte, sia sui commercialisti di Latina che avrebbero passato le cosiddette “storie” al pentito macchiandosi di azioni inquietanti.
Solo che nel proseguo dell’udienza, almeno un nome Riccardo lo ha fatto individuando le estorsioni di un certo tipo (iniziate quando era affiliato ai Travali), laddove all’inizio si trattava di piccoli crediti derivanti da debiti di droga. Dunque cita, per estorsioni e pestaggi “da strada”, due nomi che non risultano nuovi alle cronache: Vincenzo Palaia (debito di droga) e Matteo Ciaravino (pestato per aver millantato in giro di far parte del Clan Di Silvio). Ma qui, come è chiaro, siamo ancora nell’alveo del sottobosco criminale.
Dove, invece, si espone il pentito è quando nomina quello che è, a suo dire, un commercialista di Latina, Gianluca Calligaris (imparentato, secondo il pentito, con Giancarlo Alessandrini capo tifoso del Latina Calcio al tempo di Maiettopoli), il cui cognome rimanda ad un altro commercialista di nome Ivan destinatario di un provvedimento di sequestro di conti e patrimonio da un milione e mezzo di euro per Iva evasa scaturito da un’inchiesta della Guarda di Finanza di Latina. Due fatti scollegati e peraltro di persone che non sono indagate in Alba Pontina, inseriti però in un contesto di domande e risposte dove ciò che si è appurato con certezza è che ci sono indagini aperte su più di qualcuno.
MALAVITA A LATINA: NON SOLO CLAN ZINGARI – Ciò che si evidenzia dall’interrogatorio di Agostino è afferente anche ad almeno due aspetti di una certa importanza investigativa.
Sappiamo, innanzitutto, che durante l’udienza del 10 giugno, quando un avvocato del collegio difensivo ha ricordato l’episodio del reperimento della droga a Tor Bella Monaca (in realtà fu un furto), il pentito ha rivelato due nomi che delineano un altro spaccato pontino non costituito da realtà sinti ma da altri soggetti della malavita che sarebbero specializzati nella vendita all’ingrosso della droga.
Riccardo e l’altro pentito, Renato Pugliese, all’epoca affiliati a Lallà, si recano nel quartiere romano alla ricerca di Franco Moccia, dell’omonimo clan napoletano trapiantato nella Capitale da decenni.
I due si sarebbero sentiti dire da Yuri Luparelli, il pugile romano ritenuto il capo piazza di Torbella: “Scusa – rivolto ai due pontini – mi ci avete infinocchiato su Latina per venire a servire a Roma”. Pugliese disse: “No, ma ci stanno dei problemi…”. E ancora, dal verbale reso agli investigatori da Riccardo: “Yuri aggiunse che c’erano altre persone per rifornirci tra cui Finocchiaro Piero detto “Il Roscetto“. Al che Agostino Riccardo, stavolta in sede d’udienza del 10 giugno, ha aggiunto: “E Ciprian Gianluca“.
Il secondo nome è noto. Si tratta dell’uomo più volte indicato dai pentiti come un vero e proprio broker della droga con la capacità di rifornire diversi clan nella provincia pontina. Arrestato a inizio anno a seguito di un’operazione internazionale contro il traffico di stupefacenti a Barcellona, il 41enne pontino è indicato anche come interlocutore di Armando Di Silvio al quale oltre che a vendergli la droga, portava, secondo le dichiarazioni di Riccardo, “anche una estorsione mensile di 10 mila euro per protezione“.
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Il primo nome, invece, rimane meno battuto ma sicuramente rilevante. È Pietro Finocchiaro, definito il Roscetto, 40 anni di Latina. Titolare di attività commerciali, Finocchiaro è stato arrestato lo scorso giugno, insieme a Stefano Carocci, mentre se ne andava in giro con un discreto arsenale di armi tra cui tre pistole cariche, di cui due munite di silenziatore e una di esse con il colpo in canna, ritrovate nell’auto guidata da Carocci.
Quest’ultimo, nel febbraio 2019, fu fermato sempre in auto e trovato in possesso di circa 130mila euro in contanti che non seppe giustificare. Ebbene, secondo il pentito Riccardo, Finocchiaro sarebbe conosciuto sin nella roccaforte dei Moccia a Tor Bella Monaca (una delle più grandi piazze di spaccio d’Italia).
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ZOF E MARICCA – Eppure, a colpire ancor di più delle ultime dichiarazioni di Agostino Riccardo, sono i riferimenti a due soggetti piuttosto noti della mala pontina: Alessandro Zof (sotto processo, in questo momento, per gli spari al Circeo ai danni dei Guzzon) ed Enzo Maricca.
Zof è stato pluri-citato sia nei verbali che nel processo Alba Pontina. Secondo Riccardo, la sua gambizzazione avvenuta nel 2010, nell’ambito della cosiddetta guerra criminale tra clan sinti e mala latinense, fu causata da una donna contesa e un litigio nel carcere di Latina tra lui e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, “lo zingaro alto 2 metri” figlio di Lallà già condannato in Appello nello stralcio romano di Alba Pontina.
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Alessandro Zof (in contatto anche con affiliati della Masseria Cardone del napoletano), già descritto come ex del Clan Travali, così viene di nuovo tratteggiato da Riccardo: “Alessandro voleva ammazzare tutta la famiglia Di Silvio. Perché in quel periodo nel 2016 c’erano personaggi di rilievo che avevano fatto già omicidi come Lello Gallo, Valerio Cornici, la batteria di Valerio Cornici, degli albanesi e dei rumeni. Però io gli dissi “È una guerra che non finisce più, va da Armando e vedi che Armando ti risolve la situazione. E così fu“.
Agostino Riccardo, in questo caso, risponde a una domanda del collegio difensivo durante il controesame. Quesito su Zof che, però, viene ripreso, poco dopo, anche dal pm. Ma qui, almeno, l’interesse del magistrato si comprende: Zof, infatti, è imputato in un altro processo (che pende in Appello) – gli spari al Circeo contro i Guzzon – e le dichiarazioni rese in questo dibattimento possono tornare utili all’accusa.
“Cosa lei sa, diciamo – chiede il pm De Lazzaro a Riccardo – sulla caratura di Alessandro Zof nell’attualità?”
“Alessandro Zof – risponde il collaboratore di giustizia – è un ex affiliato al Clan Travali, commetteva estorsioni, vendeva droga, ma più di tutto era una persona che sparava, non aveva scrupoli. Alessandro Zoff l’ultima gambizzazione che ha fatto ha sparato ai fratelli… a zio e nipote a San Felice, zio e nipote Guzzon. Alessandro Zoff ha sparato ad un ragazzo di Latina che è scappato all’estero. Alessandro Zoff ha sparato ad un commerciante di Latina. Alessandro Zoff da quando hanno arrestato i Travali ha fatto un gruppo di pregiudicati di Latina come Lello Gallo che ha scontato ventitrè anni per l’omicidio Micillo. È una persona che è indagata anche lui nella sparatoria ai fratelli Guzzon. Valerio Cornici idem. Alessandro Zoff non è l’ultimo arrivato, Presidente. È una persona senza scrupoli…loro stanno in società con altri pregiudicati di Latina“.
Se già si conosceva il legame tra Gallo, Cornici e Zof, la dichiarazione potrebbe rimandare a un altro tipo di organizzazione su Latina.
Ma ancora più pesanti sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su un altro personaggio noto alle cronache giudiziarie. Dichiarazioni che, nell’udienza del 10 giugno scorso, sono rese non a domanda degli avvocati della difesa ma a quelle del Pm nel riesame.
È proprio il magistrato che ha voluto specificatamente chiedere conto, infatti, di Enzo Maricca nonostante non risulti indagato in Alba Pontina o in inchieste recenti.
Maricca, pregiudicato, coinvolto in fatti di sangue (su tutti un omicidio al Lido di Latina), è fratello di un altro noto pregiudicato, Carlo Maricca, che fu citato da Pugliese in un’altra udienza di Alba Pontina. Pugliese disse che Maricca “lo voleva morto“: avrebbe convocato lui e Agostino Riccardo al suo maneggio nel capoluogo, proprio tramite Alessandro Zof, per “una truffa che facemmo al fratello di Giacomo Paniccia che stava con lui”.
Tornando invece ad Enzo Maricca, l’uomo viene citato nell’inchiesta Alba Pontina perché intervenne in una delle tante estorsioni contestate ai Di Silvio. Il suo intervento fu necessario per placare gli animi del clan zingaro. Ma questo la Procura di Latina lo sa bene. È altro, a quanto si evince dalla domanda del pm, che appare interessare.
Pm a Riccardo: “Sulle domande del difensore lei ha riferito che a casa di Armando per avere rapporti e parlare direttamente con Armando non poteva andare chiunque. Però alcune persone che avevano una più o meno particolare caratura potevano accedervi direttamente, ha fatto l’esempio di Enzo Maricca. Potrebbe dirci Enzo Maricca perché aveva questa caratura tale da poter arrivare direttamente a casa di Armando senza parlare con i figli?“.
Riccardo: “Enzo Maricca è un pregiudicato di Latina arrestato per omicidio, ha scontato una pena di vent’anni e rotti per omicidio, è un ex componente dei sette uomini d’oro (ndr: personaggi della mala di Latina che all’inizio degli anni novanta portarono a segno alcune rapine ai blindati). Enzo Maricca è una persona che se deve sparare ad un’altra persona non si pone neanche la domanda. E poi un’altra organizzazione criminale su Latina“.
Una frase, quest’ultima, che potrebbe rappresentare il grimaldello per altri episodi ma, soprattutto, per un’altra indagine a fare luce su ulteriori sodalizi interessati agli affari sporchi della città.
Chissà, fatto sta che, come per questi spunti che celerebbero nuove inchieste, rimangono sospese nel processo Alba Pontina altre due domande cui i pentiti non hanno mai risposto e sulla quale è calato più volte il silenzio in Aula in attesa, vana, che lo facessero.
Chi ha ucciso Massimiliano Moro nel 2010 e Ferdinando “Il Bello” Di Silvio nel 2003? È probabile che da questi due rebus, episodi accennati anche un anno fa in Aula da Pugliese (leggi link di seguito), mai chiariti (in gergo “cold case”) e bloccati anche dai pm quando i due pentiti vengono interpellati su di essi durante le deposizioni in Tribunale, si nascondano risposte dirimenti per il mondo della mala pontina e scenari finora rimasti occlusi nel guanto dell’omertà.
Una storia parallela – sulla quale si possono immaginare fascicoli investigativi aperti – che serve a comprendere fino in fondo la storia complessiva della città.
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