RIPICCHE E PISTOLETTATE: I CLAN ROM DIVISI DAI DISSAPORI

Marco Ciarelli
Marco Ciarelli

Acque agitate nei clan rom della città: a raccontare di dissapori e persino colpi d’arma da fuoco è l’ultimo dei collaboratori di giustizia, Andrea Pradissitto

Che Pradissitto possa raccontare molto delle dinamiche interne al suo clan di riferimento, i Ciarelli, avendo sposato una figlia del boss Ferdinando Ciarelli detto Furt, era facilmente intuibile. Tuttavia, l’uomo arrestato il 9 febbraio 2021 per i nuovi risvolti sul caso Moro, e successivamente pentitosi così da collaborare con lo Stato e agevolare i nuovi arresti risalenti al luglio scorso, ha parlato molto alla DDA anche degli altri clan dell’universo rom di Latina.

Andrea-Pradissitto
Andrea Pradissitto

Sicuramente, come si evince dall’ordinanza che ha spiccato 33 arresti in ragione dell’inchiesta denominata “Scarface”, Pradissitto ha parlato del Clan di Romolo Di Silvio confermando la struttura familistico-mafiosa e l’ascesa de Il Silciliano (Fabio Di Stefano), genero di Romolo perché ha sposato la figlia Angelina “Pellanera” Di Silvio. Un personaggio freddo e scaltro rispetto al cognato Antonio Di Silvio detto Patatino più dedito alle smargiassate e alle violenze per futili motivi.

Pradissitto ha confermato che l’ala dei Di Silvio stanziale al Gionchetto è la più attrezzata militarmente parlando e che fu il numero due del sodalizio Carmine detto Porcellino (una volta che il fratello Romolo e il nipote Patatone erano finiti in carcere) a stabilire la linea stragista che avrebbe dovuto sterminare la mala dei gaggi di Nardone e Moro. Peraltro, Porcellino, secondo quanto riporta Pradissitto, avrebbe avuto il compito di uccidere Carlo Maricca, considerato dai Di Silvio il responsabile della morte di Ferdinando Di Silvio detto Il Bello (l’erede designato a succedere a capo del clan del Giochetto dopo Antonio detto Papù) con tanto di autobomba al Lido di Latina.

Il collaboratore di giustizia, nei verbali resi a fine maggio e inizio giugno 2021, innanzitutto conferma un altro aspetto: anche in casa Ciarelli c’è fermento. Non più un clan unico, tenuto insieme dal capostipite Antonio prima, e dal carisma violento di Carmine detto Porchettone poi. Ora il sodalizio del Pantanaccio ha sicuramente altro che bolle in pentola e lo dimostrano le parole di Pradissitto. Ad emergere in questo momento sono in due figure e in particolare Marco Ciarelli, 35enne rampollo del Clan, frequentante posti alla moda a Latina, e Luigi Ciarelli, padre di quest’ultimo, condannato per narcotraffico dal Cile in Appello. Un episodio che ha dimostrato di come Luigi Ciarelli abbia una capacità nel mondo dello smercio della droga finora rara nel mondo dei clan rom, costretti a rivolgersi quasi sempre a intermediari per l’importazione delle sostanze stupefacenti.

Sarebbe stato Antonio Di Silvio detto Patatino, imparentato con i Ciarelli avendo sposato la figlia del narcotrafficante Luigi (in teoria numero tre del Clan), a riferire a Pradissitto in un colloquio avvenuto in carcere. E le indiscrezioni sarebbero di primo mano, riferibili al Ferragosto 2020. “Patatino disse che le cose andavano bene per Luigi Ciarelli e Marco Ciarelli che avevano stretto rapporti con Gianluca Ciprian“. Ciprian, come noto, è tra i più accreditati broker del Basso Lazio, arrestato a gennaio 2020 in Spagna con chili e chili di sostanza stupefacente, oltreché ad essere accusato dalla DDA di aver rifornito il Clan Travali di droga così come delineato nell’operazione Reset.

“Luigi e Marco Ciarelli – spiega Pradissitto agli inquirenti riportando le parole di Patatino – da quando hanno deciso di fare “famiglia a parte” hanno trattato attraverso il canale di Ciprian e si occupavano di fumo e erba. Questa cosa me l’ha confermata Francesco Viola quando è stato arrestato per l’operazione Reset. Io ero già detenuto per l’omicidio Moro ed eravamo entrambi in isolamento nel carcere di Velletri”.

I verbali di Pradissito, ad ogni modo, spiegano anche dell’altro. Cioè che i clan rom non vanno d’amore e d’accordo come nel periodo breve ma intenso della guerra criminale pontina del 2010. Ci sono rivalità, sgambetti, dispetti e persino piombo.

Il genero di “Furt” racconta di un episodio capitato anni prima quando, nel 2008, a casa da Ferdinando Ciarelli detto Macù, figlio di Porchettone, fu eseguito un furto piuttosto ingente: sette chili d’oro sottratti, e per giunta nell’abitazione del figlio di un boss. Chi poteva avere tanto ardimento da introdursi nelle mura di uno del Clan del Pantanaccio? A spiegarlo è sempre Pradissitto: “Carmine Ciarelli mi chiamò in quanto era impensabile che il figlio avesse subito un furto. Mi racconto il fatto e mi chiese di cercare informazioni ma non si scoprì niente. Alcuni anni dopo in carcere a Rebibbia incontro il figlio di Romolo Di Silvio, Patatino, e facemmo questo discorso. Io gli dissi che secondo me erano stati loro stessi a fingere il furto e lui si mise a ridere“. Patatino, come accennato, ha sposato la figlia di Luigi Ciarelli.

Carmine Ciarelli
Carmine Ciarelli, detto Porchettone o Titti. Dopo l’attentato che il reuccio del Pantanaccio (quartiere del capoluogo pontino) subì a gennaio del 2010, iniziò la faida tra bande criminali latinensi in cui persero la vita Massimiliano Moro e Fabio Buonamano

Nel ribadire la figura rilevante all’interno del Clan di Romolo personificata da Fabio Di Stefano, Pradissitto comunque offre un quadro che può aprire al futuro e c’è già qualcuno che trema e qualcun altro che si frega le mani per occupare il mercato criminale da pochi giorni lasciato libero anche dai Di Silvio del Gionchetto.

Ma ciò che accade dentro la famiglia Ciarelli, infiacchita (Roberto Ciarelli sorpreso con un allaccio abusivo) e divisa anche dallo stesso pentimento di Pradissitto, talmente nervosa da dover smentire pubblicamente la collaborazione con lo Stato di Ferdinando “Furt” Ciarelli (che in effetti non vi è stata), non è molto diverso da quello che succede in casa Di Silvio dove i due rami più importanti – uno riferibile ad Armando detto Lallà (Alba Pontina) e l’altro riferibile a Giuseppe Di Silvio detto Romolo (Scarface) – si guardano storto da tempo. E il patto di non belligeranza è stato messo a repentaglio dall’ennesimo incastro amoroso.

Leggi anche:
LATINA, ALLACCIO ABUSIVO CON CAVI “VOLANTI”: DENUNCIATE 2 PERSONE

Come per gli spari a casa di Velia Casamoneca, la nonna dei Travali, quando Lallà e Furt si recarono lì, nel 2011, per obbligare uno dei fratelli di Travali, Alessandro Anzovino detto Ciba, a lasciar perdere una delle figlie di Armando Di Silvio, anche in questa storia c’è di mezzo una quasi fuitina e un amore contrastato. Eppure, non si tratta di una storia moderna alla Romeo e Giulietta, bensì di uno spaccato che restituisce la violenza e la conferma che di clan rom a Latina ce ne sono più d’uno.

Il protagonista è Ferdinando “Pescio” Di Silvio, il giovane che a febbraio 2020 sparò dei colpi da casa sua in Via Moncenisio all’indirizzo di non si sa bene chi (ha subito una condanna). Ora, dalle carte dell’inchiesta “Scarface”, si capisce verso chi erano rivolti quegli spari.

Pescio è il figlio di Costantino Di Silvio detto Patatone, in carcere per l’omicidio Buonamano e, dopo Romolo, boss di riferimento del Clan del Gionchetto. Il giovane, da ciò che riporta Pradissitto, aveva una relazione con la figlia di Gianni Di Silvio, il fratello di Armando detto Lallà condannato a luglio in primo grado per associazione mafiosa.

“Gianni Di Silvio – spiega Pradissitto – non voleva che Pescio stesse con la figlia. Non correvano buoni rapporti tra i Di Silvio di Campo Boario (ndr: Lallà) e i Di Silvio del Gionchetto (ndr: Romolo), le due famiglie si erano riavvicinate solo in occasione della guerra criminale del 2010, poi erano tornate in disaccordo”.

“Gianni – continua Pradissitto – la moglie, le sorelle e il papà più volte erano andati di fronte all’abitazione di Pescio e di Antonio Di Silvio per riprendere la ragazza che noi chiamiamo “Amore” ma non ricordo il nome vero. Poi effettivamente hanno convinto la ragazza, che è tornata a casa”.

Tuttavia, “Gianni e gli altri famigliari continuavano a dare fastidio credo per imporsi sull’altra famiglia. Allora Pescio ha preso una pistola e gli ha sparato ma non l’ha preso. Questi fatti me li ha raccontati Patatino ma io queste cose già le sapevo perché me le aveva raccontate mia moglie”.

Pescio Di Silvio
Pescio Di Silvio

E non è finita, perché Pradissitto racconta anche di altri episodi avvenuti anni prima quando il padre di Pescio, Patatone, sparò all’altezza di Giulia De Rosa detta Cipolla per alcune divergenze. Era il 2009, Patatone “prese un’arma 7,65 e sparò all’indirizzo di Cipolla senza prenderla”. Cipolla De Rosa è la madre di Cesare e Cristian e notoriamente controllava lo spaccio in Via Helsinky: sono una famiglia rom legata all’altro ramo dei Di Silvio, quello capeggiato da Armando Lallà.

E Patatone, secondo Pradissitto, sparò anche “contro “dei napoletani a Borgo Piave” nel 2008.

In sostanza, Pradissitto conferma la potenza di fuoco militare della famiglia che pur stando un passo indietro nel mercato della droga in città – prima controllato dal Clan Travali e poi dal Clan di Armando Di Silvio – ha sempre avuto il primato, anche sui Ciarelli, per quanto riguarda le armi e la capacità di sparare senza troppi calcoli.

L’operazione Scarface ha evidenziato che, dopo gli arresti che hanno ridimensionato sia il gruppo dei Travali che quello di Lallà, la famiglia di Romolo legata ai Di Stefano stava prendendo piano piano il controllo del mercato criminale. Gli unici rivali rimasti sul campo erano i Ciarelli di Luigi e Marco con cui, peraltro, come si delinea nell’ordinanza Scarface, si era sfiorata una “guerra” causata dal recupero credito per Simone Di Marcantonio e il sequestro di colui che diventerò collaboratore di Stato, Emilio Pietrobono.

Articolo precedente

FONDI, OPPOSIZIONE: “I FONDI PER LA ZONA ROSSA INUTILIZZATI, GIUNTA DIMENTICA I BISOGNOSI”

Articolo successivo

CAPOROLATO: AL VIA A LATINA LO SPORTELLO ITINERANTE

Ultime da Focus