DA “TRITONE” ALLA MAFIA APRILIANA: GLI SPIFFERI SULLE INCHIESTE AI BOSS

Patrizio Forniti risultava tra gli indagati della imponente inchiesta denominata “Tritone” che ha fatto emergere la presenza della locale di ‘ndrangheta tra Anzio e Nettuno

Un capo d’imputazione minore per Patrizio Forniti, 50enne, il boss della cosca di Aprilia ancora ricercato dalle forze dell’ordine, in cui gli si contestava una cessione di droga ad un altro soggetto, in concorso, con uno dei leader della locale di ‘ndrangheta tra Anzio e Nettuno, Giacomo Madaffari.

In quell’inchiesta, denominata “Tritone”, emergevano fatti che si trovano nell’indagine sfociata nella ordinanza la cui esecuzione avvenuto lo scorso 3 luglio ha messo fine all’amministrazione dell’ex sindaco Lanfranco Principi, arrestato e posto ai domiciliari con l’accusa grave di concorso esterno con l’associazione mafiosa di Forniti.

Un punto che, al momento, rimane da chiarire è per quale ragione l’inchiesta di Aprilia fosse già chiusa nel 2021, ma ha trovato la sua esecuzione tre anni dopo. Una indagine condotta dalla DDA di Roma, con l’ausilio dei Carabinieri del Reparto Territoriale di Aprilia e della Direzione Investigativa Antimafia, che ha rivelato di come Aprilia, la seconda città della provincia di Latina, sia stata pesantemente infiltrata da una cosca che è a metà tra l’origine autocotona e la protezione potente della ‘ndrangheta.

E i rapporti con la ‘ndrangheta, venivano evidenziati fortemente già nella inchiesta Tritone. Una città, Aprilia, che da decenni vede forte la presenza di personaggi legati al mondo mafioso calabro, alcuni dei quali seppur in sonno negli affari criminali continuano ad essere presenti. Forniti e la sua consorteria criminale avevano affermato la loro influenza, arrivando fino in comune tramite uomini di raccordo come l’imprenditore Mario Antolini, annoverando tra le loro fila personaggi del calibro di Luca De Luca e potendo contare sull’amico Sergio Gangemi, imprenditore legato alla ‘ndrangheta reggina.

Nel 2022, l’inchiesta Tritone confermava gli addentellati della locale di ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno, soprattutto, con Aprilia. Ad essere indagati, tra i pontini, si trovava il nome del 57enne Luca Albarello di Aprilia. Per lui il Gip aveva stabilito gli arresti domiciliari. Albarello è cognato proprio di Patrizio Forniti, gravitante tra Aprilia e il litorale di Anzio. Forniti per cui non fu emessa nessuna misura cautelare veniva citato come in almeno due episodi della corposa indagine. Secondo il Gip di Roma Livio Sabatini, che ha firmato l’ordinanza, Albarello avrebbe incontrato il capo della ndrina di Anzio-Nettuno Giacomo Madaffari, legato ai Gallace, per ottenere il lasciapassare a recarsi nella panetteria di un altro indagato, Gregorio Spanò, per concordare la vendita di un chilo di cocaina.

Un altro indagato, Ciro Scognamiglio, nato a Napoli ma residente ad Aprilia, coinvolto in una indagine a novembre 2020, che vedeva scoperchiare sempre i traffici dei Gallace tra Roma, Aprilia, Anzio e Nettuno, e arrestato con la misura del carcere nell’operazione “Tritone”, sarebbe stato coinvolto in uno smercio di droga. Per quanto riportavano gli inquirenti, Scognamiglio, a cui era contestata l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, avrebbe acquistato da Forniti e Albarello per il tramite di Giacomo Madafarri, del suo braccio destro Gregorio Spanò e Fatmir Limaci (albanese come altri coinvolti proprio perché la ndrina di Anzio/Nettuno si rapportava anche con il mondo della droga gestito da albanesi) un imprecisato quantitativo di cocaina.

Forniti, già nel 2020, non era affatto un nome qualunque tanto è che veniva menzionato svariate volte dai collaboratori di giustizia pontini Agostino Riccardo e Renato Pugliese come punto di riferimento ad Aprilia per i loro ex clan rom. Sempre nell’ambito dello smercio di droga.

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Il 50enne è stato successivamente condannato in primo grado, nel gennaio del2024, nel processo per estorsione con l’aggravante mafiosa ai danni di due imprenditori di Aprilia e Pomezia, nell’ambito di un procedimento che ha visto giudicare separatamente Sergio Gangemil’uomo ritenuto dalla DDA a contatto con la ‘ndrangheta e condannato a oltre sette anni per tale episodio.

Forniti, nell’inchiesta Tritone, veniva anche citato a proposito di un episodio che testimonierebbe la caratura criminale di Giacomo Madaffari, capace di mediare con i Di Silvio/Spada in una diatriba emersa al quartiere Europa di Anzio e di intervenire in un’altra vicenda esemplificativa. E da ciò che emergeva in una conversazione tra l’altro capo clan, Bruno Gallace, e uno dei coinvolti nell’operazione, Vincenzo Italiano, persino Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, l’ultrà della Lazio, ritenuto capo di narcos romani, e freddato nel 2019 a Roma, si sarebbe rivolto al locale di Anzio/Nettuno dopo un tentativo di estorsione presso il bar che deteneva ad Anzio, il “Marron Five”.

Madaffari, come non bastasse a dimostrare il suo peso, sarebbe intervenuto dopo un violento pestaggio organizzato da Monica Montenero, moglie di Forniti e sorella di del noto negli ambienti criminali Nino Montenero di Aprilia. Il pestaggio si sarebbe consumato ai danni di un individuo, detto il Turco, responsabile dell’aggressione del genero, Nabil Salami. Un episodio che oggi viene contestato nell’inchiesta apriliana.

Ma l’allure di Madaffari si sarebbe manifestata sempre nei riguardi di Forniti in un’occasione per dirimere una questione tra quest’ultimi e “certi di Pomezia” avendo dissuaso il medesimo e Ivan Casentini, anche lui di Aprilia e nipote di Forniti, dall’attuare la loro vendetta contro Massimiliano Sparacio, ritenuto responsabile dell’omicidio di Palli Luca avvenuto ad Aprilia il 31 ottobre 2017.

Madaffari affermava che il “me Stefano, il maresciallo, qua di Aprilia, mi ha chiamato, digli a Patrizio di fermarsi immediatamente perché sanno tutto…sanno tutto, digli di non muovere…Patrizio io ho parlato con questo qua, mi ha detto di lascia’ perdere, stai lontano perche se lo andate a toccare vi arrestano a tutti, ci hanno tutto in mano loro…“. Al che Casentini sosteneva di essere stato fermato anche da tal Almaviva (che parrebbe rimandare al nome del carabiniere di Aprilia rinviato a giudizio col collega Fabio Di Lorenzo nel processo Don’t Touch 2 sempre in ordine ad alcune soffiate) il quale gli avrebbe intimato di lasciar perdere con l’atto di ritorsione contro Sparacio.

Una vendetta che secondo gli investigatori sarebbe stata alla fine fermata anche da un altro personaggio ritenuto di peso nel quadro degli ambienti: Luca De Luca, il quale parimenti a Madaffari avrebbe stoppato Forniti dal proposito di recarsi da Sparacio. D’altra parte il legame tra Fornti e Madaffari sarebbe di mutuo e reciproco soccorso: il 50enne di Aprilia, infatti, secondo diverse intercettazioni trascritte dai Carabinieri, avrebbe passato una notizia di una indagine in corso sul gruppo di ‘ndrangheta Gallace/Madaffari (Giacomo Madaffari spiegava che associando a lui il nome di Gallace “vogliono aggravare pure me“). Lo si evidenziava chiaramente in una conversazione tra Giacomo Madaffari stesso e il suo uomo più fidato, Gregorio Spanò; peraltro, nei loro dialoghi, si faceva cenno a un’indagine della DDA su Aprilia.

Sappiamo oggi dall’inchiesta su Aprilia che il clan di Forniti non accetta nessuno scavalcamento di campo e non temeva di progettare l’uccisione del boss della locale di ‘ndrangheta tra Anzio e Nettuno, Giacomo Madaffari, soprannominato “Mario Bros”.

È proprio Patrizio Forniti con la figlia Yesenia e il compagno di lei, Nabil Salami, a progettare un attentato alla vita di Madaffari, responsabile agli occhi del clan di essere stato aiutato da un personaggio, noto come Cavallo, vicino a Forniti: Salvatore Siani. Alla fine l’attentato salta per l’intermediazione di Salvatore Vetrano (anche lui indagato nell’inchiesta “Tritone”), persona citata nelle carte dell’indagine “Appia” e vicina al boss calabro Bruno Gallace.

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