“In Europa c’è bisogno di noi, in Europa c’è bisogno di voi. Cambiamola insieme questa Europa”. Poche parole, chiare, dirette e semplici a firma dell’eurocandidato Gianluca Macone di Gaeta, postate sulla propria pagina Facebook per affermare un desiderio piuttosto comune di questi tempi, quello di cambiare l’istituzione europea, vista e percepita dal nostro, ma anche da altri Paesi, come eccessivamente invadente, concentrata su rigidi regimi fiscali e poco attenta alle necessità e alla vita degli europei. Quindi Macone da Gaeta si candida per cambiarla. Poi basta scorrere la sua pagina Facebook e poco più sotto c’è un altro post, con allegata una foto di una querela denuncia depositata direttamente in Procura a Latina, probabilmente stamattina stessa, con parole ancora più chiare e dirette. Macone scrive di un “sopruso ignobile” usato nei suoi confronti, qualcuno che ha voluto “minare la sua credibilità” contro cui Macone è però irremovibile e annuncia: “Non mi arrenderò mai”. Ma cosa sarà successo? A chi si riferisce Macone quando ci informa di queste forze del male che si oppongono a lui e alla sua ascesa politica? Non lo dice, ma forse la risposta non è così difficile da comprendere.
E allora proseguiamo la nostra discesa sulla sua pagina e troviamo un altro post, particolarmente aggressivo, impreciso e confuso, con allegato un articolo scritto e pubblicato ieri dal sottoscritto e da Latina Tu che informa circa la formazione politica di Macone e sul suo superamento del primo step per fare l’Eurocandidato tra le fila del MoVimento Cinque Stelle alle prossime elezioni europee. Ma vuoi vedere che l'”ignobile sopruso” di cui parla Macone è questo articolo? Potrebbe essere, ma se così fosse, qualcosa non torna. Ci chiediamo in che modo voglia cambiare l’Europa Macone, a colpi di querela contro chi osa nominare il suo nome invano? Portando in tribunale coloro che si permettono di raccontare quale sia la sua formazione politica che lui si premura di omettere e non ricordare, arrivando addirittura a rinnegare? Chiedere giustizia nei confronti di quelli che hanno una visione diversa dalla sua? Beh, insomma, c’è ben poco di nuovo in questo atteggiamento, anzi questa sindrome del lei non sa chi sono io è invero da prima repubblica. “Una sgradita attenzione”, la definisce, eppure la democrazia stessa, la libertà di espressione e di informazione, si accasciano dinanzi a iniziative di questo tipo. Tanto è vero che il Consiglio d’Europa (riconosciuto dall’Onu e composto da 47 Stati membri, tra i quali l’Italia) ha lanciato pochi mesi fa un grido di allarme sulla libertà di stampa e i gravi ostacoli alla libertà e all’indipendenza del giornalismo in particolare italiano, dove “la libertà di stampa è peggiorata”. E pure Reporters sans frontiers, nella sua periodica classifica sulla libertà di stampa, che piazza l’Italia al 46esimo posto (dopo Trinidad & Tobago, Burkina Faso, Taiwan e Corea del Sud, poco prima di Botswana e Comoros), scrive: “Sempre più leader democraticamente eletti – fa osservare l’Ong – vedono la stampa non più come fondamento essenziale della democrazia bensì come un avversario al quale mostrano apertamente la loro avversione”.
Macone scrive che “l’estrema destra con lui non ha mai condiviso nulla”. Affermare il contrario è un’offesa per la quale incaricare il suo legale di presentare querela, scrive. Non saranno felici i suoi ex amici di estrema destra, che se lo ricordano bene nella frangia più estrema del Fronte nazionale della Gioventù di Alleanza Nazionale (come se questa circostanza fosse una diffamazione), e che non possono essere propriamente considerati dei “Giovani Democratici” ante litteram: dica Macone se è vero o no che militava tra loro, che appoggiava il candidato consigliere comunale Williams di Cesare nel lontano 2002, il quale entrò poi a far parte dell’amministrazione del sindaco di Gaeta Massimo Magliozzi, oggi consigliere comunale. Di destra. Risponda a queste domande, ci affidi pure la sua replica che senza indugio pubblicheremmo volentieri, ma per ora non abbiamo avuto risposte o richieste di precisazione, pur avendo offerto, così come abbiamo fatto e facciamo con tutti, la nostra disponibilità a recepirle.
Ma non c’è mica da vergognarsi, al massimo si può cambiare idea nella vita, non c’è niente di male, eppure Macone si guarda bene dal ricordare nel suo curriculum politico questa esperienza. Non capiamo il perché, ce lo dica. Forse è rimasto deluso. Tanto è vero che Macone probabilmente non ricorda di aver appoggiato lo stesso Di Cesare anche successivamente, quando il costruttore spignese lasciò quell’esperienza di estrema destra, confluendo dapprima nella Margherita e poi candidandosi addirittura all’assemblea regionale del Partito Democratico, piazzandosi al quarto posto dietro Salvatore Di Maggio, Damiano Ciano e Pina Rosato. Si trattò più che altro di un appoggio esterno, di vicinanza umana più che politica, ma lui lo rinnega con orgoglio.
Permettersi di raccontare tutto ciò, significherebbe dunque per Macone subire una diffamazione “da certi ambienti”, “un cerchio magico che pretende di controllare tutto e tutti”. Ma di cosa parla Macone? Di cosa ci accusa (mi accusa) esattamente? Non lo sappiamo, forse lo potrà chiarire in tribunale dove ci ha dato appuntamento. Non crediamo che questa politica di riassetto punitivo della “lesa maestà” da perseguire a colpi di denunce sia ciò che tutti si aspettano da chi propone nuovi modelli sociali europei di libertà e democrazia. Eppure tant’è, “non si arrenderà mai”, che manco Berlusconi ai tempi dell’editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro. La querela per Macone sembra essere strumento di conciliazione e di ripristino del diritto all’oblio della sua formazione politica. Recentemente, infatti, in tribunale per poco non ha chiesto formalmente di portarci anche Emiliano Scinicariello, consigliere comunale del Partito Democratico a Gaeta, col quale ha poi trovato una intermediazione privata, dopo uno durissimo scontro avvenuto sempre su Facebook. Eppure, per quanto ci riguarda l’articolo, l’unico a quanto ci risulta, anziché diffamare riporta invece la possibilità per Gaeta e per Macone di avere un altro rappresentante istituzionale, dopo Trano in Parlamento, nei palazzi che contano. Non vale per Macone evidentemente.
Su un aspetto però siamo d’accordo con lui, forse è davvero il momento che la Giustizia e i tribunali si occupino di questo esercito di temerari – quasi sempre politici o aspiranti tali – che considerano il giornalismo un centro di smistamento dei comunicati stampa, buono a certificare come vero ciò che dicono e scrivono loro, darlo in pasto alla pubblica opinione elettorale senza possibilità di replica, analisi, approfondimento e soprattutto memoria. È accettabile solo il giornalismo “autorizzato” e “accompagnato” dalle stampelle del contributo pubblico all’editoria, o dal privato editore d’affari e di interessi, o dalla pubblicità ingombrante. In provincia di Latina, nel capoluogo (a cui dedicheremo presto un altro ingombrante, voluminoso e vergognoso capitolo riguardante le minacce, le querele minacciate e almeno una querela subita con tanto di richiesta di sequestro del sito in appena sei mesi di vita di Latina Tu) e nel Golfo di Gaeta, in poche settimane non abbiamo potuto pubblicare nulla sulle figure politiche che aspirano a rappresentare i cittadini e in particolare quelli della stessa Provincia di Latina, che non fosse puntualmente denigrato, accusato, attaccato, offeso e ovviamente minacciato di querela.
È accaduto al sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli, che ha definito “penoso” un articolo che “nulla attiene con la professione di giornalista” che riporta la sua assenza in commissione regionale antimafia dove era stato convocato per parlare di criminalità organizzata, surrogato da un breve intervento scritto di un suo delegato che – secondo noi – considerato l’argomento, meritava ben altra sostanza. È poi toccato all’ex viceministro e presidente della commissione Finanze alla Camera, ex candidato sindaco di Formia e oggi consigliere comunale a Formia, Gianfranco Conte, affermare di averlo “diffamato” con la “macchina del fango”, da un giornalista “pennivendolo” che “non è la prima volta che dice il falso” e attribuendo al sottoscritto persino una affermazione falsa e mai né pensata, né pronunciata e né scritta e secondo la quale – dice Conte – qualcuno avrebbe dichiarato che lui sia “un promotore della malavita”, scritto artatamente con tanto di virgolette del tutto fasulle ovviamente. Tutto questo per aver pubblicato un articolo – che tutti potete leggere a questo link – nel quale si ricostruisce la lunga carriera politica di Conte fino ad oggi, in tono chiaramente critico. E ci mancherebbe altro, altrimenti facevamo il suo ufficio stampa.
Ora è il turno di Macone e ancora non è un politico eletto, figuriamoci dopo. Attacchi vili, gratuiti, offensivi da parte di coloro chiamati dalla democrazia a rappresentare le istituzioni, e i cittadini, tutti, compresi quelli che la pensano diversamente, eletti perciò a difendere i diritti altrui, tutti, compresi quelli di informare e ricordare fatti del passato e che, forse, e dico forse, servono anche a costruire una più consapevole coscienza civica e politica collettiva nella scelta elettorale, oltre che garantire il sacrosanto diritto costituzionalmente riconosciuto per i cittadini italiani di essere liberamente informati. Ma è forse questa opera di ricostruzione che non piace. Non abbiamo denunciato e avremmo potuto certamente farlo, ma non ci compete, noi lavoriamo e ci informiamo su quanto scriviamo, tenendo sempre ben presente l’importanza non solo deontologica, ma soprattutto etica del nostro lavoro, consapevoli che la diffamazione – ma pure la calunnia – sono pratiche inaccettabili, violente, meschine, antidemocratiche che ledono i diritti e la dignità delle persone e che nulla hanno a che vedere con la nostra idea di informazione, libera e indipendente, ma anche autonoma, che andrebbe considerata un’attività nobile, un diritto inalienabile per chi la riceve e un dovere da tutelare per chi la diffonde, specie se priva di sostegni, paraspalle e paracaduti, fondamentale per la democrazia e la libertà complessiva dell’individuo, eppure oggi sepolta sotto le denunce temerarie, le offese gratuite, le minacce velate e non, la violenza prepotente, la denigrazione verbale, il precariato dilagante e pure quell’odiosa e silente superba contrapposizione che ha origine dalla “lesa maestà”, sempre più in voga per dare il colpo di grazia laddove tutto il resto non ha sortito l’effetto sperato.
ARTICOLO 21 DELLA COSTITUZIONE: “TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE. LA STAMPA NON PUÒ ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE”.