CHIOSCHI MAFIOSI: COMUNE DI LATINA AMMESSO COME PARTE CIVILE

CHIOSCHI MAFIOSI: COMUNE DI LATINA AMMESSO COME PARTE CIVILE

Alessandro Zof
Alessandro Zof

Primo chiosco sul lungomare di Latina, battaglia sulla costituzione della parte civile presentata dal Comune

Il primo collegio del Tribunale di Latina, composto dalla terna di giudici Soana-Nadile-Brenda, ha accolto la costituzione di parte civile presentata dal Comune di Latina, tramite l’avvocato dell’ente Alessandra Capozzi. È valsa quindi la tesi dell’ente di Piazza del Popolo che, essendo parte offesa, avrebbe dovuto essere avvertita con una notifica ad hoc. Invece, a monte, nell’avviso conclusione indagine, il Comune di Latina non era indicato dalla Procura/DDA di Roma. Un aspetto che fa ammettere l’ente comunale nel processo, pur assente nell’udienza preliminare, luogo preposto, secondo la legge Cartabia, a presentare la costituzione di parte civile.

Una pronuncia quella del Tribunale di Latina che era stata preceduta da una dura battaglia in aula in quanto gli avvocati difensori Alessia Vita, Virgina Ricci, Giovanni Codastefano e Francesco Vasaturo hanno eccepito sulla costituzione del Comune di Latina. Secondo la difesa, l’ente sapeva dell’udienza preliminare in quanto il procedimento è stato mediatico sin dagli arresti del gennaio 2024 e sempre seguito dagli organi d’informazione locale che hanno dato ampio spazio al celebrarsi della suddetta udienza preliminare che si è svolta presso il Tribunale di Roma.

Il Comune di Latina, invece, ha ribadito che all’ente non è stato dato avviso dell’udienza preliminare, trovando il benestare anche del pubblico ministero Francesco Gualtieri che si è associato alla richiesta. Secondo il Tribunale, però, gli articoli di giornali non possono sopperire alla mancanza di notifica dell’udienza preliminare, ragione per cui il Comune è parte civile per tre capi d’imputazione in cui sono contestati reati (per turbativa d’asta col metodo mafioso) agli imputati principali: Alessandro e Maurizio Zof. Presente in aula il sindaco di Latina, Matilde Celentano, che ha seguito l’udienza fino all’accoglimento della costituzione di parte civile del Comune.

“Il Comune di Latina – ha affermato il sindaco Celentano – è ufficialmente parte civile al processo in corso. Mi ritengo soddisfatta dell’accoglimento della richiesta presentata dall’avvocato Alessandra Capozzi, incaricata dalla giunta su mio espresso indirizzo. L’avvocato Capozzi, dell’Avvocatura comunale, ha ribadito che il Comune di Latina, pur essendo parte offesa, non aveva ricevuto notifica dell’udienza preliminare e per questo è stata ritenuta legittima la costituzione di parte civile all’apertura del dibattimento. Non è mai mancata la volontà da parte mia e di tutta l’amministrazione comunale di tutelare l’immagine del Comune di Latina e dell’intera città”.

“L’accoglimento della richiesta di parte civile del Comune di Latina in questo processo avviene in una giornata particolare: il 23 maggio, in cui si celebra la legalità e la memoria del 33° anniversario della Strage di Capaci. La nostra amministrazione è dalla parte della legalità e intende dimostrarlo ogni qualvolta ce ne sia occasione”, ha concluso il sindaco Celentano.

Il Tribunale ha inoltre respinto la richiesta di un rito abbreviato condizionato così come presentata dalla difesa. Il processo si farà nel primo collegio, tanto che è stato dichiarato aperto il dibattimento. In particolare, gli avvocati Alessia Vita, Virginia Ricci, Francesco Vasaturo, Marco Lucentini e Sandro Marcheselli avevano chiesto, nella precedente udienza di aprileche i propri assistiti vengano giudicati col rito abbreviato condizionato (in riferimento ad alcuni capi di imputazione) ad ascoltare le persone offese che, secondo la DDA, sono state vittime delle loro estorsioni contestata col metodo mafioso. Si tratta degli imputati Alessandro, Fabio e Maurizio Zof, oltreché a Giovanni Ciaravino e Davide Facca.

A tali eccezioni si era opposto il pubblico ministero della DDA di Roma, Francesco Gualtieri, ricordando che la richiesta di rito abbreviato condizionato è stata già rigettata in udienza preliminare quando, a dicembre, si è concretizzato il rinvio a giudizio per gli imputati. Secondo il pubblico ministero, inoltre, non erano valide le eccezioni presentate dall’avvocato Vasaturo che aveva richiamato per Ciaravino la sentenza di Cassazione che aveva rinviato, facendo cadere l’aggravante mafiosa, il suo processo in Appello per il rito abbreviato del maxi procedimento “Reset” e la stessa sentenza del processo “Reset” che, come noto, aveva assolto dall’associazione mafiosa dedita al narcotraffico il clan Travali, di cui Ciaravino sarebbe stato affiliato. Il pm antimafia aveva sostenuto che, in realtà, nel processo Reset, le sentenze sulle estorsioni con metodo mafioso avevano retto e, quindi, ci sarebbe una continuità con le contestazioni dell’attuale processo. A Ciaravino, nel processo Reset, non erano contestate estorsioni mafiose, bensì l’associazione mafiosa dedita al narcotraffico.

Esaurite le eccezioni preliminare, il processo inizierà formalmente il prossimo 9 luglio con l’esame delle parti offese: in tutto dieci testimoni. Ammesse le riprese della Rai che ha fatto richiesta di documentare il processo, oscurando il viso di Facca e Ciaravino.

IL PROCESSO E LE INDAGINI – Il processo vede al centro delle indagini le minacce per il predominio dei chioschi sul lungomare di Latina e alcuni episodi di estorsioni e spaccio di droga consumatisi a Latina.

A novembre scorso, i pubblici ministeri della DDA di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, avevano depositato, per dimostrare il metodo mafioso, le carte dell’indagine “Assedio”, in cui è emersa la cosca di Aprilia che ha portato alla caduta dell’amministrazione comunale e alle dimissioni del Sindaco Lanfranco Principi, finito ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I sostituti procuratori antimafia hanno depositato anche tutta una serie di intercettazioni poiché, secondo il quadro accusatorio ipotizzato, vi fu un problema tra il sodalizio apriliano di Patrizio Forniti e il cosiddetto clan Travali di Latina, in particolare con Alessandro Zof.

Fu, infatti, un contrasto che si creò per il quarto chiosco sul lungomare di Latina, il cui titolare era finito nelle grinfie del clan Travali. I rapporti tra Angelo Travali e Patrizio Forniti erano più che buoni, dal momento che il secondo forniva di droga il primo il quale, fino al 2015, primeggiava col suo sodalizio su Latina. Solo che il clan Travali aveva messo gli occhi sull’attività che si trova sul lungomare, non facendo i conti sul fatto che il titolare sarebbe stato protetto dal clan Forniti.

Uno degli esponenti del clan Travali, Alessandro Zof, si era presentato con il fratello presso il chiosco del protetto di Forniti. Dopo aver ordinato un bicchiere di sambuca, Zof lo aveva buttato a terra e aveva detto al titolare che avrebbe dovuto apparecchiare la tavola perché nel locale sarebbero andati in dieci persone per mangiare gratis. Come noto, gli Zof da sempre si sono considerati i padroni del litorale latinense, avendo avuto per anni la concessione del primo chiosco, il cosiddetto “Topo Beach”.

Dopo l’avvertimento, il titolare del quarto chiosco, impaurito, si recò da uno dei membri del sodalizio di Forniti, Marco Antolini, e chiese protezione rispetto alle minacce di Zof, personaggio poi arrestato nell’operazione Reset e tuttora imputato nel processo omonimo (per cui ha ricevuto un aggravamento della misura ed è tornato in carcere): a lui così come a Travali viene contestata l’associazione mafiosa. Invece, per quell’ambasciata violenta, la DDA chiede per Zof e il fratello ha ottenuto il rinvio a giudizio: contestato il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso.

L’organizzazione di Forniti rassicurò il titolare del locale, il quale doveva riferire a Zof che “si sono mosse delle persone di Aprilia che il chiosco il primo glielo mandano a Ponza“. Alla fine, a portare il messaggio a Zof, fu il pregiudicato Roberto Iosca, indicato da De Luca e Luigi Morra (il numero tre del clan Forniti, uno degli amici della “Primula”, il locale adibito a base operativa ad Aprilia) i quali avrebbero voluto sparare contro il predetto Zof. Alla fine, la storia si concluse con una mediazione, sebbene lo stesso Alessandro Zof fosse stato denunciato dal padre del titolare che, a differenza del figlio, aveva scelto di rivolgersi alla autorità competenti.

Prima, però, che tutto fosse calmierato, lo stesso Luigi Morra propose al clan di prendersi il primo chiosco come per dare una prova di quanto fossero forti, per vedere “tutti questi topi da dove escono”. E ancora: “Questi sono dieci, noi siamo cento”.

Tornando al procedimento sui chioschi, a giugno scorso furono in tutto dodici gli avvisi di conclusione indagine per il procedimento penale che lo scorso 30 gennaio si è concretizzato in otto misure cautelari nei confronti di altrettante persone per i reati di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, diversi episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché per trasferimento fraudolento di valori. Uno dei destinatari dell’avviso conclusione indagini era l’imprenditore di Latina, Alfonso Attanasio, il 40enne arrestato per furto di energia elettrica operato dai suoi supermercati a Latina e Roma. Attanasio, però, è uscito dal procedimento in quanto la sua posizione è stata archiviata.

Al centro dell’indagine sui chioschi, portata a termine dalla Squadra Mobile di Latina, il primo chiosco sul lungomare di Latina, lato Rio Martino, denominato ex Topo Beach; indagando gli investigatori hanno fatto emergere anche alcuni episodi di spaccio ed estorsione slegati dagli interessi della famiglia Zof sul litorale del capoluogo.

Ad essere raggiunti dall’avviso di garanzia anche gli unici a finire in carcere (per gli altri misure di domiciliari) lo scorso 30 gennaio: il 31enne Ahmed Jegurim e il 30enne Christian Ziroli che, però, non hanno nulla a che vedere con le trame che si sono svolte dietro l’assegnazione del primo chiosco sul lungomare di Latina: vale a dire il noto “Topo Beach” che, nel 2016, con l’avvento dell’amministrazione Coletta, fu rimesso a gara, dopo decenni. Per i due trentenni accuse di spaccio ed estorsione nell’ambito del mercato della droga.

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Ai tre Zof sono contestati reati aggravati dal metodo mafioso, in ragione del legame che soprattutto Alessandro Zof, secondo la DDA, ha con il clan Travali/Di Silvio, per cui, peraltro, è a processo con l’accusa di associazione mafiosa derivante dall’operazione “Reset”. Nell’udienza preliminare il Comune di Latina non si è costituto parte civile: un’assenza che precluderà la costituzione di parte civile anche quanto il processo inizierà a Latina, secondo le nuove regole della Legga Cartabia.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Giancarlo Vitelli, Alessia Vita, Sandro Marcheselli, Stefano Iucci, Giovanni Codastefano, Luca Amedeo Melegari, Francesco Vasaturo, Giovanni Capozio, Marco Lucentini e Moreno Gullì.

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