Operazione anti-droga a Formia: tra i particolari emersi nell’inchiesta di Guardia di Finanza e dalla Polizia di Latina le dichiarazioni di un co-indagato ritenuto affiliato al Clan Bidognetti e al momento collaboratore di giustizia
Una inchiesta approfondita quella coordinata dal Pm della DDA di Roma Corrado Fasanelli che ha cercato di scandagliare lo spaccio di una parte della città di Formia. Secondo gli inquirenti, il sodalizio per cui sono stati eseguiti 14 arresti (leggi link di approfondimento di seguito) aveva come base un piccolo negozio alimentari gestito dai coniugi Italo Ausiello e Carmina Fustolo (sorella di Salvatore, recentemente arrestato di nuovo con un carico di droga). Ma c’è di più.
Ciò che emerge, seppur marginalmente e non chiaramente, è anche un secondo livello di personaggi dal peso criminale più robusto ai quali alcuni dei pusher del sodalizio formiano si sarebbe rivolti in rapporti di subordinazione. Da questo punto di vista apre alcuni spunti investigativi la vicenda di Giuseppe Basco, 45 anni, domiciliato a Formia ma originario del casertano, il quale, anche sulla base di una segnalazione della Squadra Mobile casertana, sarebbe stato un tempo affiliato al clan Bidognetti.
Basco, per intenderci, avrebbe fatto parte del sodalizio di Ausiello/Fustolo in maniera defilata, una sorta di cane sciolto che riforniva la droga. E, successivamente a un episodio violento di cui fu vittima, il 45enne ha iniziato a rendere dichiarazioni importati agli organi investigativi diventando collaboratore di giustizia.
Si tratta di colui il quale viene sequestrato il 24 febbraio 2020 per un debito di droga (episodio menzionato nell’ordinanza sullo spaccio formiano) – che da 5mila euro arrivò a 31mila euro – da un commando alla cui testa c’era Antonio Tornincasa (risulta indagato nell’operazione concretizzata dall’ordinanza del Gip di Roma Francesco Patrone), 52enne di Arzano, trapiantato nel sud pontino, insieme al figlio 28enne Emanuele, arrestato il 24 maggio scorso, e a un altro coinvolto e arrestato nell’operazione sullo spaccio (leggi approfondimento), Enrico De Meo, 32enne di Formia
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Il “prelievo” forzato di Giuseppe Basco, nel febbraio di oltre due anni fa, avviene in un bar di Casal di Principe, dopo che l’uomo era stato invitato a recarsi lì da Emanuele Tornincasa. All’incontro, Basco trova anche Antonio Tornincasa, un tal Genny di Secondigliano e un altro soggetto. Costretto a salire su una Panda color melanzana, Basco fu portato a Formia presso la sua abitazione dove trovò ad attenderlo De Meo e Carmina Fustolo. Dopo essere stato schiaffeggiato per aver fatto presente di non avere i soldi del debito di droga e minacciato di morte, Basco fu condotto in auto a Castel Volturno, nei pressi di un laghetto. Legato alle mani, ai piedi e al collo, all’uomo furono sventolate di fronte due pistole. Successivamente il capo del commando, Antonio Tornincasa, contattò anche la moglie dell’uomo su Facebook per farsi dare i 31mila euro e in cambio lasciare in vita il marito. Solo dopo l’avvertimento della moglie di Basco riguardo a una eventuale chiamata ai Carabinieri per denunciare il sequestro, l’uomo fu liberato dai militari dell’Arma a Casal di Principe. Per quei fatti Antonio Tornincasa è stata condannato in primo grado, dalla Corte di Assise di Napoli, alla pena di 17 anni di reclusione per il reato di sequestro di persona a scopo estorsivo. 6 anni e mezzo per il figlio Emanuele Tornincasa e per il formiano De Meo, colpevoli per i giudici di Napoli del reato di tentata estorsione. Tuttora il procedimento pende dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli.
Successive e conseguente al fatto violento, molto grave e crudo, ci sono le dichiarazioni della vittima che, seppur indagato nell’operazione sfociata negli arresti dello scorso 24 maggio, risultano esemplificative di un certo spaccato sud pontino. Interrogato tra l’aprile e il maggio del 2020 perché trovato in possesso di un fucile senza autorizzazione, Basco confermò ai magistrati di Cassino e della DDA di Roma di detenere a casa una certa quantità di armi. Armi che sarebbero state riferibili a Emanuele, Antonio e Nando Tornincasa (quest’ultimo estraneo all’indagine sullo spaccio formiano), a un certo Michele di Caivano detto ‘O Pazz (solo omonimo del boss di Afragola trapiantato a Roma Michele Senese detto ‘O Pazz), a un altro soggetto di nome Nicola detto ‘O Mastrone, segnalato come appartenente al Clan Bidognetti, e ad altri personaggi tra i quali sono menzionati Mimmo Onorato di Arzano e Gustavo Bardellino della nota famiglia trapianta a Formia, nipote del fondatore del Clan dei Casalesi Antonio Bardellino. Bardellino, secondo le dichiarazioni rese da Basco, avrebbe fatto ritirare le armi quando servivano a uno degli arrestati dell’operazione formiana: Enrico De Meo.
A febbraio uno dei Bardellino, sempre di nome Gustavo – non è dato sapere se sia lo stesso menzionato dal collaboratore Basco -, è stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco nell’autosalone formiano e miracolosamente scampato alla morte. Un episodio rimasto ancora non chiarito e sul quale ha messo gli occhi la DDA.
È stato il Basco, ad ogni modo, a dichiarare alla DDA che alla fine del maggio 2019 sarebbe stato mandato da due esponenti del Clan dei Casalesi, fazione “Schiavone”, a ritirare il ricavato delle estorsioni (2mila euro a settimana) per portarle a Formia, per un periodo di venti giorni, da Gustavo Bardellino. I soldi, in parte, sarebbero stati girati (500 euro) ai due luogotenenti Vincenzo Di Caterino e Romolo Corvino.
La consegna dei soldi si sarebbe interrotta, a detta del Basco, perché quest’ultimo, legato ai Bidognetti, a un certo punto, si è rifiutato di continuare in quanto il succitato Bardellino apparteneva a un clan rivale. Solo dopo un chiarimento, in quanto Basco abitava nella stessa via di Bardellino, l’uomo si sarebbe convinto di continuare a versare i soldi delle estorsioni.
Nel giugno 2019, in un vertice a Gaeta, alla presenza di Tornincasa, sarebbe stato detto a Bardellino che non avrebbe più ricevuto i 2mila euro a settimana. L’esito dell’incontro chiarificatore sarebbe stato un accordo: in cambio di un mensile da 1000 euro, Bardellino avrebbe consentito ai Tornincasa (nel frattempo alleatisi anche con i Casalesi) di allargare il giro di spaccio.
Secondo quanto riportato da Basco e dall’ordinanza firmata dal Gip di Roma Patrone, Emanuele Tornicasa, arrestato pochi giorni fa, avrebbe spacciato ogni mese due chili e mezzo di cocaina, 5 chili di marijuana e 15-20 chili di hashish. E tra i clienti di Tornincasa, procurati da Basco, ci sarebbe stato anche il titolare del “Blue Moon” di Ponza, quel Vincenzo Pesce arrestato il 25 maggio nell’operazione dei Carabinieri di Formia e della Procura di Cassino: un’inchiesta che è iniziata con la morte misteriosa del buttafuori e campione di kickboxing romano Giamarco Pozzi (sul quale le indagini sono tuttora aperte).
Tornincasa e Basco avrebbero venduto a Pesce una considerevole quantità di droga, poi impacchettata e trasportata sull’isola di Ponza tramite aliscafo da un dipendente marittimo: a settimana, secondo quanto riportato nell’ordinanza, 350 grammi di cocaina, 250 grammi di marijuana e 4 chili di hashish. E trai clienti ai quali Basco forniva la droga ci sarebbero stati anche tre dei personaggi coinviolto nell’operazione formiana: Gianfranco Simeone detto “Melone” (arrestato) e i fratelli Salvatore (indagato) e Camina detta “Mina” Fustolo (arrestata).
Inoltre, sempre Basco, che ha dichiarato di smerciare droga per contro di Tornincasa a Formia, Itri, Gaeta e Scauri, ha sostenuto davanti agli inquirenti di aver rifornito due coppie segnalate a Emanuele Tornicasa da Gustavo Bardellino per i quali il medesimo Basco avrebbe custodito la “merce”. Chiaramente, tra i destinatari della droga ci sarebbero stati anche i Fustolo. A curare il commercio e la preparazione della droga per questi ultimi, sarebbe stato il finanziere della Scuola Nautica di Gaeta, Roberto De Simone detto “El Chapo” il quale ha già patteggiato una pena per detenzione di spaccio di stupefacenti (1 anno e 8 mesi).