PRESSIONI MAFIOSE PER IL TOPO BEACH: IN ARRESTO ZOF PADRE E FIGLIO. ECCO CHI SONO GLI ALTRI COINVOLTI

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Alessandro Zof
Alessandro Zof

Primo chiosco sul lungomare di Latina, oggi l’operazione di Antimafia e Squadra Mobile: 5 gi arresti per una vicenda che parte dal 2016. Al centro dell’indagine il primo chiosco, latina Rio Martino, denominato ex Topo Beach; indagando gli investigatori hanno fatto emergere alcuni episodi

La Polizia di Stato, a Latina, questa notte, ha eseguito otto misure cautelari nei confronti di altrettante persone per i reati di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, diversi episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché per trasferimento fraudolento di valori.

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Le indagini, condotte dai poliziotti della Squadra Mobile con il coordinamento del sostituto procuratore della D.D.A. di Roma, Luigia Spinelli, hanno avuto origine da una segnalazione effettuata dal Comune di Latina nei primi mesi del 2021 (amministrazione Coletta). In tale atto si faceva riferimento al fatto che la rinuncia alla gestione del 1° chiosco del lungomare di Latina da parte dei legittimi aggiudicatari, individuati all’esito di una procedura ad evidenza pubblica avviata nei primi mesi del 2020, potesse essere il frutto di pressioni da parte di non meglio precisati soggetti. Tale situazione sembrava riproporre quanto già accaduto nel 2016, quando il Comune di Latina aveva emanato un bando per la realizzazione dei chioschi sull’area demaniale antistante il lungomare e, nell’aprile del 2017, dopo l’aggiudicazione definitiva delle aree, il legale rappresentate della ditta che si era aggiudicata l’area n. 1 vi aveva rinunciato senza un apparente motivo.

Gli approfondimenti svolti, quindi, hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di una serie di atti intimidatori realizzati tra il 2016 ed il 2020, veicolati anche tramite i social network, che hanno inciso negativamente sull’aggiudicazione del chiosco n. 1 del lungomare di Latina e sulla libera attività esercitata dai gestori degli altri esercizi pubblici di ristorazione lì ubicati.

Il banner della campagna contro la nuova assegnazione del primo chiosco partita nel 2016. Come noto il primo chiosco è stato gestito per anni dalla famiglia Zof
Il banner della campagna contro la nuova assegnazione del primo chiosco partita nel 2016. Come noto il primo chiosco è stato gestito per anni dalla famiglia Zof

Inoltre, sono stati raccolti gravi indizi in merito all’attività di spaccio di stupefacenti gestita da uno degli odierni indagati, consentendo di ricostruire l’utilizzo di metodi intimidatori impiegati per la riscossione dei crediti insoluti.

Infine, sono stati acquisiti gravi indizi in merito ad alcuni episodi di spaccio di stupefacenti e di recupero con metodi violenti dei relativi crediti da parte di altri tre degli odierni indagati, nonché in merito alla intestazione fittizia in capo ad un altro indagato di una società gestita di fatto da un altro soggetto.

Un quadro indiziario rilevante quello delineato dalla complessa attività di indagine svolta, che ha portato all’esecuzione di due misure di custodia in carcere, tre arresti domiciliari e tre obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, eseguite tra le città di Latina, Pescara e Milano.

Ad essere arrestati, in carcere, Ahmed Jegurim (40 anni), volto noto a forze dell’ordine e cronache giudiziarie in merito a episodi di rapine e violenze, e Cristian Ziroli (29 anni), anche lui noto e coinvolto con lo stesso Jegurim almeno in un episodio di tentata estorsione nei confronti di un barbiere a Latina. I loro nomi, che non hanno nulla a che vedere con il primo chiosco, emergono perché indagando gli investigatori si sono resi conti di alcuni episodi per cui i due devono rispondere di estorsione semplice (senza l’aggravante del metodo mafioso).

L’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari è a carico di Alessandro Zof (39 anni), del padre di quest’ultimo, Maurizio Zof (69 anni), storico gestore del primo chiosco denominato Topo Beach, prima che le concessioni fossero messe di nuovo a gara, e Pasquale Scalise (53 anni), considerato il proprietario di fatto di una società, la MR Cash, che risultava formalmente in capo a Fabio Zof, fratello di Alessandro e figlio di Maurizio.

Proprio Fabio Zof (35 anni), insieme al 50enne Corrado Giuliani (coinvolto nel maxi processo “Reset”, in cui viene contestata l’associazione mafiosa al clan Travali) e il 37enne Franco Di Stefano sono stati destinatari della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Peraltro Franco Di Stefano, assolto in Appello nel processo al clan Di Silvio denominato “Scarface”, è il fratello dei più noti Fabio Di Stefano, esponente di spicco nel clan retto da “Romolo” Di Silvio, e figlio di Salvatore Di Stefano, ex contiguo a Cosa Nostra catanese e trapianto a Latina, recentemente arrestato dai Carabinieri per non aver rispettato l’obbligo di soggiorno. Franco Di Stefano fu coinvolto anche nella vicenda dei villini abusivi a Borgo San Michele: la sua famiglia è legata strettamente al clan Di Silvio, sponda Giochetto (il cuoi capo è “Romolo” Di Silvio).

Tra gli episodi contestati nell’operazione odierna, ve ne sono alcuni in cui i due fratelli Zof, Alessandro e Fabio, nel 2018, si recano in due chioschi sul lungomare (il secondo e il quarto), tra cui quello riferibile all’ex assessore provinciale di Latina, in quota Udc, Giuseppe Pastore, consumando e pretendendo di non pagare. Ritenevano che quel lungomare fosse “roba loro”. Una convinzione esplicitata nel 2016 da Alessandro Zof, arrestato a febbraio 2021 nell’operazione Reset (associazione mafiosa contestata al clan Travali, di cui lui sarebbe stato fornitore di droga) che iniziò su Facebook una campagna social di intimidazione contro chiunque avesse il desiderio di partecipare alla gara per la postazione dell’ex Topo Beach.

Nell’aprile 2016, Zof, detto “Il Topo”, – recentemente condannato in Appello nel processo “Scarface” (un’indagine dell’antimafia sul Clan Di Silvio, retto da Giuseppe “Romolo” Di Silvio) – a concessione scaduta del primo chiosco gestito da anni da suo padre e dalla sua famiglia, lanciava strali all’indirizzo di chi avrebbe voluto mettere a gara la postazione.

Zof scriveva che “IL TOPO BEACH NN SE TOCCA…Era di mio nonno e dio mio padre e sarà mio e di mio fratello…IL MIO FUTURO LA MIA TRANQUILLITÀ È DATA DA TUTTO QUESTO ..SCOMBINATE STA CATENA E VI CREERÒ L INFERNO“. Che detto da uno condannato a sette anni in primo grado per duplice tentato omicidio, in ragione della vicenda degli spari a causa di un futile litigio all’interno dell’American Bar di San Felice Circeo, non era del tutto rassicurante.

Sempre Zof, nell’aprile 2016, faceva partire su Facebook una sorta di campagna pubblicitaria, ribadendo che quel posto era suo e della sua famiglia: “Ricordate – scriveva – che questa non è una guerra personale…Il mare e il topo BEACH e di tutti noi… Ci siamo cresciuti tutti da tutte le parti del Lazio…I nostri ricordi più belli sono racchiusi lì dentro e la mia famiglia li ha custoditi ad uno ad uno per tutti noi….NN LASCEREMO MAI CHE GENTE CHE NN appartiene A NOI DEBBA ROVINARE TUTTA QUESTA MAGIA. Aiutateci e sosteneteci perché ragazzi ne abbiamo veramente bisogno. IL TOPO BEACH È UNA ISTITUZIONE E DOVRÀ RIMANERE TALE…Mio padre NN caccerà mai una lacrima per quei sporchi politici….ma si leverà ogni goccia di sangue insieme alla mia famiglia per vincere questa ingiustizia“.

Insomma, un grido di battaglia, a tal punto che, a maggio 2017, il Sindaco di Latina Damiano Coletta si recò in Questura per consegnare alla Squadra Mobile alcuni documenti da cui, secondo lui, si sarebbero potuti ravvisare elementi di reato per l’assegnazione dei chioschi sul tratto del lungomare di Latina compreso tra Capoportiere e Rio Martino. Di quella denuncia non si seppe più niente, fino ad oggi, 30 gennaio 2024, con l’operazione di DDA di Roma e Squadra Mobile di Latina, guidata dal vice questore Mattia Falso.

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