Fondi; una nuova interdittiva antimafia, dopo quella per due locali di Formia, colpisce una ditta di autotrasporti
Tempo di interdittive antimafia in provincia di Latina, nonostante passino sempre diversi mesi prima che i rapporti delle forze dell’ordine diventino esecutivi.
Stavolta, dopo il provvedimento che ha colpito il 29enne di Bova Marina (Reggio Calabria), Lorenzo Santoro, titolare di due attività in piazza Tommaso Testa a Formia, considerato in odore di ‘ndrangheta, è toccato a una ditta che ha interessi a Fondi. Una ditta di autotrasporti in una città che da sempre fa i conti, anche dal punto di vista delle indagini giudiziarie, con quel settore e il centro propulsore del Mercato Ortofrutticolo.
E non poteva mancare nella nuovo interdittiva firmata dal Prefetto di Latina, Maurizio Falco, su impulso di una relazione/informativa redatta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo, la figura del padrino di Fondi, Giuseppe D’Alterio, conosciuto come “‘O Marocchino, e dei suoi congiunti e personaggi a lui vicino.
Ad essere colpita da interdittiva antimafia è l’impresa di Antonio Penci, considerato l’ennesimo uomo legato a Giuseppe D’Alterio. I militari dell’Arma sottolineano i rapporti di D’Alterio con il clan dei Casalesi e con la cosca di “Cosa Nostra” Rinzivillo di Gela, segnalata da anni dai vari rapporti regionali antimafia come presenza attiva sul territorio di Latina e provincia. A comprovare questi rapporti tra D’Alterio e i sodalizi cammoristico-mafiosi una telefonata intercettata nel 2015 sul telefono della figli di ‘O Maorcchino, Melissa D’Alterio coinvolta e condannata anche lei, come altri famigliari, nell’ambito dell’operazione Aleppo I.
Tuttavia, Penci, secondo i Carabinieri, ci mette anche del suo e per tale ragione non può ottenere il certificato antimafia richiesto alle imprese: su tutto la circostanza di essere stato dipendente della ditta “Palma Francesco Saverio” che a sua volta nel 2019 è stata colpita da interdittiva proprio per la vicinanza ai D’Alterio. E a pesare anche il dipendente della ditta di Penci, ex dipendente della “Palma Francesco Saverio”: Antonio Iova, ritenuto punto di contatto tra il clan dei Casalesi e la camorra napoletana per gli affari intorno ai mercati dell’ortofrutta.
I legami di Penci arrivano, sempre attraverso i D’Alterio, anche a Terracina con i Licciardi-Marano, ossia il gruppo della feroce Alleanza di Secondigliano trapiantato a Terracina e da anni nelle cronache, anche per rapporti con i clan rom di Latina, Travali e Di Silvio.
A finire nel “taccuino” investigativo anche un’altra figura: un dipendente dell’impresa di Penci, anche lui in rapporti con i D’Alterio. Si tratta di Matteo Simoneschi, coinvolto nelle indagini della DDA di Roma, insieme a Giuseppe Salemmi, e imputato del reato di trasferimento fraudolento di beni. Ad aprile scorso, sia Simoneschi che Salemme sono stati assolti dal Tribunale di Roma, così come capitato, peraltro, a Giuseppe D’Alterio nel processo derivante dall’operazione Aleppo II. Ad ogni modo, secondo l’interdittiva prefettizia, che si basa sulla relazione dei Carabinieri, Simoneschi è un soggetto che influenza negativamente l’impresa di Penci: secondo la DDA di Roma, che aveva ottenuto il suo rinvio a giudizio, fungeva da prestanome della famiglia D’Alterio. La sua figura era emersa nella prima indagine “Aleppo I” come persona in grado di far eludere le posizioni di D’Alterio e dei figli Melissa, Luigi e Armando (condannati in primo grado nel processo Aleppo I) in merito alle attività della società “La Superma Srl”, la ditta che controllava l’indotto legato ai trasporti da e per il Mercato ortofrutticolo di Fondi.
E ancora sul groppone di Penci ci sarebbero, secondo l’interdittiva antimafia, verso cui è probabile sarà fatto ricorso, altri rapporti, in comune con i D’Alterio, con personaggi del calibro di Ettore Mendico – coinvolto nelle operazioni antimafia “Anni 90” e “Anni 2000 – Salvatore Frontoso coinvolto nell’operazione “Sud Pontino” risalente al luglio 2015 che contestava ai 20 arrestati (nel complesso furono una quarantina gli indagati) il monopolio camorristico dei trasporti, sempre nel mondo dell’ortofrutta, con la ditta “La Paganese” che aveva cannibalizzato i trasporti dai mercati di Fondi, in provincia di Latina, Catania, Palermo, Gela e Giugliano in Campania.