Yussef Salia, uno dei quattro imputati nel processo per la morte di Desirée Mariottini, ha detto di essere estraneo ai fatti e ha annunciato di voler ritirare la denuncia presentata contro i genitori della vittima per omessa vigilanza. L’uomo, difeso dall’avvocato del foro pontino Maria Antonietta Cestra, era finito sotto i riflettori dopo che la medesima legale aveva presentato una denuncia contro i genitori della ragazza per abbandono di minore, durante l’incidente probatorio. Un comportamento, quello dell’avvocato Cestra, ritenuto da diverse associazioni “deontologicamente scorretto” e alquanto inopportuno a cui seguirono molte polemiche.
“Ritenendo deontologicamente scorretto il comportamento dell’avvocata, anche rispetto all’intervista rilasciata al TG3 – riportava il sito cerchiodegliuomini.org – molte associazioni hanno inviato una lettera, il cui testo è stato predisposto dall’avvocata Michela Quagliano del Foro di Torino, al Consiglio Nazionale Forense e all’Ordine degli Avvocati di Latina (albo nel quale è iscritta l’avvocata Cestra)“. Leggi qui il testo della lettera.
“Non sono responsabile della morte di questa ragazza, chiedo perdono e scusa alla madre e alla famiglia e rispetto il loro dolore”. Così ha dichiarato, Salia, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma nel processo che lo vede imputato insieme a Alinno Chima, Mamadou Gara e Brian Minthe per omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti capitolini, alla ragazza era stato dato un mix di psicofarmaci per patologie come bipolarismo e schizofrenia. Gli indagati sapevano che quella miscela avrebbe potuto ucciderla, ma non gli sarebbe importato. E l’ipotesi, ancor più truce, è che lo abbiano fatto apposta per poterla violentare, a turno.
La giovane Desirée, in astinenza da eroina, avrebbe ingoiato tutto, assumendo anche gocce di metadone. Contro gli indagati, come noto, ci sono sono diverse prove tra cui anche il Dna di alcuni di loro trovato sul corpo della ragazza su un flacone di metadone e su una cannuccia utilizzata anche da Desirée per fumare crack.
A condurre le indagini sono stati gli agenti della Squadra mobile, coordinati dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Stefano Pizza.
“Quando la mamma di Desirée si è accorta del disagio in cui versava la ragazza si è subito attivata e si è rivolta al Sert, ovvero il servizio per le tossicodipendenze”, hanno precisano gli avvocati Maria Teresa Ciotti e Claudia Sorrenti, legali della mamma e della zia al termine dell’udienza. “È dura per la mamma stare nella stessa aula con gli imputati, il processo sarà lungo e ogni udienza sarà una ferita lacerante per lei e per i nonni. Si fanno forza e aspettano giustizia“, dichiarano a Il Fatto Quotidiano i legali facendo riferimento alla presenza nell’aula bunker di Rebibbia della mamme e dei famigliari della 16enne.
La prossima udienza è fissata per il 15 gennaio.